Ravenna, S. Apollinare Nuovo, teoria delle vergini
DONNE SANTE NELLA CHIESA ORIENTALE DEI PRIMI SECOLI
di Patrizia Solari
Preparando
nei mesi scorsi la documentazione per gli ultimi santi apparsi sulla rivista,
dentro di me pensavo: “Adesso però è ora che presenti di nuovo qualche donna!”
All’inizio di
novembre sono stata a Venezia per vedere una mostra di miniature, manoscritti e
incunaboli: “Oriente cristiano e santità”. E nel catalogo che accompagnava la
mostra ho trovato un saggio, non su UNA santa, ma sulle sante dei primi secoli
in Oriente. Queste notizie ci permettono di collegarci a un periodo in cui la
Chiesa non era ancora divisa e di inserirci nelle riflessioni proposte nella
settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Ed ecco la messe che ho
raccolto.
Martiri, monache ascete, pie matrone,
prostitute pentite, donne travestite da monaco
“Nei primi
secoli del Cristianesimo, quando la Chiesa lottava per garantirsi l’esistenza a
fianco delle altre religioni dell’Impero e per ottenere il riconoscimento
ufficiale, i casi di santità femminile furono piuttosto numerosi. La maggior
parte di questi è rappresentata da vergini martiri, uccise durante le
persecuzioni dei secoli III e IV come, ad esempio, Barbara, Eufemia di
Calcedonia, Caterina e Teodora di Alessandria. Con il trionfo del Cristianesimo
nel IV secolo, la tipologia delle sante martiri venne sostituita da quella di
un nuovo genere di sante comprendente le monache ascete, le pie matrone, le
prostitute pentite e le donne travestite da monaco. (...)
Al contrario
di quanto accade nel caso delle vergini martiri (talora del tutto leggendarie),
la reale esistenza di molte sante monache o matrone, quali Macrina, la sorella
maggiore di Gregorio di Nissa, Gorgonia, la sorella di Gregorio Nazianzeno, e
di Matrona di Perge, è certa. Erano vergini o mogli e madri che condussero,
però, una vita così pia ed ascetica da guadagnarsi la fama di sante. (...)
La più famosa
delle prostitute pentite (...) fu Maria Egiziaca, che visse un’esperienza di
conversione a Gerusalemme. In seguito essa si ritirò nel deserto della Giudea
dove per quarantasette anni menò una vita da eremita, sottoponendosi a estreme
privazioni e all’isolamento totale.
Anche il tema
della pia donna mascherata da uomo e vissuta in un monastero maschile era
estremamente diffuso nella tarda antichità. È tipico a questo proposito il caso
di santa Marina/Marino, che prese l’abito da monaco per non doversi separare
dal padre, intenzionato ad abbracciare la vita religiosa. Altre donne (...)
indossarono l’abito monastico maschile per sfuggire ai maltrattamenti del
marito o alle attenzioni di un pretendente indesiderato”.
Bisogna
rilevare che di regola, nella classificazione bizantina dei santi, mentre
troviamo gli uomini raggruppati per categorie (martiri, monaci, vescovi ecc.)
le sante sono riunite in un solo gruppo, il cui criterio è il sesso e possiamo
osservare questa distinzione sia nelle raffigurazioni dell’arte monumentale che
nella produzione letteraria. Per esempio, nel mosaico del Giudizio Universale
di Santa Maria Assunta (sec. XII) a Torcello (Venezia) è raffigurato un unico
gruppo di sante e tre diverse categorie di santi (soldati, monaci, vescovi).
Una spiegazione di questa distinzione può essere data dal comunque esiguo
numero di sante rispetto ai santi, da una parte, e dall’altra, dalla
caratteristica della mentalità bizantina, che considerava la donna, per sue
caratteristiche intrinseche, seriamente impedita ad accedere alla santità. A
meno che non dimostri eccezionali doti di ascetismo o non assuma, nel condurre
una vita estremamente pia, caratteristiche maschili: forza, virilità, fermezza
...
