lunedì 31 dicembre 2012

Te Deum - Тебе Бога хвалим

Te Deum - Тебе Бога хвалим


Nella Chiesa ortodossa russa l’inno Te Deum di sant’Ambrogio di Milano è conosciuto come Тебе Бога хвалим (Tebe Boga khvalim - Ti lodiamo Dio), e viene cantato come inno di ringraziamento per la conclusione di qualche ufficiatura o festa solenne, o anche per qualche evento di carattere gioioso (ad es. è previsto dopo la Liturgia nella Domenica del Trionfo dell’Ortodossia, a conclusione dell’anno civile o di un anno accademico, ecc..), eseguito solitamente nel tono terzo, ma non mancano composizioni sul testo in slavo ecclesiastico di grandi autori come D. S. Bortnianskii, S. I. Davydov e N. A. Rimsky-Korsakov. Il compositore italiano G. Sarti nel 1779 compose un Te Deum sul testo slavo, commissionatogli da Caterina II, per celebrare la presa della città di  Očakov da parte del principe Potëmkin nella guerra russo-turca.



Тебе Бога хвалим eseguito da Mikhail Yakovlev (G. Kolomna)


Тебе Бога хвалим,/ Тебе Господа исповедуем./ Тебе Превечнаго Отца вся земля величает;/ Тебе вси Ангели,/ Тебе небеса и вся Силы./ Тебе Херувими и Серафими непрестанными гла́сы взывают:/ Свят, Свят, Свят, Господь Бог Саваоф,/ по́лны суть небеса и земля величества славы Твоея./ Тебе преславный Апостольский лик,/ Тебе пророческое хвалебное число,/ Тебе хвалит пресветлое мученическое воинство,/ Тебе по всей вселенней исповедует Святая Церковь,/ Отца непостижимаго величества,/ покланяемаго Твоего истиннаго и Единороднаго Сына/ и Святаго Утешителя Духа./ Ты, Царю славы, Христе,/ Ты Отца Присносущный Сын еси./ Ты, ко избавлению приемля человека,/ не возгнушался еси Девическаго чрева./ Ты, одолев смерти жало,/ отверзл еси верующим Царство Небесное./ Ты одесную Бога седи́ши во славе Отчей,/ Судия́ приити́ ве́ришися./ Тебе убо просим:/ помози рабом Твоим,/ ихже Честною Кровию искупил еси./ Сподоби со святыми Твоими в вечней славе Твоей царствовати./ Спаси люди Твоя, Господи,/ и благослови достояние Твое,/ исправи я и вознеси их во веки;/ во вся дни благословим Тебе/ и восхвалим имя Твое во веки и в век века./ Сподоби, Господи, в день сей без греха сохранитися нам./ Помилуй нас, Господи, помилуй нас;/ буди милость Твоя, Господи, на нас,/ я́коже упова́хом на Тя./ На Тя, Господи, уповахом,// да не постыдимся во веки. Аминь.




 
Тебе Бога хвалим di D. Bortniansky

domenica 30 dicembre 2012

Domenica dei Santi Progenitori


Santa Maria Maggiore, La filoxenìa di Abramo


Domenica dei Santi Progenitori
(La Domenica che cade tra l’11 e il 17 dicembre)
 
              In questa Domenica, in preparazione della Natività di nostro Signore, ricordiamo il patriarca Abramo e la sua discendenza, antenati di Cristo. La storia di Abramo e della sua fedeltà si può leggere nel libro della Genesi.

            “Attraverso il collegamento dei santi Antenati e Patriarchi, il nostro Salvatore Gesù Cristo stesso è anche Lui, in un certo senso, frutto della fede di Abramo. Così, quando Dio fa conoscere la sua voce a ciascuno di noi, mentre siamo ancora in quella terra straniera delle passioni e delle vanità mondane, come Abramo dobbiamo senza esitazione lasciare tutto ciò che è nostro, e seguire la divina chiamata con la fede fino a raggiungere la Terra Promessa in cui, a nostra volta, saremo in grado di dare alla luce spiritualmente Cristo, perché, piantato in noi mediante la Fede e il Battesimo, Egli cresca in noi attraverso le virtù in modo da brillare alla luce della contemplazione. Noi discendenti di Abramo, figli della promessa come fu Isacco, siamo diventati figli di Dio attraverso il dono del Santo Spirito, per vedere quindi Cristo formato in noi... Vediamo dunque da parte nostra di divenire come gli antenati di Cristo e continuare saldi nella fede, perché possiamo celebrare la festa della sua Natività, dicendo: non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me”. (Dal Sinassario)

