Settimana dell’Ultimo Giudizio
Dai Discorsi
del beato Agostino vescovo di Ippona
Disc. 97, 1. 3-4
Fratelli miei,
poiché avete udito poc’anzi la Scrittura che ci esorta dicendo d’essere
vigilanti a causa dell’ultimo giorno, ciascuno pensi al proprio ultimo giorno;
e ciò per evitare che, allorché crederete o penserete che l’ultimo giorno del
mondo è lontano, dormicchiate al vostro ultimo giorno. A proposito dell’ultimo
giorno di questo mondo, avete sentito che cosa dice il Cristo, che cioè non ne
conoscono la data né gli angeli del cielo, né il Figlio, ma soltanto il Padre.
Questa affermazione veramente racchiude un difficile problema: non dobbiamo
pensare secondo la nostra mentalità umana che il Padre sappia qualcosa che non
sappia il Figlio. Cristo però dicendo: Lo sa solo il Padre, disse certamente
così, in quanto anche il Figlio lo sa nel Padre. ... “Nessuno - dice - cerchi
di conoscere quando arriverà l’ultimo giorno”.
Ma cerchiamo
tutti di vigilare vivendo bene, perché l’ultimo giorno di ciascuno di noi non
ci trovi impreparati e, come ciascuno uscirà di vita quaggiù nel proprio ultimo
giorno, così venga trovato nell’ultimo giorno del mondo. Non ti sarà d’alcun
aiuto ciò che non avrai fatto quaggiù. Per ciascuno saranno di sollievo o di
tormento le proprie opere.
Tutti gli
altri nostri casi, buoni e cattivi, sono incerti; solo la morte è certa. ...
Allo stesso modo che i medici, quando diagnosticano un malattia e la
riconoscono mortale, danno questo responso: “Morirà, non la scamperà”, dal
momento che nasce un uomo, si deve dire: “Non la scamperà”. Appena nato
comincia a star male; quando muore mette fine alla malattia, ma non sa se va a
cadere in una peggiore. Quel famoso ricco aveva finito un’infermità piena di
godimenti, ma andò a finire in un’altra piena di tormenti; al contrario quel
povero terminò l’infermità e giunse alla sanità (cfr. Lc 16, 22). Questi però
aveva già scelto prima quaggiù quel che avrebbe avuto poi; e aveva seminato
quaggiù quel che miete poi di là. Quando perciò siamo in questa vita, dobbiamo
vigilare e dobbiamo scegliere ciò che potremo possedere nella vita futura.
Cerchiamo di
non amare il mondo; esso opprime coloro che lo amano, non li conduce al bene.
Bisogna sforzarci che non ci faccia prigionieri piuttosto che temere che perisca.
Ecco, il mondo perisce, ma il cristiano persiste, perché Cristo non perisce.
Perché mai, infatti, dice il Signore: Rallegratevi, poiché io ho vinto il
mondo? (Gv 16, 33). Potremmo rispondergli, se fosse consentito: “Ma sei tu che
devi rallegrarti. Se hai vinto tu, sei tu che devi rallegrarti. Perché dovremmo
rallegrarci noi?”. Per qual motivo ci dice: Rallegratevi, se non perché è per
noi ch’egli ha vinto, è per noi ch’egli ha lottato? In qual modo infatti ha lottato?
Per il fatto che ha preso la natura umana. Escludi la sua nascita dalla
Vergine, escludi il fatto che si spogliò della sua divinità prendendo la natura
di schiavo e divenendo simile agli uomini e per il suo comportamento fu
riconosciuto come un vero uomo; se escludi ciò, come sarebbe stata possibile la
lotta, il combattimento, la prova attraverso le sofferenze, la vittoria non
preceduta dal combattimento?
... Avrebbe
potuto forse il giudeo crocifiggere questo Verbo? Avrebbe forse l’empio potuto
oltraggiarlo? Avrebbe potuto forse questo Verbo essere schiaffeggiato? essere
coronato di spine? Perché potesse sopportare tutti questi patimenti il Verbo si
fece carne (Gv 1, 14), dopo aver subito queste sofferenze, è risuscitato e così
ha vinto. Ha vinto dunque per noi, ai quali ha mostrato la certezza della
risurrezione.
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