giovedì 31 gennaio 2013

Venerabili Schimonaci Cirillo e Maria genitori di s. Sergio di Radonezh


Venerabili Schimonaci Cirillo e Maria genitori di s. Sergio di Radonezh

28 settembre (11 ottobre) e 18 (31) gennaio

 

 

Santi prepodobnye Kirill e Marija, genitori di s. Serghij di Radonež
(vissuti tra il 1250 e il 1340 circa)


La qualifica di prepodobnij [traduzione letterale «somigliantissimo», sottinteso «a Cristo»] nell’Oriente bizantino-slavo è riservato ai monaci, e infatti Kirill e Marija conclusero la loro vita terrena dopo aver fatto la professione monastica in due monasteri vicini; e sono anche detti «schimonàchi», cioè monaco e monaca col «grande schima, il grado più alto in Oriente della consacrazione a Dio»[1]. Però la loro esaltazione come santi, fatta dal Sinodo episcopale riunitosi a Mosca dal 31 marzo al 4 aprile 1992 nel monastero San Daniele[2], è soprattutto in rapporto al fatto di essere stati i cristianissimi genitori del santo nazionale russo Serghij, igumeno[3] a Radonež. Ecco il testo ufficiale firmato dal patriarca Aleksij II e dai membri del Sinodo[4]:

 

In questo importante anno, in cui l’intera Chiesa russa celebra i 600 anni dalla morte del grande santo monaco Serghij, igumeno di Radonež, taumaturgo, il Santo Sinodo ricordando nella preghiera i suoi pii genitori, i santi monaci Kirill e Marija, attraverso i quali, secondo le parole del beato Epifanij Premudrij[5]: «Serghij fu donato da Dio a molte genti per il bene, la salvezza, l’aiuto, e quindi tale fanciullo conveniva nascesse da genitori giusti» - dopo aver esaminato le loro vite e il loro impegno ascetico, avendo notato queste loro virtù:

- la probità e pietà della loro vita nell’adempiere i comandamenti del Signore, Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo

- l’impegno nell’educare i propri figli nello spirito dell’ortodossia, di cui fu frutto il grande luminare della terra russa il santo monaco Serghij

- i fatti miracolosi, avvenuti per le preghiere dei santi monaci (Kirill e Marija)

- l’ininterrotta venerazione popolare verso di loro, con amore e devozione stabilisce:

1. Includere nell’elenco dei santi graditi a Dio per il culto di tutta la chiesa i santi monaci del grande schima Kirill e Marija già venerati localmente nella regione di Radonez.

2. I loro onorati resti, giacenti nella chiesa del Pokrov[6] nel monastero di Chot’kovo, vengano considerati sante reliquie a cui verrà dato degno culto ecclesiale.

3. La commemorazione liturgica dei due santi venga fissata al 28 settembre e al 16 gennaio, oltre al 6 luglio festa di Tutti-i-Santi di Radonež.

 

Il comunicato prosegue indicando che: a) dovrà essere preparato un ufficio liturgico proprio per i nuovi santi e nel frattempo si userà il comune dei santi-monaci; b) dovranno essere dipinte le icone dei santi Kirill e Marija per la venerazione da parte dei fedeli, come stabilito dal VII Concilio ecumenico; c) il testo della loro vita, approvato dal Sinodo, sarà diffuso stampato per l’edificazione e il pio insegnamento dei figli della Chiesa; d) di questa canonizzazione occorre dare gioioso annuncio a tutto il popolo russo e anche alle altre chiese ortodosse. Il comunicato si conclude invocando la divina benedizione, attraverso le preghiere e l’intercessione dei santi Kirill e Marija, su quanti ricorrono al loro celeste patrocinio.

Il lungo testo meritava di essere tradotto, anche per dare un’idea di come avviene una canonizzazione della Chiesa ortodossa russa ai nostri giorni, ma è tempo ora di dare informazioni sui santi genitori del grande e amatissimo san Serghij.

 
 
I santi Cirillo, Sergio e Maria
 

 
A circa 4 chilometri dall’importante città russa Rostov la grande si trovava la residenza dei distinti coniugi boiardi, di provenienza aristocratica, vissuti tra la seconda metà del XIII e i primi decenni del XIV secolo, Kirill e Marija. Avevano preferito quel semplice ambiente rurale alla dissipazione del palazzo principesco, dove però Kirill era collaboratore e uomo di fiducia del principe, che aveva anche accompagnato nei lunghi, pericolosi viaggi verso l’Orda tartara, necessari per farsi confermare negli incarichi e dirimere questioni importanti. Le loro terre (chiamate in russo Varnitsa, «saline») davano un prodotto modesto, tenendo conto delle frequenti invasioni tartare, del pagamento dei tributi, delle cattive annate di raccolto, ma la vita dei coniugi, esemplari cristiani, si svolgeva nella pace e nella saggezza, aperta all’ospitalità, benefica verso i poveri. Ebbero tre figli: Stefano, il maggiore, che rimasto vedovo si fece monaco ancor prima del fratello Bartolomeo (divenuto poi san Serghij), e un terzo, di nome Pietro. Le notizie su questi santi genitori le troviamo nelle biografie del grande igumeno della terra russa. Vi si narra, ad esempio, che durante una liturgia eucaristica il piccolo, ancora in grembo alla madre, emise un grido in tre momenti importanti del sacro rito, quasi preannunciando la sua particolare devozione alla Trinità. Quando Marija poi allattava il piccolo dopo aver mangiato carne, questi non prendeva cibo e ciò avveniva anche nei giorni di digiuno. I bravi genitori seguirono i figli nell’apprendimento a scuola, che per Bartolomeo risultava difficile, ma l’incontro con un vecchio monaco invitato nella casa paterna diede al fanciullo capacità nuove.

L’amorevole unione di quella pia famiglia si prolungò anche dopo il trasferimento, suggerito dalla situazione politica nuova, da Rostov nel principato di Mosca, con residenza nelle zone boscose di Radonež, quando Bartolomeo aveva circa 15 anni. Col passar degli anni lui solo restava coi genitori, i fratelli essendosi sposati, e avrebbe voluto farsi monaco, però obbedì alla richiesta del padre e della madre di rimandare un poco. A quell’epoca era diffusa in Russia la consuetudine di abbracciare la vita monastica negli ultimi anni di vita, e questo scelsero Kirill e Marija, accolti nel monastero del Pokrov a Chot’kovo, a circa 3 chilometri da Radonež, che aveva una sezione per gli uomini e una per le donne. Fecero prima la professione monastica e poi quella più impegnativa del grande schima, ma ormai si avvicinava il loro incontro con Dio, avvenuto tra il 1337 e il 1339, a coronamento di una vita sempre esemplarmente cristiana. La loro esaltazione fatta dalla Chiesa dopo oltre sei secoli è d’incoraggiamento, esempio e aiuto per i coniugi d’oggi. Nel calendario liturgico bizantino vi sono diverse coppie di sposi santi, specie martiri[7], ma Kirill e Marija, così uniti al grande Serghij, sono particolarmente amati dai fedeli, che recandosi in pellegrinaggio alla tomba di san Serghij, nella Laura della Trinità, spesso si recano anche a quella dei suoi genitori nel non lontano monastero del Pokrov[8] a Chot’kovo.

 

Da: M. DONADEO, Preghiere a S. Andreij Rubliov e ad altri santi russi canonizzati dal Patriarcato di Mosca dal 1977 al 1993, Genova, 1995, 109-114.

 

 

 

Tropario, tono 4

Dio dei nostri padri, che agisci sempre con noi secondo la tua clemenza, non ritirare da noi le tue misericordie, ma per le loro preghiere, dirigi nella pace le nostre vite.