 


Tropario, tono 2

Hai giustificato con la fede i progenitori, attirando a te, tramite loro, la Chiesa delle genti. Si vantano nella gloria i santi, perché dal loro seme procede un frutto insigne: colei che senza eme ti ha partorito. Per le loro suppliche, o Cristo Dio, salva le anime nostre.

 

Exapostilàrion

Amici dei padri, riuniamoci oggi per celebrare esultanti la loro memoria, la memoria di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, come dobbiamo: da essi è apparso secondo la carne il Cristo Signore, nella sua grande compassione.

 

 

Per la tua edificazione puoi leggere:

sabato 29 dicembre 2012

Lettera L di san Teofane il recluso


Lettera L di san Teofane il recluso

 

     Bisogna ricordarsi di Dio. Bisogna giungere al punto che il pensiero di Dio si unisca e si fonda alla mente, al cuore e alla nostra coscienza. Perché si rafforzi tale memoria e tale pensiero, bisogna lavorare su se stessi, senza pigrizia. Lavorate su voi stessa, Dio ve ne farà dono e voi la raggiungerete. Ma se non la raggiungerete, non se ne farà nulla di voi, non avrete alcun successo nella vita spirituale, anzi essa non vi sarà, perché questa è la vita spirituale. Ecco, dunque, quanto è importante!

      Sforzandovi di conoscere il pensiero di Dio, unite ad esso tutto ciò che vi è noto di lui, le sue proprietà e le sue opere, approfondendo l’uno e l’altra. Riflettete di più sulla creazione di Dio e la sua provvidenza, l’incarnazione del Verbo di Dio e l’opera della nostra salvezza, compiuta da lui, la sua morte, la risurrezione e l’ascensione al cielo, l’invio dello Spirito Santo, l’edificazione della santa Chiesa, depositaria della verità e della grazia e della preparazione di una dimora celeste per quanti credono nel regno di Dio e per voi stessa. Aggiungete la riflessione sulle proprietà divine, l’indicibile bontà, la sapienza, l’onnipotenza, la verità, l’onnipresenza, l’onniscienza, la beatitudine e la grandezza.

      Considerate tutto questo durante la preghiera e, soprattutto, durante la lettura. Quando avrete riflettuto su tutto e lo contemplerete chiaramente, allora quando penserete a Dio, avrete non un pensiero spoglio, ma un pensiero che è accompagnato e che richiama una moltitudine di altri pensieri, fonte di salvezza, che agiscono nel cuore e che generano l’energia dello spirito. Potrete comporre una vostra breve preghiera di lode a Dio, in cui sia compreso tutto questo. Così, per esempio: «Gloria a te, o Dio, adorato nella Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo! Gloria a te che tutto hai creato! Gloria a te che non ci hai abbandonato nella nostra caduta! Gloria a te, Signore Gesù Cristo, che sei disceso, ti sei incarnato, hai sofferto, sei morto per noi, sei risorto, sei asceso al cielo e ci hai mandato lo Spirito Santo, hai istituito la tua Chiesa per la nostra salvezza e ci hai promesso e hai preparato il regno celeste! Gloria a te, Signore, che hai preparato in modo straordinario la salvezza di ogni persona e di interi popoli. Gloria a te, Signore, che mi hai attratto alla salvezza».