“Rispetto al
periodo delle persecuzioni, il numero delle canonizzazioni femminili a Bisanzio
durante la tarda antichità diminuì notevolmente. (...) Per ragioni ancora non
affatto chiare, nei secoli VIII e X la santità femminile venne riconosciuta in
misura assai minore che quella maschile e negli ultimi cinque secoli della vita
di Bisanzio
solo tre donne furono
elevate agli onori degli altari.
Nel VII
secolo, con il passaggio dalla civiltà tardoantica a quella propriamente
bizantina, ebbe luogo un importante cambiamento nella tipologia del santo
donna. Le sante di Bisanzio, in questo periodo, appartengono sostanzialmente a
tre categorie: le restauratrici dell’ortodossia, le sante monache e badesse e
le pie matrone”. Più raramente, ma non oltre il X secolo, è ancora possibile
individuare singoli casi che riprendono i modelli precedenti, come le eremite o
le donne travestite da uomo.
Le restauratrici dell’ortodossia e le
sante monache e badesse
“I due casi
più illustri di restauratrici dell’ortodossia sono rappresentati dalle
imperatrici Irene e Teodora che difesero strenuamente la causa iconodula
contro le forze iconoclaste. Il movimento iconoclasta raggiunse i vertici del
potere negli anni compresi tra il 726 e il 787 e tra l’815 e l’842, quando la
politica imperiale proibì la produzione e la venerazione delle immagini. Le due
imperatrici, entrambe vedove che agivano da reggenti per i figli (troppo
piccoli alla morte del padre per assumere le redini del potere), capovolsero la
politica iconoclasta dei propri mariti e restituirono alla Chiesa Ortodossa il
culto delle sacre icone rispettivamente nel 787 e nell’843”.
Le sante
monache o badesse si distinsero, nella media età bizantina, all’interno di una
comunità cenobitica. “Esse si impegnarono nella pratica dell’ascesi, sebbene in
forme non così estreme come quelle praticate dalle sante romite che le avevano
precedute, e ottennero grande fama per i loro atti di ubbidienza, per il
"dono delle lacrime" e persino per le loro prediche”.
Una di queste
fu Irene di Chrysobalaton, che nel IX-X secolo ancora molto giovane fu messa a
capo di un monastero a Costantinopoli. Oltre alle pratiche di ascetismo, al
dono della vista interiore e di predizione, “uno degli aspetti più singolari
della sua carriera monastica (...) è rappresentato dalle prediche sulla
salvezza che ella pronunciava a beneficio dei visitatori del monastero: ella
non rivolgeva il suo insegnamento soltanto alle parenti, alle mogli e alle
figlie dei senatori, ma anche agli uomini”.
Irene era
vergine, ma il matrimonio non costituiva un ostacolo alla santità a Bisanzio: “almeno
la metà delle venti donne che furono elevate all’onore degli altari tra i
secoli VIII e XV era stata sposata e aveva generato figli. Il fatto che una
donna entrasse in monastero dopo essere rimasta vedova costituiva a Bisanzio
una prassi relativamente normale”. Un esempio di questo percorso è Teodora di
Tessalonica, santa del IX secolo. “Nata ad Egina, fu costretta insieme al padre
e al marito ad abbandonare l’isola egea a seguito delle incursioni arabe. La
famiglia di Teodora rifugiati si sistemò a Tessalonica, dove poteva contare
sull’aiuto dei parenti, tra i quali vanno annoverati un prelato altolocato e
due badesse. La vita di Teodora fu, tuttavia, segnata dal dolore: due dei suoi
tre figli, infatti, morirono in tenera età. Grata per la sopravvivenza della
terza figlia, la donna la consacrò alla vita monastica con il nome di Teopista
(“fedele a Dio”). Dopo la morte del marito, la vedova, appena venticinquenne,
prese lei stessa i voti, nel cenobio consacrato a santo Stefano diretto dalla
sua parente Anna. La giovane Teopista la seguì nello stesso monastero”. La vita
di Teodora nel monastero fu semplice e senza fatti degni di nota. Solo tre
episodi, sui quali si fonda la sua santità, vengono menzionati: il primo riguarda
il rapporto con la figlia. “Teodora trovava difficile vincere il proprio
sentimento materno per la figlia e non cessava di preoccuparsi circa il
vestiario e la dieta di questa”. Siccome i richiami della badessa non davano
frutto, essa ordinò che Teodora e Teopista dividessero la stessa cella, ma
proibì loro di parlarsi. Per quindici anni le due donne pregarono, lavorarono
al telaio e macinarono il grano insieme, senza scambiarsi una parola sino a
quando la badessa si ricredette e concesse loro la facoltà di conversare.