 



[1] Cfr. M. DONADEO, La consacrazione religiosa in Oriente, in «Consacrazione e servizio», cit., 42-48.
[2] Sede ufficiale del Patriarcato, questo monastero, uno dei più antichi di Mosca, fu restituito pochi anni fa all’autorità ecclesiastica in vista delle celebrazioni del Millennio del Battesimo della Rus’, lì svoltesi nel 1988.
[3] Corrisponde ad «abate». Serghij, all’inizio eremita, fu poi superiore di un’importante comunità monastica, la Laura della Trinità, tuttora esistente a 70 chilometri da Mosca in una località per decenni detta Zagorsk, che ora ha ripreso l’antico nome di Serghij Posad.
[4] È stato pubblicato, in russo, anche a p. 79 ss. del Calendario ecclesiastico ortodosso del 1993.
[5] Cioè «il saggio», autore della più completa biografia di san Serghij, di cui fu discepolo, nel medesimo monastero, per 12 anni.
[6] Il Pokrov, cioè Protezione della Vergine, è festa mariana cara ai russi, celebrata il 1° ottobre. È il nome di diverse chiese, tra cui quella bellissima sulla piazza. Rossa, dal popolo detta di san Basilio, un «pazzo per Cristo» lì sepolto.
[7] Tra i santi sposi martiri ricordiamo: Terenzio e Neonilla (28 ottobre), Galaktion ed Episteme (5 novembre), Crisanzio e Daria (19 marzo), Timoteo e Maura (3 maggio). Per i russi la coppia più nota di santi coniugi non-martiri è quella di Fefronia e Piotr, morti nel 1228.
[8] Cfr. n. 6.

mercoledì 30 gennaio 2013

Apoftegmi di S. Antonio

Bergamo, Basilica di Santa Maria Maggiore
San Giacomo Maggiore e Sant'Antonio Abate, ambito lombardo

 
Apoftegmi di sant’Antonio

 

1. Un giorno il santo padre Antonio, mentre sedeva nel deserto, fu preso da sconforto e da fitta tenebra di pensieri. E diceva a Dio: «O Signore! Io voglio salvarmi, ma i pensieri me lo impediscono. Che posso fare nella mia afflizione?». Ora, sporgendosi un po’, Antonio vede un altro come lui, che sta seduto e lavora, poi interrompe il lavoro, si alza in piedi e prega, poi di nuovo si mette seduto a intrecciare corde, e poi ancora si alza e prega. Era un angelo del Signore, mandato per correggere Antonio e dargli forza. E udì l’angelo che diceva: «Fa’ così e sarai salvo». All’udire quelle parole, fu preso da grande gioia e coraggio: così fece e si salvò.

2. Il padre Antonio, volgendo lo sguardo all’abisso dei giudizi di Dio, chiese: «O Signore, come mai alcuni muoiono giovani, altri vecchissimi? Perché alcuni sono poveri, e altri ricchi? Perché degli empi sono ricchi e dei giusti sono poveri?». E giunse a lui una voce che disse: «Antonio, bada a te stesso. Sono giudizi di Dio questi: non ti giova conoscerli».

3. Un tale chiese al padre Antonio: «Che debbo fare per piacere a Dio?». E l’anziano gli rispose: «Fa’ quello che io ti comando: dovunque tu vada, abbi sempre Dio davanti agli occhi; qualunque cosa tu faccia o dica, basati sulla testimonianza delle Sante Scritture; in qualsiasi luogo abiti, non andartene presto. Osserva questi tre precetti, e sarai salvo».

4. Disse il padre Antonio al padre Poemen: «Questa è l’opera grande dell’uomo: gettare su di sé il proprio peccato davanti a Dio; e attendersi tentazioni fino all’ultimo respiro».

5. Egli disse ancora: «Nessuno, se non tentato, può entrare nel regno dei cieli; di fatto – dice – togli le tentazioni, e nessuno si salva».

6. Il padre Pambone chiese al padre Antonio: «Che debbo fare?». L’anziano gli dice: «Non confidare nella tua giustizia, non darti cura di ciò che passa, e sii continente nella lingua e nel ventre».

7. Il padre Antonio disse: «Vidi tutte le reti del Maligno distese sulla terra, e dissi gemendo: – Chi mai potrà scamparne? E udii una voce che mi disse: – L’umiltà».

8. Il padre Antonio disse: «Vi sono di quelli che martoriano il corpo nell’ascesi e, mancando di discernimento, si allontanano da Dio».

9. Disse ancora: «È dal prossimo che ci vengono la vita e la morte. Perché, se guadagniamo il fratello, è Dio che guadagniamo; e se scandalizziamo il fratello, è contro Cristo che pecchiamo».

10. Disse ancora: «Come i pesci muoiono se restano all’asciutto, così i monaci che si attardano fuori della cella o si trattengono fra i mondani, snervano il vigore dell’unione con Dio. Come dunque il pesce al mare, così noi dobbiamo correre alla cella; perché non accada che, attardandoci fuori, dimentichiamo di custodire il di dentro».

11. Disse ancora: «Chi siede nel deserto per custodire la quiete con Dio è liberato da tre guerre: quella dell’udire, quella del parlare, e quella del vedere. Gliene rimane una sola: quella del cuore».

12. Alcuni fratelli si recarono dal padre Antonio per raccontargli le loro visioni e apprendere se erano vere o dai demoni; essi avevano un asino, e morì lungo il cammino. Quando dunque giunsero dall’anziano, questi li prevenne: «Come mai l’asinello è morto lungo la strada?». Gli dicono: «E come l’hai saputo, padre?». Ed egli a loro: «Sono stati i demoni a farmelo vedere». Gli dicono: «E noi appunto per questo eravamo venuti: per chiederti se non siamo preda d’inganno, perché abbiamo visioni che spesso si mostrano vere». Ora, con l’esempio dell’asino, l’anziano li convinse che erano dai demoni.

13. Nel deserto c’era un tale che cacciava belve feroci; e vide il padre Antonio che scherzava con i fratelli e se ne scandalizzò. Ma l’anziano, volendo fargli capire che occorre talvolta accondiscendere ai fratelli, gli dice: «Metti una freccia nel tuo arco e tendilo». Egli lo fece. Gli dice: «Tendilo ancora», e lo fece. Gli dice un’altra volta: «Tendilo». Il cacciatore gli dice: «Se lo tendo oltre misura, l’arco si spezza». L’anziano gli dice: «Così accade anche nell’opera di Dio: se coi fratelli tendiamo l’arco oltre misura, presto si spezzano. Perciò talvolta bisogna essere accondiscendenti con i fratelli». Ciò udendo, il cacciatore fu preso da compunzione e se ne andò molto edificato. E anche i fratelli ritornarono confortati ai loro posti.

14. Il padre Antonio udì di un giovane monaco che aveva compiuto un prodigio sulla strada: visti degli anziani affaticati dal cammino, aveva ordinato agli onagri di venire e di portarli fino ad Antonio. Gli anziani riferirono la cosa al padre Antonio. Dice loro: «Quel monaco mi pare una nave piena di tesori; ma non so se giungerà in porto». Dopo qualche tempo, a un tratto, il padre Antonio si mette a piangere, a strapparsi i capelli, a gemere. I discepoli gli chiedono: «Padre, perché piangi?». Ed egli: «È crollata or ora una grande colonna della Chiesa» – intendeva dire di quel giovane monaco. «Ma andate da lui – dice – a vedere quel che è accaduto». I discepoli dunque vanno e trovano il monaco che, seduto su una stuoia, piange il peccato commesso. Al vedere i discepoli dell’anziano, egli dice: «Dite al padre che supplichi Dio di concedermi solo dieci giorni di tempo, e spero di poterne fare ammenda». Dopo cinque giorni morì.

15. Un monaco fu lodato dai fratelli presso il padre Antonio. Egli lo prese seco e lo mise alla prova per vedere se sopportava il disprezzo. Visto poi che non era capace di soffrirlo, gli disse: «Sembri un villaggio tutto adorno sul davanti e dietro devastato dai briganti».

16. Un fratello disse al padre Antonio: «Prega per me». L’anziano gli dice: «Non posso io avere pietà di te, e neppure Dio, se non sei tu stesso a impegnarti nel pregare Dio».

17. Un giorno, alcuni anziani fecero visita al padre Antonio; c’era con loro il padre Giuseppe. Ora l’anziano, per metterli alla prova, propose loro una parola della Scrittura e cominciò dai più giovani a chiederne il significato. Ciascuno si espresse secondo la propria capacità. Ma a ciascuno l’anziano diceva: «Non hai ancora trovato». Da ultimo, chiede al padre Giuseppe: «E tu, che dici di questa parola?». Risponde: «Non so». Il padre Antonio allora dice: «Il padre Giuseppe sì, che ha trovato la strada, perché ha detto: – Non so».