      Cercate di chiarire, soprattutto, quest’ultimo punto. Siate consapevole della grande misericordia di Dio proprio verso di voi, e ringraziatene sempre il Signore. Ringraziatelo perché vi ha fatto nascere, perché vi ha posto in mezzo ad un popolo cristiano, con genitori devoti, che vi hanno ottimamente educata. Ringraziatelo perché egli pone in voi tali sante decisioni, quali vi siete da poco riproposta e vi preparate a sostenere. Considerate ancora tutta la vostra vita dall’inizio, dal momento in cui vi ricordate e notate tutti i casi in cui siete scampata alla fortuita disgrazia o quando avete ricevuto gioie inattese. Non notiamo, poi, molte disgrazie, perché ci passano accanto senza che ce ne accorgiamo. Volgendoci indietro, però, non possiamo non notare che ogni tanto ci attendeva una disgrazia e non ci ha toccato, ma come sia passata non possiamo dirlo. Considerate nella vostra vita questi casi e riconoscete che questa è stata una misericordia di Dio verso di voi, perché vi ama. Vedrete che vi è un’innumerevole quantità di misericordie divine, celate in voi, in ciascuno di noi e tutte vengono da Dio. Ricordatele queste misericordie e ringraziate Dio con tutto il cuore. Se esaminerete bene, però, il corso della vostra vita, troverete non pochi casi di una manifesta misericordia di Dio verso di voi. Doveva esservi una disgrazia, ma non vi ha toccato, non si sa come. Dio vi ha salvato. Riconoscete questo e ringraziate Dio, che vi ama.

      La coscienza delle misericordie, comuni a tutti, rinsalda il cuore, tanto più se si considerano quelle fatte a noi in particolare. L’amore accende l’amore. Sentendo che Dio vi ama, non potete rimanere fredda di fronte a lui, il cuore stesso sarà attratto a lui dal senso di ringraziamento e dall’amore. Conservate il cuore permeato da questa convinzione d’amore del Signore per voi e il cuore si infiammerà presto d’amore per il Signore. Quando questo si compirà, allora non vi sarà necessario alcun ricordo per rammentarvi di Dio, nessun consiglio su come riuscirvi. L’amore non vi permetterà di dimenticare l’amato Signore, neppure per un minuto. Questo è il traguardo.

     Accettate questo e convincetevene. E poi, indirizzate proprio a questo tutto il lavoro intrapreso per rafforzare nella mente e nel cuore il pensiero di Dio.

     Vi sarà difficile, forse, riflettere da sola sulle proprietà e le opere di Dio. Credo, però, che abbiate gli scritti di san Tichon. Nelle sue lettere dal monastero troverete il sussidio migliore. Il santo chiaramente contempla ogni proprietà e opera di Dio e la descrive con forza e convinzione che, se leggete con attenzione, si trasfonderanno nel vostro cuore.

 


Da: Teofane il Recluso, Lettere, Roma, 1996², 169-172.

 

 

venerdì 28 dicembre 2012

Dal "Commento al Padre nostro" di san Massimo il confessore

 


Dal Commento al Padre nostro di san Massimo il confessore
 

            Il Verbo di Dio fatto carne ci insegna la teologia, in quanto mostra in sé il Padre e lo Spirito Santo, poiché tutto il Padre e tutto lo Spirito Santo erano essenzialmente e perfettamente in tutto il Figlio incarnato. Non perché si fossero incarnati, ma l’uno compiacendosi e l’altro collaborando con il Figlio che attuava la propria incarnazione. Poiché il Verbo continuava a essere dotato di mente e di vita e non era comprensibile secondo l’essenza assolutamente a nessuno se non al Padre e allo Spirito. È infatti secondo l’ipostasi che egli, per amore degli uomini, ha effettuato l’unione con la carne.

            Egli ci dà poi la filiazione divina, donandoci la generazione e con la con-deificazione soprannaturale dall’alto, mediante lo Spirito, nella grazia. La difesa e la custodia in Dio di tale stato dipende poi dalla determinazione volontaria dei generati, che ami con sincera disposizione la grazia donata e, con la pratica dei comandamenti, si dia premura di rendere più fulgida la bellezza data per grazia. Tale determinazione volontaria, svuotando dalle passioni, tanto si appropria della divinità, quanto il Verbo di Dio, svuotandosi volontariamente della sua purissima gloria, conforme all’economia, veramente divenne e fu detto uomo.

