IL TEATRO DELL’ALDILÀ
I DANNATI
Affreschi,
quadri, miniature, dal Duecento all'Ottocento, sparsi in città e nel contado,
raffiguranti dannati arsi dal fuoco, mostri e serpenti, terribili strumenti di
pena: è l'agghiacciante rappresentazione dell'inferno che per secoli ha
sostanziato l'immaginario collettivo.
Giosuè Bonetti e Matteo Rabaglio
foto di
Francesco Barbera
Claudio Bruni
Riccardo Schwamental
Annunciata
dalle pagine apocalittiche del Nuovo Testamento prima fra tutte quella di
Matteo, XXV, 31, la fonte biblica più utilizzata dall'omiletica e
dall'iconografia escatologiche‑ la fine dei tempi si presenta come il grande e
temibile rendiconto di tutta una vita, un terribile processo presieduto da un
giudice misericordioso, ma, nel contempo, giusto e inflessibile; un "Dio
dagli occhi di lince" (Delumeau, 725) che, dopo aver osservato e annotato
le azioni degli uomini per tutto il corso della loro esistenza, emetterà il
verdetto inappellabile: raccoglierà il "suo grano nel granaio, ma brucerà
la pula con fuoco inestinguibile" (Matteo, III, 12). Per l'eternità,
dunque, estensione temporale di difficile definizione, la cui traduzione passa
attraverso gli avverbi mai e sempre "quanto la durerete?
Sempre. Quando la finirete ? Mai", tuonava dal pulpito Sebastiano Pauli
nel XVIII secolo. Mai, in grandi caratteri stampatello, serra il muso
del Leviatano che incessantemente e voracemente ingurgita le anime perse nel
grande Giudizio Universale, di Cristoforo Baschenis il Vecchio, affrescato
nella chiesa della Trinità di Casnigo (anni Settanta del XVI secolo).
Nel
più antico Giudizio
attestato in area bergamasca, quello dell'aula della Curia Vescovile, a
Bergamo (XIII secolo), la narrativa non indugia sui castighi eterni inflitti ai
reprobi, limitandosi a registrare la separazione tra eletti e dannati,
collettivamente racchiusi in due ingombranti casse di legno, rossa per i beati,
bianca per i condannati. Per più compiutamente connotare il Giudizio nei
termini di un salutare monito capace di risvegliare il peccatore dal torpore
dei suoi vizi, la scena, altrove, si avvale di un immaginario orrorifico e
intimidatorio, torture, fuoco, mostri. Gli scenari evocati dagli
affreschi presenti nella chiesa cittadina di Matris Domini (XIV secolo),
dalle miniature di Antonio Suardi (XV secolo)[Giudizio
universale, La
città infernale], dal grande
Giudizio di S. Patrizio a Colzate introducono una più puntuale definizione
delle pene spettanti ai rei che, innaturalmente ammassati e incatenati, vedono
spalancarsi innanzi ai loro occhi la terribile eternità cui sono stati
condannati; esuberanti demoni, solerti esecutori delle sentenze divine,
traducono senza soverchie cerimonie ‑ trascinandoli per i capelli, come a
Colzate, oppure caricandoli in una gerla, come
alla Pianca (fine Quattrocento) ‑ i condannati dall'aula del tribunale al
luogo d'espiazione.
A partire dal XIV secolo si
accede al mondo infernale attraverso la bocca
del Leviatano (già presente nell' affresco di Almenno), enorme mostro
marino della mitologia fenicia, emblema del caos, il medesimo che regna presso
le fauci del mostro raffigurato dal Baschenis, dove s'affolla una massa di
reprobi disordinatamente e fastidiosamente pigiata, un'asfìttica calca che
configura l'inferno come l'impero del disordine e della sguaiataggine, di
contro all'ordine e alla compostezza delle regioni celesti. Il mostruoso e
irreversibile paesaggio introduce nella città infernale che, dai disegni del
Suardi, appare congegnata secondo i medesimi criteri delle città fortificate
bassomedioevali, con solide mura di cinta, possenti portoni e catenacci.
Entro
l'infausto borgo lo spazio si popola di "strumenti degni di un museo dei
supplizi (Vovelle 1986, 97) e si consumano la sofferenze più inaudite;
nell'inferno tardo seicento raffigurato nell'oratorio
della Madonna delle Valanghe a Capovalle, i dannati appaiono arsi dal fuoco
e assillati da mostri e serpenti, mentre più particolareggiate pene sembrano
tormentare le colpe, al tempo, maggiormente stigmatizzate, come la lussuria, a
cui i rospi divorano i seni; la bestemmia, trapassata da guancia a guancia da
uno stiletto; una colpa di non immediata intelligenza ‑forse l'eresia‑ cui un
possente chiodo trafigge le tempie. L'umanità racchiusa nelle plaghe infernali
è quanto mai varia;
a Casnigo demoni armati dell'inevitabile tridente sospingono tra le fauci dei
Leviatano, oltre ad anonimi peccatori e prevedibili infedeli ‑sono
riconoscibili, dal turbante, vari turchi‑, personaggi d'eccellenza del mondo
cattolico: papi, vescovi, preti, suore, re, a riprova che a Dio nulla può
sfuggire.
Le
intimidatorie fasi del Giudizio Universale e i tormenti infernali, plasticamente
esibiti lungo tutto il Medioevo e ancora "onnipresenti nel XVI
secolo" ), subiranno comunque una regressione all'indomani del Concilio di
Trento; dopo il seicento, "statisticamente parlando, il tema sparisce dai
muri delle chiese, sostituito da altre immagini che valorizzano il giudizio
individuale (le anime del Purgatorio)" (Vovelle,1989). In area
bergamasca un tardo
Giudizio Universale viene affrescato sulle pareti esterne del complesso
di S. Bernardino a Lallio, in occasione del colera del 1855; il dipinto,
che mostra un Cristo irato che scaglia saette e dannati condotti all'inferno,
riscrive e ripropone, a Ottocento inoltrato, il motivo dell'epidemia intesa
come flagello divino, castigo e monito rivolti all'umanità ribelle, tema
antico, assai praticato nei secoli precedenti.
Le raffigurazioni
escatologiche, comunque, scompaiono; con una tesi provocatoria, ma suggestiva,
Piero Camporesi imputa tale sbiadimento al fatto che le tradizionali e
agghiaccianti rappresentazioni infernali oggi si consumano qui, sulla terra,
nei cibi adulterati, nelle città ammorbate dai fumi tossici; “l'inferno dei
cinque sensi non è più laggiù, sepolto in corde terrae, [ma] si è
trasferito quassù, fra noi” (Camporesi, 10‑11).
BIBLIOGRAFIA
P.
Camporesi, La casa dell'eternità, Milano 1987
J.Delumeau,
Il peccato e la paura, Bologna 1987
M.
Vovelle, La morte e 1'0ccidente, Roma‑Bari 1986
M.
Vovelle, Immagini e immaginario nella storia, Roma 1989
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