18. Dei fratelli, da Scete, vollero far visita al padre Antonio. Imbarcandosi per compiere il tragitto, trovarono un anziano che pure voleva recarsi colà; ma i fratelli non lo conoscevano. Seduti sul battello, discorrevano delle parole dei padri, e di quelle della Scrittura, e dei loro lavori; il vecchio taceva. Quando giunsero all’ancoraggio, si accorsero che anche il vecchio andava dal padre Antonio. Arrivati che furono da lui, il padre Antonio dice loro: «Avete trovato una buona compagnia in quest’anziano». E all’anziano: «Padre, ti sei trovato con dei buoni fratelli». L’anziano risponde: «Buoni lo sono; ma la loro corte è senza porta e chiunque vuole può entrare nella stalla e sciogliere l’asino». Intendeva dire che parlavano di qualunque cosa venisse loro alla bocca.

19. Dei fratelli fecero visita al padre Antonio e gli dissero: «Dicci una parola: come possiamo salvarci?». L’anziano dice: «Avete ascoltato la Scrittura? È quel che occorre per voi». Ed essi: «Anche da te, padre, vogliamo sentire qualcosa». L’anziano dice loro: «Dice il Vangelo: Se uno ti percuote sulla guancia destra, porgigli anche l’altra». Gli dicono: «Ma di far questo non siamo capaci». L’anziano dice loro: «Se non sapete porgere anche l’altra, tenete almeno ferma la prima». Gli dicono: «Neppure di questo siamo capaci». E l’anziano: «Se neppure di ciò siete capaci, non contraccambiate ciò che avete ricevuto». Dicono: «Neppure questo sappiamo fare». Allora l’anziano dice al suo discepolo: «Prepara loro un brodino: sono deboli». E a loro: «Se questo non potete e quello non volete, che posso fare per voi? C’è bisogno di preghiere».

20. Un fratello che aveva rinunciato al mondo e dato ai poveri i suoi beni, ma si era tenuto qualcosa per sé, fece visita al padre Antonio. Il padre, sapendo il fatto, gli dice: «Se vuoi farti monaco, va’ al tuo paese, compera della carne, legala attorno al corpo nudo e vieni qui». Così fece il fratello; e i cani e gli uccelli gli dilaniarono tutto il corpo. Quando fu giunto dal padre, questi gli chiese se avesse fatto secondo il suo consiglio: egli mostrò il suo corpo pieno di ferite. Sant’Antonio allora gli dice: «Quelli che rinunciano al mondo e vogliono tenersi dei beni, vengono in tal modo fatti a brani lottando contro i demoni».

21. Accadde a un fratello, nel cenobio del padre Elia, di soccombere alla tentazione; cacciato di là, se ne andò sul monte dove era il padre Antonio. Dopo un anno che era presso di lui, questi lo rimandò al cenobio donde era uscito; ma, veduto che l’ebbero, quelli lo ricacciarono. Egli tornò dal padre Antonio e disse: «Padre, non hanno voluto accogliermi». L’anziano allora lo rimandò con questo messaggio: «Una nave in mare è naufragata, ha perduto il carico, ed è riuscita a stento a salvarsi a terra; voi volete gettare a mare quello che è arrivato salvo a terra?». Essi, quando seppero che era stato il padre Antonio a rimandarlo, subito lo accolsero.

22. Il padre Antonio disse: «Ritengo che nel corpo ci sia un moto fisico connaturale, ma che non agisce se l’anima non vuole: è il semplice moto corporeo non passionale. C’è poi un altro moto che viene dal nutrire e curare il corpo con cibi e bevande: riscaldato da questi elementi, il sangue desta energia nel corpo. È a proposito di questo che l’Apostolo diceva: Non inebriatevi di vino, nel quale è la lussuria, e che il Signore nel Vangelo ordinò ai discepoli: Guardatevi dall’appesantire il cuore in crapula ed ebbrezza. E c’è anche un terzo moto: quello di chi è combattuto dall’assalto invidioso dei demoni. Si può dire dunque che ci sono tre moti corporei: uno che viene dalla natura, uno dai cibi presi senza discrezione, e il terzo dai demoni».

23. Disse ancora: «Dio non permette che contro questa generazione si scatenino guerre come contro le antiche; perché sa che è debole e non ha forza di sopportare».

24. Il padre Antonio, nel deserto, ebbe questa rivelazione: «In città c’è uno che ti somiglia: è di professione medico, dà il superfluo ai bisognosi, e tutto il giorno canta il trisagio con gli angeli».

25. Il padre Antonio disse: «Verrà un tempo in cui gli uomini impazziranno, e al vedere uno che non sia pazzo, gli si avventeranno contro dicendo: – Tu sei pazzo!, a motivo della sua dissimiglianza da loro».

26. Dei fratelli fecero visita al padre Antonio e gli proposero una parola del Levitico. L’anziano allora si appartò nel deserto; il padre Ammone, che ne sapeva le abitudini, lo seguì di nascosto. L’anziano, allontanatosi assai, ritto in preghiera, gridò a gran voce: «O Dio, manda Mosè a spiegarmi questa parola». E gli giunse una voce, e gli parlò. Ora, il padre Ammone disse: «La voce che gli parlava l’ho udita, ma non ho compreso il senso del discorso».

27. Tre padri avevano costume di andare ogni anno dal beato Antonio; due di loro lo interrogavano sui pensieri e sulla salvezza dell’anima; il terzo invece sempre taceva e non chiedeva nulla. Dopo lungo tempo, il padre Antonio gli dice: «È tanto ormai che vieni qui e non mi chiedi nulla». Gli rispose: «A me, padre, basta il solo vederti».

28. Si racconta che un anziano chiese a Dio di vedere i padri e li vide, ma il padre Antonio non c’era. Dice allora a colui che glieli mostra: «E il padre Antonio dov’è?». Gli disse: «Egli è là dove c’è Dio».

29. In un cenobio, un fratello fu falsamente accusato di impurità: e si recò dal padre Antonio. Vennero allora i fratelli dal cenobio, per curarlo e portarlo via. Si misero ad accusarlo: «Tu hai fatto questo». Ed egli a difendersi: «Non ho fatto nulla del genere». Accadde per fortuna che si trovasse colà il padre Pafnuzio Kefala; egli disse questa parabola: «Sulla riva del fiume vidi un uomo immerso nella melma fino al ginocchio; e vennero alcuni per dargli una mano, ma lo fecero affondare fino al collo». E il padre Antonio, riferendosi al padre Pafnuzio, dice loro: «Ecco un vero uomo, capace di curare e di salvare le anime». Presi da compunzione per la parola degli anziani, essi si inchinarono davanti al fratello; poi, esortati dai padri, lo riportarono al cenobio.

30. C’è chi racconta che il padre Antonio diventò pneumatoforo, ma non voleva parlare, a motivo della gente: poteva rivelare ciò che accadeva nel mondo e gli eventi futuri.

31. Un giorno, il padre Antonio ricevette una lettera dell’imperatore Costantino che l’invitava a Costantinopoli. E si mise a riflettere sul da farsi. Chiede dunque al padre Paolo, suo discepolo: «Bisogna andare?». Gli risponde: «Se vai, ti chiami Antonio; e se non vai, padre Antonio».

32. Il padre Antonio disse: «Io non temo più Dio, lo amo. Perché l’amore caccia il timore».

33. Il medesimo padre Antonio disse: «Abbi sempre davanti agli occhi il timore di Dio; ricordati di chi dà la morte e la vita; odiate il mondo e tutto ciò che contiene; odiate ogni soddisfazione carnale; rinunciate a questa vita e vivete per Dio; ricordatevi di ciò che avete promesso a Dio, perché ve ne chiederà conto nel giorno del giudizio; soffrite la fame, la sete, la nudità, vegliate, affliggetevi, piangete, gemete nei vostri cuori; esaminatevi se siete degni di Dio; disprezzate la carne per salvare le vostre anime».

34. Un giorno, il padre Antonio fece visita al padre Ammonio sul monte di Nitria. E, dopo che si furono incontrati, il padre Ammonio gli dice: «Poiché per le tue preghiere i fratelli sono cresciuti di numero e alcuni di loro vogliono costruire delle celle lontano per immergersi nell’unione con Dio, che distanza vuoi che ci sia di qui alle celle che verranno costruite?». Egli disse: «Mangiamo qualcosa all’ora nona e poi usciamo a fare un giro nel deserto per vedere il posto». Dopo che ebbero camminato nel deserto fino al tramonto, il padre Antonio gli dice: «Preghiamo e piantiamo qui una croce: qui costruiscano quelli che lo vogliono; in modo che quelli di laggiù, quando vogliano incontrarsi con questi, possano consumare la loro leggera refezione all’ora nona, e arrivare qui al tramonto; e quelli che partono di qui, facendo allo stesso modo, possano incontrarsi con gli altri senza averne distrazione». Ora, tale distanza è di dodici miglia.

