San Gregorio Magno, Papa:
SERVO DEI SERVI DI DIO
di Mario Scudu sdb
Leggendo la
documentazione su San Gregorio mi hanno colpito particolarmente due aspetti
della sua personalità e del suo itinerario spirituale.
Il primo. Gli
storici gli hanno decretato l’appellativo di Magno, cioè Grande. Non sono molti
i personaggi storici con tale onore. Gregorio per i suoi meriti, per la sua
intelligente opera a beneficio della Chiesa e dell’Italia stessa, ha meritato
questo titolo. È quindi uno dei Grandi della storia. Eppure lui amava firmarsi
dichiarandosi “servus servorum Dei” cioè “servo dei servi di Dio”.
Il secondo aspetto.
Nel recente passato si discuteva, spesso a sproposito, della contrapposizione
tra azione e contemplazione. Gregorio aveva una profonda nostalgia della
contemplazione, voleva vivere una vita ritirata, eremitica, in solitudine,
“popolata” solamente dalla presenza di Dio. Nonostante questo suo grande
desiderio fu uomo di grande attività, non strettamente ecclesiale ma anche
politica. Fu grande nell’azione e fu grande nella contemplazione. Forse è più
corretto affermare che Gregorio fu grande nell’azione perché fu grande nella
contemplazione.
Il suo
impegno “politico” per Roma e per l’Italia
Uno storico ha
definito Gregorio “l’ultimo grande Romano”. In effetti è proprio nato nella
Città Eterna nell’anno 540. Oggi si direbbe che era “Romano de Roma”. Sua madre
si chiamava Silvia e il padre Gordiano: questi era un senatore, discendente
dalla nobiltà senatoria e probabilmente esercitava le funzioni di notaio
regionale. Gregorio iniziò presto il suo curricolo amministrativo, che era già
stato del padre, fino alla carica di “praefectus Urbis” cioè la più alta carica
della città.
In seguito fu
anche nominato ambasciatore o nunzio del papa a Costantinopoli. Questo “stage”
all’estero gli fu prezioso doppiamente: fece ulteriore pratica di problemi
amministrativi da un osservatorio non proprio romano, e, secondo, questo
soggiorno fu per lui una buona scuola e un tirocinio pratico di psicologia. La
conoscenza della psiche umana impegnata in politica, oggi si direbbe “in
situazione di potere”, lo arricchì molto e gli fu utilissima in seguito da
pontefice.
Ma il
desiderio profondo di Gregorio era di farsi monaco e di dedicarsi interamente
al silenzio, alla preghiera e alla contemplazione. È interessante notare che
Gregorio accettò questo incarico politico portando con sé un gruppo di monaci:
egli stesso ricordava come riuscisse a fare, nonostante i suoi impegni di
ambasciatore del papa, una regolare vita da monaco. A questo gruppo si unì
anche Leandro di Siviglia.
Richiamato a
Roma nel 586 la sua vita cambiò radicalmente. Sulla Città Eterna ben presto si
abbatterono una serie di calamità da metterla in ginocchio. Nel 589 ci fu una
inondazione del Tevere, che allagò i depositi di grano della città, rovinando
tutto, e subito dopo ci fu una terribile epidemia di peste che si portò via
anche il papa Pelagio II, di cui era segretario. Il diacono Gregorio fu subito
acclamato papa del popolo romano e dal clero della città. Cercò di sottrarsi
all’incarico perfino ricorrendo all’imperatore e al patriarca di
Costantinopoli. Inutile. Diventò papa e fu una grande grazia per Roma, per l’Italia
e per la Chiesa intera.
Non solo per
Roma Gregorio fu padre amorevole, pieno di sollecitudine per il benessere
materiale e spirituale (celebri le sue omelie ai romani), attento alla buona e
giusta amministrazione a beneficio di tutti, (donò molta parte delle sue
sostanze per il sostegno dei poveri) ma il suo amore ed interesse pastorale e
politico si estesero a tutta la penisola. L’Italia era allora impoverita per le
continue invasioni, ultime quelle dei Goti e dei Longobardi. Il quadro sociale
era fatto di città in rovine, di profughi, di distruzioni e saccheggi ovunque.
Di fronte all’impotenza
di Costantinopoli, che avrebbe dovuto difendere l’Italia, Gregorio nel 592 si
spinse fino ad assumere la responsabilità delle operazioni militari contro i
Longobardi, dando ordini ai generali e pianificando l’attacco. Con la sua
tattica non solo riuscì a liberare Roma ma da buono e abile diplomatico, per
evitare altri massacri, firmò una pace separata con i Longobardi, facendo
infuriare così l’imperatore di Bisanzio, che gli mandò una lettera estremamente
offensiva.
Gregorio gli
rispose fermamente:
“Se la
schiavitù del mio paese non si aggravasse di giorno in giorno, io rimarrei in
silenzio, lieto di essere disprezzato e schernito. Ma ciò che mi affligge è che
la ragione per cui debbo sopportare accuse di menzogna è la stessa per la quale
ogni giorno di più l’Italia è condotta prigioniera sotto il giogo dei
Longobardi... Io mi aspetto più dalla misericordia di Gesù che viene, che non
dalla giustizia della vostra pietà”.
Gregorio morì
il 12 marzo del 604 e la sua politica verso i Longobardi si dimostrò
lungimirante e vincente.
