martedì 12 marzo 2013

Dai Discorsi del beato Agostino vescovo di Ippona


 

Settimana dell’Ultimo Giudizio

 

Dai Discorsi del beato Agostino vescovo di Ippona

Disc. 97, 1. 3-4

 

Fratelli miei, poiché avete udito poc’anzi la Scrittura che ci esorta dicendo d’essere vigilanti a causa dell’ultimo giorno, ciascuno pensi al proprio ultimo giorno; e ciò per evitare che, allorché crederete o penserete che l’ultimo giorno del mondo è lontano, dormicchiate al vostro ultimo giorno. A proposito dell’ultimo giorno di questo mondo, avete sentito che cosa dice il Cristo, che cioè non ne conoscono la data né gli angeli del cielo, né il Figlio, ma soltanto il Padre. Questa affermazione veramente racchiude un difficile problema: non dobbiamo pensare secondo la nostra mentalità umana che il Padre sappia qualcosa che non sappia il Figlio. Cristo però dicendo: Lo sa solo il Padre, disse certamente così, in quanto anche il Figlio lo sa nel Padre. ... “Nessuno - dice - cerchi di conoscere quando arriverà l’ultimo giorno”.

Ma cerchiamo tutti di vigilare vivendo bene, perché l’ultimo giorno di ciascuno di noi non ci trovi impreparati e, come ciascuno uscirà di vita quaggiù nel proprio ultimo giorno, così venga trovato nell’ultimo giorno del mondo. Non ti sarà d’alcun aiuto ciò che non avrai fatto quaggiù. Per ciascuno saranno di sollievo o di tormento le proprie opere.

Tutti gli altri nostri casi, buoni e cattivi, sono incerti; solo la morte è certa. ... Allo stesso modo che i medici, quando diagnosticano un malattia e la riconoscono mortale, danno questo responso: “Morirà, non la scamperà”, dal momento che nasce un uomo, si deve dire: “Non la scamperà”. Appena nato comincia a star male; quando muore mette fine alla malattia, ma non sa se va a cadere in una peggiore. Quel famoso ricco aveva finito un’infermità piena di godimenti, ma andò a finire in un’altra piena di tormenti; al contrario quel povero terminò l’infermità e giunse alla sanità (cfr. Lc 16, 22). Questi però aveva già scelto prima quaggiù quel che avrebbe avuto poi; e aveva seminato quaggiù quel che miete poi di là. Quando perciò siamo in questa vita, dobbiamo vigilare e dobbiamo scegliere ciò che potremo possedere nella vita futura.

Cerchiamo di non amare il mondo; esso opprime coloro che lo amano, non li conduce al bene. Bisogna sforzarci che non ci faccia prigionieri piuttosto che temere che perisca. Ecco, il mondo perisce, ma il cristiano persiste, perché Cristo non perisce. Perché mai, infatti, dice il Signore: Rallegratevi, poiché io ho vinto il mondo? (Gv 16, 33). Potremmo rispondergli, se fosse consentito: “Ma sei tu che devi rallegrarti. Se hai vinto tu, sei tu che devi rallegrarti. Perché dovremmo rallegrarci noi?”. Per qual motivo ci dice: Rallegratevi, se non perché è per noi ch’egli ha vinto, è per noi ch’egli ha lottato? In qual modo infatti ha lottato? Per il fatto che ha preso la natura umana. Escludi la sua nascita dalla Vergine, escludi il fatto che si spogliò della sua divinità prendendo la natura di schiavo e divenendo simile agli uomini e per il suo comportamento fu riconosciuto come un vero uomo; se escludi ciò, come sarebbe stata possibile la lotta, il combattimento, la prova attraverso le sofferenze, la vittoria non preceduta dal combattimento?

... Avrebbe potuto forse il giudeo crocifiggere questo Verbo? Avrebbe forse l’empio potuto oltraggiarlo? Avrebbe potuto forse questo Verbo essere schiaffeggiato? essere coronato di spine? Perché potesse sopportare tutti questi patimenti il Verbo si fece carne (Gv 1, 14), dopo aver subito queste sofferenze, è risuscitato e così ha vinto. Ha vinto dunque per noi, ai quali ha mostrato la certezza della risurrezione.

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