35. Il padre Antonio disse: «Colui che batte un blocco di ferro, prima pensa a quel che vuole farne; se una falce, o una spada, o una scure. E anche noi dobbiamo sapere a quale virtù tendiamo, se non vogliamo faticare invano».

36. Disse ancora: «Obbedienza e continenza ammansiscono le belve».

37. Disse anche: «Ho visto monaci dopo molte fatiche cadere e uscir di senno perché avevano confidato nella loro opera e trascurato quel precetto che dice: Interroga il padre tuo ed egli te lo annunzierà».

38. Disse ancora: «Quando è possibile, il monaco deve affidarsi ai padri riguardo al numero dei passi da fare e delle gocce d’acqua da bere nella sua cella; se in queste cose non vuole cadere».

 

Da: Da: L. MORTARI (edd), Vita e detti dei padri del deserto, Città Nuova, Roma, 1997, 81-92.

Sant’Antonio il grande

 
Sant'Antonio abate
Chiesa di S. Giorgio in Lemine
 
Sant’Antonio il grande

17 (30) gennaio

 
Patrono di Berbenno, Costa Volpino, Vedeseta, Cantoni d’Oneta

  

Antonio il Grande di Luciana Mortari

 
Se le date tramandate dalla tradizione sono esatte, visse più di 100 anni, dal 250-51 al 356. Era nativo di un villaggio copto; di famiglia cristiana, di cultura semplice e limitata. «Frequentava con i genitori la chiesa… era sottomesso ai genitori» (Vita Antonii, 1, 3), era un giovane molto pio. Rimase presto orfano, solo con una sorellina: «aveva 18 o 20 anni e si prendeva cura della casa e della sorella» (ibid., 2, 1). Pochi mesi dopo, sentì irresistibilmente rivolta a lui la parola del Signore al giovane ricco, che udì leggere in chiesa: «Se vuoi essere perfetto va’, vendi tutto quello che possiedi, dallo ai poveri, e avrai un tesoro nei cieli, poi vieni e seguimi» (cf. Mt 19, 21). Per gradini successivi si diede a una vita di preghiera e penitenza, prima in casa; poi affidò la sorella «a delle vergini fedeli, che ben conosceva, perché fosse allevata nella verginità» (Vita, 3, 1), e iniziò una vita più solitaria nelle vicinanze del villaggio, seguendo l’esempio e l’insegnamento di un vecchio asceta che viveva da quelle parti. Vi erano infatti già persone che, da sole o in piccoli gruppi, consacravano tutta la loro vita al Signore nella verginità, penitenza e preghiera. Ma il fenomeno non aveva ancora raggiunto né particolari dimensioni, né l’aspetto di esodo dai luoghi abitati che si verificò sulla scia di Antonio; a buon diritto quindi egli ha avuto il titolo di padre del monachesimo. Il suo rapporto con quell’anziano, congiunto alla ricerca di qualche contatto con gli uomini amanti di Cristo, è una testimonianza viva di un punto essenziale della vita ascetica: il doversi mettere a scuola, il non poter iniziare senza maestro. Seguì poi il ritiro di Antonio più lontano dal mondo, in una delle tante tombe di una regione disseminata di sepolcri. Qui visse fino all’età di 35 anni, per inoltrarsi quindi nel deserto e insediarsi a Pispir, in un fortino semidistrutto. La sua fama diventa sempre più grande, e sempre più numerosa la gente che vuole udire da lui qualche parola. Frattanto cresce in lui il desiderio, inappagato, del martirio e di una solitudine sempre maggiore. Durante le persecuzioni di Diocleziano e Massimiano, si recò ad Alessandria sperando di essere anch’egli martirizzato, ma non avvenne così. «Serviva tuttavia i martiri nelle miniere e nelle carceri e, assistendo ai processi, con i suoi discorsi esortava appassionatamente i lottatori perché avessero più pronta buona volontà al martirio» (ibid., 46, 3). Placatasi la persecuzione, Antonio ritornò nella sua solitudine, ove «subiva ogni giorno il martirio della coscienza e lottava la lotta della fede» (ibid., 47, 1). Dato che molti lo molestavano insistentemente, si allontanò dal Nilo inoltrandosi ancor più nel deserto, in direzione del Mar Rosso, per fermarsi «in monte interiore» (ibid., 51, 1), nella parte più interna di una montagna che ancora oggi porta il nome di monte di S. Antonio, monte da cui si può vedere il Sinai. Questo fu l’ultimo luogo di soggiorno di Antonio, che egli non lasciò più se non per recarsi una seconda volta ad Alessandria, sollecitato dal vescovo Atanasio a intervenire a suo sostegno, assieme ad altri, in favore dell’ortodossia nella lotta contro gli ariani. Tornò presto nel luogo della sua solitudine ove, negli ultimi anni della sua vita, compì grandi prodigi. Previde la sua morte e ordinò ai due fedeli discepoli di seppellire il suo corpo in luogo sconosciuto a tutti, perché non avvenisse – come soleva accadere – che in eccessi di devozione i fedeli lo rubassero. I discepoli obbedirono; e analogamente a quanto è scritto del patriarca Mosè nella Bibbia (cf. Dt 34, 6), Atanasio scrive che «nessuno sa dov’è nascosto il corpo di Antonio» (Vita, 92, 2).


 
Bergamo, ex chiesa di S. Antonio in foris,
lunetta sopra l'architrave



Questi sono i dati essenziali di una vita che si sviluppa in modo organico verso una solitudine e un’immersione in Dio sempre più grandi, pur non potendo Antonio evitare un certo numero di contatti spirituali con persone che venivano a cercarlo. La Vita Antonii, scritta da Atanasio poco dopo la morte del grande eremita, ebbe subito un grandissimo successo, com’è provato dalla testimonianza di Agostino alla cui conversione contribuì fortemente (cf. Conf., VIII, 6, 14ss.), dal fatto che in breve fu tradotta in latino, copto, armeno, siriaco, arabo, etiopico e georgiano, e da numerose tracce del suo vasto influsso. Dalla Vita e da altre fonti risulta che Antonio scrisse – anzi quasi sicuramente dettò, non essendo in grado di scrivere direttamente – sette lettere ai monaci e alcune altre lettere di risposta all’imperatore, al vescovo, ad altri personaggi. Antonio conosceva soltanto il copto e aveva bisogno dell’interprete per rivolgersi a persone di lingua greca. La più antica versione greca è andata perduta, ma ne abbiamo una successiva, insieme ad altre versioni in diverse lingue, oltre a qualche frammento copto. «L’autenticità di queste lettere viene oggi unanimemente affermata» (VA, Cremaschi, p. 86, v. l’ampia bibliografia nella nota 8). In esse Antonio ribadisce la vocazione a “uscire” da tutto come Abramo e ad affaticarsi cercando il timore di Dio nella pazienza e nella quiete (I, 1, 239). Lo Spirito di conversione viene in aiuto e insegna a lottare contro l’avversario (I, 2, 240). Queste lettere sono un modello di teologia “pneumatica”; lo Spirito vi appare continuamente nella sua dinamica: «Lo Spirito gli attesta i suoi peccati affinché non vi ricada» (I, 4, 245). Davanti all’intercessione di tutti i santi, che pregavano per la guarigione della profonda ferita dell’uomo, il Padre celeste (…) disse: «Figlio dell’uomo, prepara quello che occorre per la prigionia (Ez 12, 3) e parti di tua volontà per l’esilio» (III, 2, 253). Nella biografia, Atanasio pone in bocca ad Antonio un lungo discorso, per così dire programmatico, della vita ascetica: penitenza, preghiera, lotta accanita contro i demoni compiuta soprattutto col segno della croce e col nome di Cristo; vivere giorno per giorno, non volgersi indietro alla vita passata, tener fisso lo sguardo all’eternità futura; un discorso molto più breve contro l’arianesimo; alcune dispute con filosofi pagani. Antonio appare come il tipo del cristiano formato dalla Scrittura e dall’esperienza, opposto al tipo del dotto educato nella cultura ellenistica. Com’è noto, nella Vita scritta da Atanasio occupa un posto eminente l’aspetto della lotta contro i demoni, che appaiono in tutte le fogge e sono inventori di ogni sorta di astuzie. Il quadro offerto dagli apoftegmi, che, pur non essendo moltissimi sono tuttavia estremamente ben scelti e bene accostati, è più ricco e ampio di quello che risulta dalla Vita, è più vario e completo del ritratto di altri anziani, che emerge da gruppi, numericamente anche più cospicui, di apoftegmi a loro attribuiti. Il compilatore della raccolta ha voluto evidentemente aprirla con un ritratto che si distinguesse per una particolare esemplarità e pienezza. Per fare ciò non ha avuto bisogno di aggiungere altri detti di Antonio che si trovano in altre raccolte, tanto è vasta e molteplice la gamma di questi. L’intenzione programmatica del compilatore è manifesta fin dal primo brano, che è chiaramente introduttivo, non solo della figura di Antonio, ma di tutto il mondo degli apoftegmi. Ci dipinge infatti con semplicità e forza la giornata di un monaco del deserto: giornata di solitudine, preghiera, lavoro, tentazioni. Non è possibile né elencare né riassumere le innumeri testimonianze rese ad Antonio dalla tradizione. Basti accennare a due fra le tante: l’autore di storia ecclesiastica Socrate dice che egli aveva gli occhi degli angeli, attraverso cui si vede Dio e si coglie la sua luce (HE, IV, 25); nel Commento al Vangelo di Matteo, Giovanni Crisostomo inserisce una grande lode di Antonio: «Si consideri il grande e beato Antonio, cui va ancora oggi l’ammirazione di tutto il mondo e che, nato in Egitto, è divenuto quasi uguale agli apostoli. Ricordiamoci che quest’uomo santo è nato nella terra dei faraoni, senza che da questi gli derivasse alcun danno. Anzi, egli è stato ben degno della visione divina e la sua vita non è stata altro che l’esatta manifestazione di quanto Gesù Cristo aveva comandato. Coloro che leggeranno attentamente il libro che riporta la storia della sua vita, riconosceranno ciò che ora io dico e si renderanno conto, da molte circostanze, che egli ha avuto anche il dono della profezia… leggete il libro della sua vita… questa lettura istillerà in voi grande virtù» (VIII, 5).

