domenica 11 novembre 2012

Dalle “Istruzioni” di san Doroteo di Gaza


Dalle “Istruzioni” di san Doroteo di Gaza
 

Cristo ci ha dato il potere di fare il bene, se lo vogliamo, e di non essere trascinati per forza al male. Perché chi è schiavo del peccato, ne è oppresso e trascinato, come dice la Scrittura: Ognuno è catturato dalle funi del suo peccato (Pro 5,22). E poi ci insegna come per mezzo dei santi comandamenti possiamo trovare purificazione dalle passioni stesse, così da non ricadere di nuovo negli stessi peccati per loro istigamento. Infine, ci mostra anche la causa per cui si giunge a disprezzare e a trasgredire gli stessi comandamenti di Dio e così ci offre un rimedio anche a questo male, perché possiamo obbedire ed essere salvati.

Qual è questo rimedio e qual è la causa del disprezzo? Ascoltate che cosa dice lo stesso nostro Signore: Imparate da me che sono mite e umile di cuore e troverete ristoro per le vostre anime. Ecco, brevemente, con una sola parola, ci ha mostrato la radice di tutti i mali e il rimedio, causa di ogni bene.

Il Signore ci ha additato che è stata la superbia a farci cadere e come non sia possibile trovare misericordia in altro modo se non opponendo alla superbia l’umiltà.

La superbia infatti genera il disprezzo e la disobbedienza che portano alla rovina, come l’umiltà genera l’obbedienza e la salvezza per le nostre anime. Questo però succede se siamo veramente umili, non solo a parole o in apparenza, ma se abbiamo un atteggiamento di vera umiltà che nasce dal cuore stesso, dalla coscienza stessa. Così dice infatti il Signore: Sono mite e umile di cuore.

Chi vuole trovare la vera pace per il cuore, impari l’umiltà e veda che in essa vi è ogni gioia, ogni gloria e ogni pace; come anche nell’orgoglio è tutto l’opposto!

Come siamo giunti a tutte queste tribolazioni? Perché siamo caduti in tanta miseria? Non è forse a motivo del nostro orgoglio?

Senza umiltà è impossibile seguire i comandamenti o arrivare a un qualche bene. I santi lo sapevano e cercavano l’unione con Dio in una vita di umiltà. Vi furono infatti alcuni amici di Dio che dopo il santo battesimo, non solo rinunciarono ad agire sotto l’impulso delle passioni, ma vollero vincere anche le passioni stesse e raggiungere l’impassibilità; così fecero il santo Antonio, Pacomio e gli altri padri teofori.

Essi compresero che, restando nel mondo, non avrebbero potuto ottenere facilmente la virtù e così escogitarono un’esistenza da stranieri, voglio dire la vita solitaria. Cominciarono a fuggire dal mondo, ad abitare nei deserti; digiunavano, dormivano per terra, vegliavano nella notte, affrontavano ogni altra penitenza; rinunciarono ad avere una patria, ai parenti, alle ricchezze e ai beni; in breve crocifissero per sé stessi il mondo. E non si accontentarono di osservare i comandamenti, ma offrirono a Dio anche dei doni. La verginità e la povertà sono doni: non sono comandamenti, sono doni.

E noi? Se abbiamo abbandonato le grandi cose, abbandoniamo anche le piccole; abbiamo abbandonato il mondo, abbandoniamo anche le sue attrazioni; infatti il fascino del secolo, anche tramite cose piccolissime, da nulla, veramente di nessun conto, ci lega di nuovo alle realtà mondane, senza che ce ne accorgiamo.

Se vogliamo essere del tutto liberi, impariamo a spezzare la nostra volontà; allora, poco per volta, con l’aiuto di Dio, avanzeremo fino a giungere alla piena liberazione dai moti passionali. Nulla è così utile all’uomo quanto rinunciare all’io. Davvero percorrendo questo itinerario uno progredisce sorpassando quasi ogni altra virtù. Come un uomo in viaggio scopre ad un certo punto una scorciatoia e la imbrocca, in modo che seguendo quella via guadagna un buon pezzo di strada, così è anche per chi percorre la via dell’amputazione egoistica. Rinnegando le proprie voglie è facile distanziarci da tutto e tramite quel distacco arriviamo, con l’aiuto divino, alla perfetta “apatheia”.

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