Teodora così, nota l’agiografo, smise di considerare Teopista sua figlia, ma
prese a trattarla come una delle tante monache del monastero”. Un secondo
episodio riguarda l’esercizio dell’ubbidienza: “un giorno, poiché un calderone
d’acqua si era rovesciato e aveva bagnato il pavimento, ella aveva spostato il
proprio letto in un luogo asciutto, senza chiedere il permesso alla badessa”.
Per questa infrazione alla regola monastica “la madre superiora costrinse
Teodora a trascorrere la notte nel cortile, nel bel mezzo di una tempesta di
neve. Teodora accettò la punizione senza sollevare alcuna protesta e imparò la
lezione della perfetta ubbidienza”. Il terzo episodio segnalato “consiste nella
cura premurosa che la monaca riservò all’anziana badessa Anna, che si era
dislogata il femore e aveva perso il senno a causa dell’età. Nonostante l’ingratitudine
e le ingiurie della badessa, Teodora la soccorreva in ogni cosa (...)”. Alla
morte di Teodora iniziò la venerazione della sua persona, accadde una serie di
guarigioni e di fatti portentosi, come ad esempio l’olio con poteri miracolosi
che cominciò a sgorgare dalla lampada che bruciava sopra la sua tomba.
Le sante madri di famiglia e la carità
per i poveri.
“(...) nel
corso dei secoli IX e X emerge una nuova tipologia di santa, quella della madre
di famiglia che conquista la santità senza mai abbracciare lo stato monastico”.
Malgrado il numero ristretto di esempi, ciò segnala un’evoluzione nella
definizione dei criteri di discernimento della santità. “Teocleto, che visse al
tempo dell’imperatore Teofilo, era rinomata per lo studio delle Scritture, la
generosità delle elemosine e la solerzia nella cura della famiglia e dei
domestici. Teofano, la prima moglie dell’imperatore Leone VI (886-912) e madre
di una figlia, era ben nota per l’impegno profuso nelle attività di tipo
caritatevole.
Le sante vite
di Maria la Giovane e di Tomaide di Lesbo presentano un ulteriore elemento
caratterizzante, consistente nei maltrattamenti che esse subirono da parte dei
mariti, mal disposti ad accettare le loro pratiche devote e caritatevoli.
Maria la
Giovane, morta nel 903, fu madre di quattro figli, di cui solo due raggiunsero
l’età adulta. “Godeva grande fama per il suo ascetismo, per le sue opere di
carità e per l’umanità con la quale trattava gli schiavi domestici (...).
Mostrava il suo amore verso il prossimo pagando le tasse arretrate dei suoi
concittadini, offrendo ospitalità ai monaci di passaggio, soccorrendo le vedove
e gli orfani. Il marito Niceforo riteneva che la filantropia della moglie fosse
eccessiva e accusò questa di sperperare il patrimonio familiare. In effetti,
Maria spese per le sue donazioni esclusivamente il patrimonio della sua
eredità. Niceforo mal interpretò, inoltre, la gentilezza che la moglie mostrava
verso gli schiavi e l’accusò di adulterio; la rinchiuse nella propria stanza e
un giorno, in preda all’ira, la prese a frustate in maniera selvaggia. Maria
cercò di schivare i colpi del marito, ma inciampò, cadde e si ferì mortalmente
alla testa”. Dopo la sua morte “accaddero numerosi miracoli e il suo culto
crebbe, anche grazie agli sforzi promozionali del marito e dei due figli. Col
passare del tempo, Niceforo si rese conto di aver maltrattato la moglie e cercò
di redimersi onorandone la memoria”.