 

Da: L. MORTARI (edd), Vita e detti dei padri del deserto, Città Nuova, Roma, 1997, 77-81.

 

Le reliquie

Nel 561 le sue reliquie vennero traslate ad Alessandria d’Egitto, presso la chiesa di San Giovanni. Verso il 635, in seguito all’occupazione araba dell’Egitto, furono spostate a Costantinopoli. Nel XI secolo il nobile francese Jocelin de Chateau Neuf le ottenne in dono dall’Imperatore di Costantinopoli e le portò in Francia nel Delfinato. Nel 1070 il nobile Guigues de Didier fece costruire nel villaggio di La Motte presso Vienne una chiesa dove vennero traslate.

 

Per la tua edificazione puoi leggere:

Vita di Antonio di sant’Atanasio di Alessandria

 

Per conoscere le tradizioni legate a Sant’Antonio a Bergamo:





 

 
 

 
M. Mencaroni Zoppetti, Sant’Antonio di Vienne. Devozione e storia nell’antica contrada di Prato in Bergamo, Sestante, 2008

 

 

 

 

martedì 29 gennaio 2013

Venerazione delle preziose Catene di san Pietro


Venerazione delle preziose Catene del santo e glorioso apostolo Pietro

16 (29) gennaio

 

Intorno all’anno 43, il re dei Giudei, Erode Agrippa, vedendo i progressi della predicazione degli Apostoli, fu preso da folle bramosia di sangue contro i cristiani e fece uccidere di spada san  Giacomo, fratello di san Giovanni. Vedendo che ciò era gradito ai Giudei, fece anche arrestare san Pietro, il capo degli Apostoli, e lo fece gettare in carcere, attendendo il momento di offrirlo come oblazione per il piacere del popolo dopo la Pasqua. Per paura che fuggisse, aveva caricato l’apostolo di due pesanti catene di ferro attaccate a due soldati che montavano la guardia al suo fianco, e aveva posto sentinelle ad ogni uscita della prigione. Ma quella notte, grazie alla preghiera della Chiesa, Dio gli mandò un angelo splendente che apparendo riempì di luce le segrete. Scosse l’Apostolo addormentato per farlo alzare, e immediatamente le catene caddero dalle mani.
 
 


           Senza capire realmente cosa stesse accadendo e pensando di stare ancora dormendo, Pietro si cinse i fianchi, si mise i sandali e, guidato dall’Angelo, superò senza ostacoli tutti i posti di guardia. Quando finalmente giunse presso la città, l’angelo, avendo compiuto la sua missione, lasciò Pietro, che uscì dal suo torpore, ringraziando Dio, e corse verso la casa di Maria, madre di Giovanni, soprannominato Marco, dove i cristiani riuniti lo accolsero con grande gioia (Atti 12, 1-19). Le catene che caddero dalle mani del Santo Apostolo furono poi raccolte da pii cristiani e tramandate di generazione in generazione fino a quando non furono trasferite a Costantinopoli dall’imperatore e deposte nella chiesa di san Pietro, nei pressi di Santa Sofia, dove durante i secoli hanno compiuto molti miracoli e guarigioni.



Non v’è nulla di sorprendente in quanto non sono solo le ossa dei santi ad operare miracoli, ma anche le loro vesti o gli oggetti da loro toccati. La Sacra Scrittura dice che la grazia di Dio ha operato simili miracoli per mezzo dell’apostolo Paolo, fu sufficiente agli abitanti di Efeso applicare sui malati fazzoletti o panni che avevano toccato il suo corpo in modo che la malattia li lasciasse e gli spiriti maligni venissero scacciati (At 19, 11-12). La grazia increata di Dio che riempie l’anima purificata dei Santi, trabocca, di fatto, dai loro corpi, dai vestiti sui loro corpi e persino dai vestiti alla loro ombra, per compiere miracoli. Così, gli Atti degli Apostoli raccontano di nuovo riguardo a san Pietro, come moltitudini di uomini e donne portavano gli ammalati nelle piazze, stendendoli in terra, in modo che l’ombra del santo li coprisse con la sua ombra e desse loro la guarigione, o almeno la forza di vivere nella speranza (Atti 5, 15). Così la Chiesa ortodossa ha ereditato la pia consuetudine non solo di venerare il corpo dei Santi quale portatore di grazia, ma anche i loro vestiti, gli oggetti familiari o gli strumenti con cui essi hanno sofferto per il Signore.
 

 
 Le catene di san Pietro a Roma

Un’altra catena di san Pietro è venerata a Roma da tempo immemorabile, (nella tradizione occidentale la festa della Dedicazione della Basilica di San Pietro in Vincoli è celebrata il l agosto). Infatti il santo a Roma era legato in catene in attesa del suo martirio. Una leggenda medievale racconta che le catene della prigione di Gerusalemme furono inviate a Roma, e in seguito una parte fu portata a Costantinopoli.

 

Per la sua santa intercessione, o Dio, abbi pietà di noi e salvaci. Amìn

 

 

Tropario, tono 4

Senza lasciare Roma, sei venuto da noi mediante le preziose catene che hai portate, o tu che fra gli apostoli siedi sul primo trono. E noi, venerandole con fede, ti preghiamo di donarci, con la tua intercessione presso Dio, la grande misericordia.

 

Kontakion, tono 2. Cercando le cose dell’alto

Cristo, la pietra, che ha splendidamente glorificato la Pietra della fede, chiama tutti a festeggiare colui che detiene il primo trono per il prodigio della preziosa catena, affinché sia concesso il perdono delle colpe.

 

Altro kontakion, tono 2. La Madre di Dio che è sempre vigile nella preghiera

Celebriamo il corifeo, il primo degli apostoli, il sommo Pietro, divino ministro della verità, e baciamo con fede la sua catena, per ricevere il condono delle colpe.

 

lunedì 28 gennaio 2013

Sinassi dei santi gerarchi di Bergamo

S. Alessandro insieme ai santi Vescovi di Bergamo



Sinassi dei santi gerarchi di Bergamo

15 (28) gennaio

 

Tropario, tono 4

Dio dei nostri padri, che agisci sempre con noi secondo la tua clemenza, non ritirare da noi le tue misericordie, ma per le loro preghiere, dirigi nella pace le nostre vite.