            Egli ha poi reso gli uomini pari agli angeli. Non soltanto pacificando mediante il sangue della sua croce… le cose che sono nei cieli, e quelle che sono sulla terra (Col 1, 20), annientando le potenze avverse che riempivano lo spazio tra il cielo e la terra, unendo le potenze del cielo e della terra in un’unica assemblea festosa alla quale partecipare i suoi doni divini, così che la natura umana facesse risuonare la lode della gloria di Dio, esultando in una sola e identica volontà con le potenze dell’alto; non soltanto questo, perché egli, compiuta la sua economia per noi, ascendendo con il corpo che aveva assunto, ha unito mediante se stesso cielo e terra, ha congiunto le realtà intellegibili e quelle sensibili, e ha rivelato la natura creata una nelle sue parti estreme, tutta in sé connessa mediante la virtù e la conoscenza della Causa prima. Con ciò che egli misticamente compie, io penso che egli mostri come il Logos sia l’unione di ciò che è diviso, e la mancanza di logos, la divisione delle cose unite. Impariamo dunque ad appropriarci con la pratica del Logos così da unirci non solo agli angeli per virtù, ma anche a Dio nella conoscenza, distaccandoci dagli esseri.

            Egli ci dà poi di partecipare alla vita divina, rendendo se stesso cibo, in un modo che sa lui e che sanno quelli che da lui hanno ricevuto una tale percezione intellettuale, così che, gustando questo cibo, sanno di vera conoscenza che buono è il Signore, egli che fa partecipi quelli che mangiano di una qualità divina per la loro deificazione, poiché egli veramente è e vien chiamato pane di vita e di potenza.

            La restaurazione della natura in sé stessa egli la opera non solo perché, fattosi uomo, custodì la volontà impassibile e tranquilla nei confronti della natura, tanto che essa non fu affatto scossa dal suo stato naturale neppure contro coloro che lo crocifiggevano (al contrario egli per loro scelse la morte anziché la vita, mostrando con ciò la volontarietà della sua passione, stabilita dall’amore per l’uomo di colui che pativa); non solo in tal modo, ma anche perché annientò l’inimicizia, inchiodando alla croce la condanna scritta del peccato – che provocava nella natura una spietata guerra contro sé stessa; e, chiamando i lontani e i vicini – cioè quelli che erano sotto la legge e quelli che ne erano fuori – abbatté il muro di mezzo della divisione, cioè spiegò la legge dei comandamenti con i suoi decreti, dai due creando un solo uomo nuovo, facendo la pace e riconciliandoci mediante sé stesso al Padre e fra di noi. Così che la nostra volontà non sia più in contrasto con la ragione della natura, ma che noi siamo resi immutabili sia rispetto alla natura che alla volontà.

            Egli rende pura la natura dalla legge del peccato, non permettendo che il piacere presieda alla sua incarnazione per noi. Il suo concepimento infatti avvenne straordinariamente senza seme e la sua nascita soprannaturalmente, senza corruzione. Dio cioè, mentre veniva partorito, ancor più, oltre la natura, stringeva il vincolo della verginità della madre sua con la nascita e liberava tutta la natura dal potere della legge che la dominava, in quelli che lo vogliono e che mortificano nella percezione sensibile le loro membra terrestri, a imitazione della sua morte volontaria. Il mistero della salvezza infatti è di chi lo vuole: non si impone come una tirannide.

            Egli distrugge la tirannide del Maligno che si era impadronito di noi con l’inganno: gli getta contro, come arma, la carne vinta in Adamo, e così lo vince. Mostra in questo modo come la carne, che prima era stata catturata dalla morte, cattura colui che l’ha catturata e, con la morte della natura, distrugge la vita di quello: la carne fu per lui come un veleno, che gli fece vomitare tutti quelli che era stato capace di ingoiare, per la forza della morte che possedeva; fu invece vita per il genere umano, come un lievito che sospingeva tutto l’impasto della natura umana alla risurrezione di vita. Poiché per essa soprattutto – cosa veramente mirabile a udirsi! – il Verbo, essendo Dio, diventa uomo, e volontariamente accetta la morte della carne.

 

 

giovedì 27 dicembre 2012

San Viatore vescovo di Bergamo

 
San Viatore
Bergamo, Aula Picta


San Viatore il confessore, secondo vescovo di Bergamo

14 (27) dicembre

 

S. Viatore è unanimemente ritenuto il successore del primo vescovo di Bergamo s. Narno, quindi è il secondo della serie episcopale bergamasca.