Evangelizzatore
e Maestro di vita spirituale
Gregorio fu un
papa grande non solo per la riorganizzazione della chiesa di Roma, del diritto
canonico, per la riforma del clero ed il riordinamento dei monasteri, ma anche
per la sua intelligente attività apostolica. Tutto questo nonostante una salute
malferma. Si adoperò con successo per la conversione dei Longobardi e lavorò,
indirettamente, con l’amico Leandro di Siviglia per assicurare alla fede
cattolica i Visigoti nella Spagna.
Ma il suo
capolavoro apostolico fu la conversione dei popoli anglo-sassoni. Fu infatti
lui a mandare nel 596 ben quaranta monaci guidati da Agostino (diventerà sant’Agostino
di Canterbury) per la evangelizzazione dell’Inghilterra.
Gregorio è
anche uno scrittore importante. Ha lasciato una traccia profonda nel campo
della teologia, del diritto canonico ma specialmente dell’esegesi biblica.
Attività intellettuale che gli ha fatto guadagnare il titolo di “Dottore della
Chiesa” cioè Maestro di vita spirituale per tutti i fedeli. Gregorio era di
Roma ma è stato molto grande il suo interessamento per l’Italia intera. Questo
particolare risulta non solo nella sua attività “politica” ma anche in uno dei
suoi capolavori i “Dialoghi”. Gregorio li scrisse per respingere lo sfogo
pessimista del diacono Pietro (in verità, in sintonia con molti...
contemporanei). Questi si lamentava affermando che in Italia i tempi erano così
corrotti che era ormai impossibile trovare dei santi come nel passato. Il
pessimismo veniva confutato con il racconto della vita di tanti uomini virtuosi
viventi allora (e anche oggi) in Italia, che lui invece riusciva a “vedere”.
Ma è nel suo
amore totale alla Parola di Dio attraverso la “Lectio Divina” che Gregorio
lascia un grande messaggio a tutti noi. Per lui è la Scrittura la vera guida
nell’itinerario spirituale dell’anima a Dio. Non c’è vita spirituale se non
attraverso la conoscenza, le meditazione, la contemplazione della Parola di
Dio. È la Scrittura che fonda, stabilisce, vivifica, irrobustisce e fa crescere
nell’anima la vita spirituale, cioè il rapporto amorevole con Dio. Essa è la
vera ed unica “regola” spirituale. Più si assimila la Parola di Dio più si
cresce spiritualmente e si arriva così alla contemplazione e all’amore perfetto
per Dio ed il prossimo (alla santità).
È importante
mettere in risalto che la sua insistenza sulla Parola non valeva solo per i
suoi monaci ma per tutto il popolo di Dio, costituito dal clero e dai fedeli
insieme. Nessuno escluso. La Scrittura è il pane per il nutrimento spirituale
di tutti. La lettura della Parola di Dio “è indispensabile al Vescovo, che
Gregorio vuole sempre preoccupato di tale studio... È indispensabile ai monaci.
È finalmente indispensabile ad ogni fedele”.
È nella
lettera a Teodoro, medico, che Gregorio ha il più profondo richiamo a questa
lettura e che rimane l’aforisma più profondo di tutto il suo insegnamento a
proposito:
“Impara a
conoscere il cuore di Dio nella sua parola (Disce cor Dei in verbis Dei), onde
tu giunga a sospirare più ardentemente le cose eterne, e la mente ti si accenda
di maggior desiderio dei gaudi celesti” (B. Galati - L. Dattrino).
Un’ultima
annotazione che vuole essere anche il messaggio di Gregorio per l’uomo d’oggi:
il valore del silenzio. Per il grande Papa esso è condizione essenziale per
poter ascoltare sé stessi e lasciar parlare Dio alla propria anima. Se non c’è
questo silenzio ed un po’ di solitudine difficilmente si instaurerà quel
colloquio con Dio in cui consiste la preghiera e la contemplazione.
Facendo così,
dice Gregorio, sarà possibile “silenter cum Illo loqui” cioè “parlare in
silenzio con Lui”. Naturalmente non si tratta qui dell’invito ad una qualche
forma di esercizio o di seduta di solipsismo psichico, con risvolti e finalità
(inconsce) di tipo narcisistico e autocelebrativo, ma di una solitudine e di un
silenzio che renda possibile l’“habitare secum” cioè il dimorare con sé stessi
per arrivare ad essere “abitati da Dio”. Si tratta in altre parole della famosa
“unione con Dio”, senza la quale non c’è crescita spirituale, e tantomeno
santità cristiana.
Gregorio ci
raccomanda anche oggi che se vogliamo ascoltare Dio e parlare con Lui,
(ritrovando come conseguenza noi stessi) dobbiamo avere il coraggio di:
* mettere in parentesi temporaneamente
le cose esterne,
* arrestare per un po’ di tempo il
flusso delle cose mutabili per percepire la presenza dell’Immutabile,
* controllare lo scorrere del nostro
tempo per comunicare con l’Eterno che non passa,
* ascoltare la caducità e precarietà
della nostra vita quotidiana per ancorarci alla Roccia che è Dio.
Mi pare un
buon consiglio per combattere la fretta nevrotica e lo stress sempre in agguato
che sembrano divorare la vita di tanti uomini e donne del nostro tempo.
Da: MARIO SCUDU, Anche Dio ha i suoi campioni, Ed.
ELLEDICI, 2011
San Gregorio Magno papa di Monti Francesco
Bergamo, Accademia Carrara
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