 

Kontakion, tono 4

Come maestri di virtù ed ornamento della gerarchia, la Chiesa cantando vi celebra. Per le vostre preghiere, come invincibili, accordate, a chi vi onora con amore, più perfetta virtù e liberazione dalle tentazioni.

 
 

Dalle Lettere di sant’Ambrogio arcivescovo di Milano

 
Hai ricevuto il sacerdozio e, stando a poppa della Chiesa, tu guidi la nave sui flutti. Tieni saldo il timone della fede in modo che le violente tempeste di questo mondo non possano turbare il suo corso. Il mare è davvero grande, sconfinato; ma non aver paura, perché «è lui che l’ha fondata sui mari, e sui fiumi l’ha stabilita» (Sal 23, 2).

Perciò non senza motivo, fra le tante correnti del mondo, la Chiesa resta immobile, costruita sulla pietra apostolica, e rimane sul suo fondamento incrollabile contro l’infuriare del mare in tempesta. È battuta dalle onde ma non è scossa e, sebbene di frequente gli elementi di questo mondo infrangendosi echeggino con grande fragore, essa ha tuttavia un porto sicurissimo di salvezza dove accogliere chi è affaticato. Se tuttavia essa è sbattuta dai flutti sul mare, pure sui fiumi corre, su quei fiumi soprattutto di cui è detto: «Alzano i fiumi la loro voce» (Sal 92,3). Vi sono infatti fiumi che sgorgano dal cuore di colui che è stato dissetato da Cristo e ha ricevuto lo Spirito di Dio. Questi fiumi, quando ridondano di grazia spirituale, alzano la loro voce.

Vi è poi un fiume che si riversa sui suoi santi come un torrente. Chiunque abbia ricevuto dalla pienezza di questo fiume, come l’evangelista Giovanni, come Pietro e Paolo, alza la sua voce; e come gli apostoli hanno diffuso la voce della predicazione evangelica con festoso annunzio sino ai confini della terra, così anche questo fiume incomincia ad annunziare il Signore. Ricevilo dunque da Cristo, perché anche la tua voce si faccia sentire. 

Raccogli l’acqua di Cristo, quell’acqua che loda il Signore. Raccogli da più luoghi l’acqua che lasciano cadere le nubi dei profeti. Chi raccoglie acqua dalle montagne e la convoglia verso di sé, o attinge alle sorgenti, lui pure come le nubi la riversa su altri. Riempine dunque il fondo della tua anima, perché il tuo terreno sia innaffiato e irrigato da proprie sorgenti. Si riempie chi legge molto e penetra il senso di ciò che legge; e chi si è riempito può irrigare altri. La Scrittura dice: «Se le nubi sono piene di acqua, la rovesciano sopra la terra» (Qo 11, 3).

I tuoi sermoni siano fluenti, puri, cristallini, si che il tuo insegnamento morale suoni dolce alle orecchie della gente e la grazia delle tue parole conquisti gli ascoltatori, perché ti seguano docilmente dove tu li conduci. Il tuo dire sia pieno di sapienza. Anche Salomone afferma: Le labbra del sapiente sono le armi della Sapienza (cfr. Prv 15, 7), e altrove: Le tue labbra siano ben aderenti all’idea: vale a dire, l’esposizione dei tuoi discorsi sia lucida, splenda chiaro il senso senza bisogno di spiegazioni aggiunte; il tuo discorso si sappia sostenere e difendere da se stesso e non esca da te parola vana o priva di senso.

domenica 27 gennaio 2013

Giorno della memoria

 
 
Secondo volantino

Non ci si può intendere con il nazionalsocialismo sul piano spirituale, perché esso non è spirituale. È un errore parlare di una visione nazionalsocialista del mondo; infatti, se esistesse, bisognerebbe tentare di dimostrarla o combatterla con mezzi spirituali. Ma la realtà ci offre un'immagine completamente diversa: già al suo primo apparire, questo movimento era indirizzato all'inganno del prossimo, già allora era profondamente corrotto e poteva salvarsi solo attraverso continue menzogne. Lo stesso Hitler scrive in una delle prime edizioni del "suo" libro (un libro che è stato scritto nel peggiore tedesco che io abbia mai letto; e, ciò nonostante è stato elevato al rango della Bibbia dal popolo dei poeti e dei pensatori): «È incredibile come si debba ingannare un popolo per poterlo governare». Se all'inizio questo tumore cancrenoso del popolo tedesco non si è reso troppo visibile, ciò è accaduto soltanto perché esistevano forze ancora buone, sufficienti al lavoro necessario a controllarlo. Ma quando esso divenne sempre più grande e, infine, giunse al potere con un'ultima generale corruzione, il tumore, in un certo senso, si aprì e infettò tutto il corpo, la maggior parte degli oppositori di un tempo si nascose, l'intelligenza tedesca si rifugiò in uno scantinato per soffocare lì, lentamente, come piante grasse sottratte alla luce e al sole. Ora siamo alla fine. Ora è decisivo questo: ritrovarsi uno di fronte all'altro, illuminarsi da uomo a uomo, riflettere sempre e non darsi tregua, fino a quando anche l'ultimo uomo sia convinto della estrema necessità della sua lotta contro questo sistema. Se, infine, un'ondata di rivolta attraverserà il Paese, se questo "si sente nell'aria", se molti collaborano, allora con un ultimo, potente sforzo questo sistema potrà essere rovesciato. Una fine con orrore è sempre meglio di un orrore senza fine.

Non ci è stata data possibilità di esprimere un giudizio definitivo sul senso della nostra storia. Ma se questa catastrofe deve servirci per la salvezza, allora solo così potrà accadere: saremo purificati dal dolore, vedremo sorgere la luce dalla notte più profonda, ci scuoteremo e finalmente ci aiuteremo a liberarci dal giogo che opprime il mondo.

Non vogliamo scrivere, in questo foglio, della questione ebraica, né pronunciare discorsi in difesa. No, solo come esempio vogliamo ricordare brevemente il dato di fatto che, dalla occupazione della Polonia, trecentomila ebrei sono stati assassinati in quel Paese nel più bestiale dei modi. Qui noi vediamo il più orrendo delitto contro la dignità umana, un delitto che non ha confronti in tutta la storia dell'umanità. Anche gli ebrei sono uomini, qualunque sia la posizione che si vuole assumere sulla questione ebraica; e tutto questo è stato perpetrato contro degli uomini. Forse qualcuno dice che gli ebrei hanno meritato questo destino; questa affermazione sarebbe una mostruosa presunzione; ma, ammesso che qualcuno lo affermi, quale posizione assumerebbe in relazione al fatto che l'intera gioventù aristocratica polacca è stata sterminata (voglia Dio che ciò non sia ancora compiuto!)? In che modo, Lei chiederà, questo è avvenuto? Sono stati deportati in Germania, nei campi di concentramento per i lavori forzati, tutti i giovani tra i quindici e i venti anni, discendenti maschi di nobili casate; e in Norvegia, nei bordelli delle SS, tutte le ragazze della stessa età! A che scopo Le raccontiamo queste cose, visto che Lei già conosce, se non questi, altri delitti ugualmente gravi di questa orribile specie di esseri subumani? Perché qui viene toccato un problema che ci riguarda tutti profondamente e deve dare a tutti da riflettere. Perché il popolo tedesco è così inerte dinanzi a questi crimini, tanto orrendi e disumani? Quasi nessuno ci riflette. Il fatto viene accettato come tale e consegnato ad acta. E di nuovo il popolo tedesco cade nel suo ottuso e stupido sonno e dà a questi criminali fascisti il coraggio e l'occasione per continuare ad uccidere, ed essi lo fanno. È questo il segno che i tedeschi sono abbrutiti nei loro più intimi sentimenti umani? Che nessuna corda vibra in essi di fronte a simili azioni? Che sono ormai affondati in un sonno mortale dal quale nessun risveglio sarà più possibile, mai, giammai? Sembra così e così certamente è se i tedeschi non usciranno finalmente da questo torpore, se non protesteranno, dovunque e ogni volta che potranno, contro questa cricca di criminali, se non parteciperanno al dolore di queste centinaia di migliaia di vittime. E dovranno provare non solo compassione per questo dolore, no, ma molto di più: corresponsabilità. Infatti, anche solo con il loro inerte atteggiamento essi danno a questi uomini oscuri la possibilità di agire così; essi sopportano questo "governo" che ha assunto su di sé una colpa infinita, certo, ma, soprattutto, essi stessi sono responsabili del fatto che tale governo ha potuto avere origine! Ogni uomo vuole dirsi estraneo a questo tipo di corresponsabilità, ognuno lo fa e poi ricade nel sonno con la coscienza più serena e migliore. Ma egli non potrà dirsi estraneo: ciascuno è colpevole, colpevole, colpevole!