Tomaide di
Lesbo non aveva figli, apparteneva a una classe sociale inferiore a quella di
Maria e viveva a Costantinopoli. “Tesseva e vendeva la stoffa che produceva per
trovare i soldi da donare ai poveri, distribuiva i suoi stessi vestiti ai
mendicanti, dava cibo agli orfani e prestava soldi ai debitori. Stefano, suo
marito, era più violento di quello di Maria e la picchiò senza pietà per
tredici anni, infuriato per i suoi ‘sperperi’. Quando Tomaide morì a 38 anni in
seguito alle percosse del marito, la salma venne sepolta nel monastero guidato
da sua madre, dove si andò organizzando un culto attorno alla sua tomba. A
differenza di Maria, Tomaide compì numerosi miracoli in vita (...). Queste
guarigioni prodigiose continuarono ad avere luogo anche dopo la morte di
Tomaide: i pellegrini che si recavano alla sua tomba, infatti riuscivano a
liberarsi dalle proprie afflizioni”.
Possiamo concludere con le seguenti
osservazioni.
“Qualsiasi
trattazione della santità femminile a Bisanzio deve sottolineare il fatto che i
santi -uomini e donne- canonizzati nei secoli dell’era bizantina non godettero
mai una devozione popolare paragonabile a quella che conobbero, invece, i primi
santi dell’era cristiana. A giudicare dal numero di manoscritti delle Vite
tramandati e dalla frequenza delle loro rappresentazioni nella decorazione
monumentale delle chiese, nelle icone e nei sigilli, le sante più popolari dell’era
bizantina furono quelle dei primi secoli del Cristianesimo: le martiri, le
monache travestite e le prostitute pentite.
Le donne
canonizzate successivamente, durante la media e tarda età bizantina, non furono
mai oggetto di un culto pienamente sviluppato. La loro venerazione, promossa
principalmente dai familiari, rimase locale e fu, in genere, di breve durata”.
Si può d’altra
parte osservare che “le Vite di quelle poche donne che furono elevate agli
onori degli altari risultano particolarmente interessanti poiché aprono uno
squarcio sull’atteggiamento bizantino nei confronti dello ‘status’ femminile.
Inoltre, questi testi sono ricchi di informazioni circa l’organizzazione
domestica a Bisanzio, la vita spirituale delle donne laiche, la vita difficile
delle mogli ingiuriate da mariti violenti, la ‘routine’ quotidiana dei
monasteri e lo sviluppo dei culti popolari. Le attuali conoscenze sulla vita
quotidiana delle donne bizantine sarebbe di gran lunga più scarsa senza l’ausilio
di queste biografie sacre che, per così dire, aprono uno spiraglio sulla vita
del chiostro e delle case della gente comune”.
dal sito: http://www.caritas-ticino.ch/Riviste/elenco%20riviste/riv_9901/21-donne%20sante.htm
Le citazioni sono tratte da TALBOT, Alice-Mary -
Essere donna e santa, Catalogo della mostra “Oriente Cristiano e Santità”, Ed.
Centro Tibaldi, Milano-Roma, 1998 - pagg. 61-68.
Civiltà bizantina: si estende grosso modo tra il VI
(caduta dell’Impero Romano d’Occidente) e il XVI secolo (invasione turca),
nell’area geografica che va dal Mediterraneo fino agli Urali, con influssi in
Spagna e Italia. Capitale dell’impero fu Bisanzio (Costantinopoli). Per una
trattazione estesa vedi KAZHDAN, Alexander “Bisanzio e la sua civiltà”, Ed.
Laterza, 1995
Iconodulo: opposto a iconoclasta (= che combatte la
venerazione delle immagini sacre)