Tuttavia non è ancora troppo tardi, per eliminare questo che è il più ripugnante tra tutti i peggiori governi del mondo, per non assumere su di sé altre responsabilità. Adesso che i nostri occhi, in questi ultimi anni, sono stati aperti, adesso che sappiamo con chi abbiamo a che fare, adesso è il momento decisivo per sterminare quest'orda bruna. Fino allo scoppio della guerra la maggioranza del popolo tedesco era cieco, i nazionalsocialisti non si mostravano nel loro vero aspetto, ma adesso che li abbiamo riconosciuti, sterminare queste belve deve essere l'unico e sommo dovere, perfino il più sacro dovere di ogni tedesco.

«Felice quel popolo il cui governo non si fa sentire. Il popolo il cui governo è opprimente, viene soffocato. La miseria, ahimè, è ciò su cui si costruisce la fortuna. La fortuna, ahimè, occulta solo miseria. Come andrà a finire? La fine non è ancora visibile. L'ordine si trasforma in disordine, il bene si trasforma in male. Il popolo cade nello smarrimento. Non è forse così, ogni giorno, da tempo? Per questo l'uomo elevato ha angoli retti, ma non urta, è spigoloso, ma non ferisce; egli è giusto, ma non brusco. È limpido, ma non vuole risplendere».

Lao-Tze


«Io non vedo raggiungere il suo scopo colui che cerca di dominare il regno e di formarlo secondo il suo volere: questo è tutto».

« Il regno è un organismo vivente: in verità, non può essere costruito artificialmente! Chi vuole provarci, lo rovina; chi vuole impadronirsene, lo perde».

Perciò: «alcuni esseri precedono, altri li seguono, alcuni hanno il respiro caldo, altri freddo, alcuni sono forti, altri deboli, alcuni raggiungono la pienezza, altri naufragano».

« L'uomo elevato evita l'eccesso, evita la superbia, evita la sopraffazione».

Lao-Tze

 
Preghiamo di fare quante più copie possibile di questo scritto e di diffonderle.

 
 
Terzo volantino

"Salus publica suprema lex"

Tutte le forme ideali di Stato sono utopie. Uno Stato non può essere costruito in modo puramente teorico, ma deve crescere e maturare come fa un singolo uomo. Ma non bisogna dimenticare che lo Stato è stato presente in forma embrionale all'inizio di ogni civiltà. La famiglia è antica quanto l'uomo stesso e, da questa iniziale aggregazione, l'uomo capace di raziocinio si è creato uno Stato il cui fondamento deve essere la giustizia e il cui scopo supremo deve essere il bene comune. Lo Stato deve rappresentare per analogia l'ordine divino e la più sublime di tutte le utopie, la civitas dei, è il modello al quale esso deve, in definitiva, orientarsi. Non vogliamo qui formulare giudizi sulle possibili, diverse forme di Stato, la democrazia, la monarchia costituzionale, la monarchia assoluta e così via. Solo una cosa vuole essere rilevata in modo chiaro ed univoco: ogni singolo uomo ha diritto ad uno Stato giusto e utile, che garantisca la libertà del singolo così come il bene della comunità. Infatti, in conformità alla volontà di Dio, l'uomo deve cercare di raggiungere il suo fine naturale e la sua felicità terrena, libero e indipendente nella comunità, di vita e di lavoro, dello Stato.

Ma il nostro attuale "Stato" è la dittatura del maligno. "Questo lo sappiamo già da tempo", ti sento obiettare, "e non abbiamo alcuna necessità che ci sia ricordato ancora una volta". Ma, ti chiedo, se lo sapete perché non reagite, perché permettete che questi tiranni, passo dopo passo, in modo evidente o in segreto, vi derubino dei vostri legittimi beni, uno dopo l'altro, finché, un giorno, nulla, ma proprio nulla resterà, se non un congegno statale meccanizzato, comandato da criminali e ubriaconi? È già così sottomesso alla violenza il vostro spirito, da dimenticare che non è solo un vostro diritto, ma anche vostro dovere morale, eliminare questo sistema? Ma se un uomo non ha più la forza di rivendicare i propri diritti, allora è assolutamente certo che finirà in rovina. Meriteremmo di essere dispersi per il mondo come polvere nel vento, se non ci sollevassimo in questa ultima ora e non trovassimo finalmente il coraggio che finora ci è mancato. Non nascondete la vostra viltà sotto il velo della prudenza. Infatti, per ogni giorno in cui indugiate, in cui non vi opponete a questa creatura infernale, la vostra colpa aumenta, come in una curva parabolica, sempre più in alto.

Molti, forse la maggior parte dei lettori di questi volantini non hanno un'idea chiara di come si possa esercitare una opposizione efficace. Non vedono alcuna possibilità. Noi vogliamo tentare di mostrar loro che ognuno può fare qualcosa per il crollo di questo sistema. Non sarà possibile preparare il terreno per la caduta di questo "governo" o anche provocarne al più presto il crollo con una opposizione individuale, da eremiti amareggiati, ma solo attraverso la collaborazione di molti uomini convinti ed attivi, uomini concordi sui mezzi con cui potranno raggiungere il loro obiettivo. Noi non abbiamo un'ampia possibilità di scelta circa tali mezzi, ne abbiamo solo uno a disposizione: la resistenza passiva.

Il significato e lo scopo della resistenza passiva è di portare il nazionalsocialismo alla caduta e in questa lotta non dobbiamo arretrare davanti a nessuna strada, a nessuna azione, in qualsiasi ambito esse si collochino. Il nazionalsocialismo deve essere aggredito in tutti i luoghi in cui è possibile farlo. Deve essere preparata al più presto una fine per questo non-Stato, una vittoria della Germania fascista in questa guerra avrebbe conseguenze imprevedibili e tremende. La prima preoccupazione di ogni tedesco non può essere la vittoria militare sul bolscevismo, ma la sconfitta del nazionalsocialismo. Questa deve stare assolutamente al primo posto. In uno dei nostri prossimi volantini Le dimostreremo la estrema necessità di questa esigenza.

Ed ora ogni convinto oppositore del nazionalsocialismo deve porsi questa domanda: come combattere nel modo più efficace lo "Stato" attuale, come infliggergli i colpi più duri? Senza dubbio, con la resistenza passiva. È ovvio che non possiamo dare ad ognuno direttive per il suo comportamento, possiamo solo indicarlo in linea di massima; ognuno, poi, deve trovare la via della realizzazione.

Sabotaggio nelle fabbriche di armi e nelle industrie di guerra, sabotaggio di ogni adunata, raduno, manifestazione, festeggiamento o organizzazione creati per iniziativa del partito nazionalsocialista. Frapposizione di ostacoli al regolare funzionamento della macchina da guerra (una macchina che lavora esclusivamente per una guerra che serve solo alla salvezza ed alla conservazione del partito nazionalsocialista e della sua dittatura). Sabotaggio in tutti i settori scientifici e spirituali che svolgono attività per la continuazione della guerra, siano essi università, istituti universitari, laboratori, uffici tecnici. Sabotaggio in tutte le istituzioni di tipo culturale che potrebbero aumentare il "prestigio" dei fascisti presso il popolo. Sabotaggio in tutti i settori delle arti figurative che abbiano un rapporto, anche il più insignificante, con il nazionalsocialismo o siano al suo servizio. Sabotaggio in tutte le pubblicazioni, in tutti i quotidiani che siano al soldo del "governo", che lottano per le sue idee e per la diffusione della menzogna bruna. Non elargite un centesimo alle raccolte di fondi organizzate in strada (anche quando sono fatte con il pretesto di opere di beneficenza). Questa, infatti, è solo una simulazione. In realtà, il ricavato non va a beneficio né della Croce Rossa, né delle persone bisognose. Il governo non ha bisogno di questo denaro, non è finanziariamente interessato a queste raccolte – le macchine tipografiche già lavorano senza interruzione e producono qualsiasi quantità di banconote si voglia. Ma il popolo deve essere costantemente tenuto sotto pressione, la pressione della cavezza non può mai allentarsi! Non date nulla per le raccolte di metalli o tessuti e materiali di altro genere. Cercate di convincere tutte le persone che conoscete, anche quelle dei ceti popolari meno abbienti, della insensatezza a continuare, della mancanza di prospettive per questa guerra, della schiavitù, spirituale ed economica, causata dal nazionalsocialismo, della distruzione di ogni valore morale e religioso e di indurle alla resistenza passiva!


Dalla Politica di Aristotele:

« [...] Inoltre appartiene» (alla essenza della tirannia) «fare in modo che nulla rimanga nascosto di quanto qualunque suddito dica o faccia, ma che delle spie lo seguano ovunque... inoltre aizzare, in tutto il mondo, l'uno contro l'altro e gli amici contro gli amici, il popolo contro gli aristocratici e i ricchi tra loro. Inoltre è tipico di queste regole tiranniche impoverire i sudditi, affinché la guardia del corpo possa essere retribuita e perché essi, occupati dai bisogni delle loro esigenze quotidiane, non abbiano tempo e agio per cospirare… ma anche queste elevate entrate fiscali, come quelle imposte a Siracusa, dove sotto Dionisio i cittadini spesero per le tasse nel corso di cinque anni tutti i loro beni. E il tiranno tende continuamente anche a provocare guerre [...] »

Per favore, copiare e distribuire!

sabato 26 gennaio 2013

Dal Trattato sulla Trinità di sant’Ilario di Poitiers


Chirotonia di S. Ilario, da un manoscritto del XIV sec.


Dal Trattato sulla Trinità di sant’Ilario vescovo di Poitiers

1, 1-13
 

Mi sono messo in cerca del senso della vita. Ricchezza e agi presentano dapprima un’attrattiva ... Tuttavia, la maggioranza degli esseri umani, spinti dalla loro stessa natura, hanno scoperto che l’uomo ha qualcosa di meglio da fare che rimpinzarsi e ammazzare il tempo.

All’uomo la vita è stata data per compiere un’opera valida, per esercitare un’arte qualificata. Non è possibile che gli sia stata data senza un guadagno per l’eternità. Come altrimenti stimare dono di Dio una vita così rosa dall’angoscia, ostacolata da tante contrarietà e che di per se stessa non può fare altro che logorarsi, dai balbettii della culla ai vaneggiamenti della vecchiaia?

Ecco gli uomini che hanno messo in pratica la pazienza, la castità e il perdono. Vivere bene significava per loro agire e pensare bene. Poteva il Dio immortale darci una vita senza altro orizzonte che la morte? Poteva ispirarci tanto desiderio di vivere, se questo non doveva approdare ad altro che all’orrore della morte? ...

Allora ho cercato una migliore conoscenza di Dio ... Parecchie religioni ammettono l’esistenza di varie famiglie di divinità. Si immaginano dèi maschi e dèi femmine e indicano le discendenze di codesti dèi che nascono gli uni dagli altri. Altre religioni affermano che esistono divinità maggiori e divinità minori, con attributi diversi. Certi pretendono che non c’è affatto Dio e venerano la natura che, secondo loro, deve la sua esistenza all’effetto di un gioco e del caso. I più tuttavia ammettono l’esistenza di un Dio, ma lo stimano indifferente verso gli esseri umani ...

Stavo riflettendo su codesti problemi quando scopersi dei libri che la religione ebraica dice essere stati composti da Mosè e dai Profeti. Vi trovai questa testimonianza che il Dio creatore rende di se medesimo in questi termini: “Io sono Colui che sono” e: “Ecco quello che dirai ai figli di Israele: Colui che è mi ha mandato a voi” (Es 3,14). Fui pieno di ammirazione per questa definizione perfetta che traduce in parole intelligibili l’incomprensibile conoscenza di Dio. Niente meglio dell’essere suggerisce Dio. Ciò che non può avere né termine né inizio ... E poiché l’eternità di Dio non può rinnegare se stessa, Dio, per affermare la sua inaccessibile eternità, non ha avuto bisogno d’altro che di affermare solennemente che Egli è. Ma occorreva riconoscere anche l’opera divina ...

“Egli tiene il cielo nel suo palmo e la terra nel palmo della sua mano” (Is 40,12); e più oltre: “Il cielo è il mio trono e la terra lo sgabello dei miei piedi ... La mia mano non ha forse fatto tutte le cose?” (Is 66,12) ...

Le immagini prese in prestito dalle cose create significano che Dio esiste in esse e fuori di esse, che Egli le trascende e le pervade, che Egli supera e abita tutte le cose: la mano e il palmo della sua mano simboleggiano la potenza della sua divinità che si svela. Il trono e lo sgabello indicano che Egli domina sulle cose esteriori perché è ad esse interiore; nello stesso tempo le avvolge e le rinchiude all’interno di se stesso. Sta dentro e fuori di tutto ... Niente può sfuggire a Colui che è l’Infinito ...

Ciò che veniva in luce attraverso le mie ricerche era bene espresso dal profeta: “Dove andare lungi dal tuo spirito, dove fuggire lontano dalla tua faccia? Se salgo ai cieli, là tu sei, se mi stendo all’inferno, eccoti! Se prendo le ali dell’aurora, e vado ad abitare ai confini del mare, là ancora mi guiderà la tua mano, mi afferrerà la tua destra” (Sal 139, 7 10). Non v’è alcun luogo senza Dio, non v’è luogo se non in Dio ...

Ero felice di contemplare il mistero della sua sapienza, e la sua inaccessibilità. Adoravo l’eternità e l’immensità del mio Padre e Creatore. Ma desideravo pure contemplare la bellezza del mio Signore ...

Il mio fervore, tradito dalla debolezza della mia mente, restava prigioniero della propria ricerca quando scoprii nelle parole del profeta questo magnifico pensiero su Dio: “Il Creatore si svela, per analogia, nella bellezza delle sue creature” (Sap 13,5). Il cielo e l’aria sono belli, la terra e il mare sono belli. L’universo deve alla grazia divina il nome di “cosmo” datogli dai Greci, e che significa “ornamento” ... Il padrone della bellezza creata non deve forse essere la bellezza di ogni bellezza? ...

Ma quali frutti trarre da una santa intuizione di Dio, se la morte sopprime ogni sentimento, se mette fine irrevocabilmente a un’esistenza esaurita? ... La mia mente si smarriva, tremando per se stessa e per il suo corpo. Era angosciata per la sua sorte, e per il corpo in cui abitava e che sarebbe perito con essa, quando, dopo la Legge e i Profeti, venni a conoscere la Dottrina dellEvangelo e dei suoi apostoli: “In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio. Tutto è stato fatto per mezzo di lui ... E il Verbo si è fatto carne ed ha abitato in mezzo a noi e noi abbiamo visto la sua gloria, gloria che riceve dal Padre suo come unico Figlio pieno di grazia e di verità” (Gv 1,1-14).

La mia intelligenza sorpassò lì i suoi limiti e apprese su Dio più di quanto presentiva. Compresi che il mio Creatore era Dio nato da Dio. Appresi che il Verbo era Dio, e con Lui fin dal principio. Conobbi la luce del mondo ... Compresi che il Verbo si è fatto carne, che ha abitato in mezzo a noi ... Quelli che lo hanno accolto sono stati fatti figli di Dio, con una nascita non dalla carne, ma dalla fede ... Questo dono di Dio è offerto a tutti ... È ricevuto dalla libertà che vi trova il suo compimento.

Ma questa stessa facoltà data a ciascuno di essere figlio di Dio si arenava in una fede debole, esitante. Le nostre difficoltà rendono dolorosa la speranza, il desiderio si esaspera e la fede si indebolisce. È per questo che il Verbo di Dio si è fatto carne: per mezzo del Verbo fatto carne, la carne poteva elevarsi fino al Verbo ... Senza privarsi della sua divinità, sì è fatto il Dio della nostra carne ... La mia anima accolse nella gioia la rivelazione di questo mistero. Per mezzo della carne mi avvicinavo a Dio, per mezzo della fede ero chiamato a una nuova nascita. Potevo ottenere la rigenerazione dall’alto ... Ero sicuro di non poter essere ridotto al niente.