Il suo episcopato si svolse all’incirca dal 343 al 370; è quasi sicuro che partecipò al Concilio di Sardica (Sofia in Bulgaria) del 342-343 e che ne sottoscrisse i decreti, infatti s. Atanasio nella sua Apologia contra Arianus lo cita tra i sottoscrittori del Concilio.

Della sua vita non si sa altro, ma il culto che gli è stato tributato è antico e certissimo, come risulta da vari Calendari dei secoli XI - XII - XIII; dalle Litanie di un codice del secolo XII; dalla lapide sepolcrale scoperta nel 1561. [Usuardo nel martirologio inviato a Carlo Magno menziona  san Viatore come Confessore[1]].

I cronisti di Bergamo raccontano, che sin dall’antichità, il 13 dicembre vigilia della festa e del giorno della morte, i canonici di S. Vincenzo si recavano alla cattedrale di S. Alessandro [per i vespri] dove erano accolti con il suono delle campane, incenso e acqua benedetta.

Vari Martirologi storici lo riportano sempre al 14 dicembre; s. Viatore fu sepolto nella cripta della cattedrale di S. Alessandro, al lato sinistro del sepolcro del santo martire; sulla tomba fu costruito un altare.

Il 1° agosto del 1561 le sue reliquie, insieme a quelle degli altri santi lì custodite, furono con solennità trasferite nella cattedrale di S. Vincenzo, perché per ordine del governo di Venezia, a cui apparteneva Bergamo in quell’epoca, si dovette abbattere l’antica cattedrale di S. Alessandro.

San Viatore è raffigurato in varie opere d’arte; nell’androne dell’antico palazzo dei vescovi, è affrescato nitidamente accanto a s. Narno in un’opera del XIII secolo. [Figura sempre insieme a san Narno in un affresco del XIV secolo, sulla parete di fondo del braccio sinistro del transetto di Santa Maria Maggiore]. Poi in una tela del 1742 del pittore bolognese Francesco Monti, posta nel coro del duomo di Bergamo e ancora è raffigurato nel grandioso affresco della cupola e in una tela posta in sagrestia, sempre rivestito dagli abiti episcopali[2].

La Chiesa Ortodossa celebra la beata memoria di san Viatore il Confessore il 14 dicembre.

 
 

 
Santi Narno e Viatore
Bergamo, Santa Maria Maggiore


Tropario di san Viatore, tono 3

Hai brillato con opere di ortodossia ed ogni eresia hai spenta, sei divenuto vittorioso insieme all’assemblea dei gerarchi, mostrandoci, o Viatore, la Via: Cristo Teantropo, che hai degnamente confessato, Egli che a tutti concede la Sua grande misericordia.

 

Kontakion di san Viatore, tono 2

Oggi, con inni e lodi acclamiamo Viatore, lume della fede e sapiente gerarca, campione della verità e maestro di Bergamo. Egli intercede presso Cristo nostro Dio, perché possiamo essere salvati.

 




[1] Cfr. L. DENTELLA, I vescovi di Bergamo, Bergamo 1939.
[2] Tratto [con alcune integrazioni] dal sito santi e beati

mercoledì 26 dicembre 2012

Canone di santa Lucia

 
Santa Lucia
Credaro, chiesa di san Giorgio



CANONE DI SANTA LUCIA MARTIRE A SIRACUSA

che si celebra il 13 dicembre
 

di san Bartolomeo il giovane di Rossano

 

 

Acrostico:

Te canto, che hai il nome sinonimo di luce.

 

ODE I

Risplendente per il fulgore della verginità e rivestita della porpora cruenta del martirio, o Lucia, tu che hai il nome da luce, siedi alla destra del Re, come una bellissima regina.

Fortificata nell’animo dalla virtù della croce, o martire Lucia, tu rintuzzasti virilmente i vani assalti dell’errore e divenisti torre incrollabile di amore verso Dio e protettrice di quanti ti lodano con cuore sincero.

Come già tu facesti ristagnare il flusso di sangue nella madre tua, così in virtù delle tue preghiere, o vaga vergine, arresta i flussi sensuali delle mie passioni e mondami con la pioggia delle lagrime della divina contrizione, affinché io degnamente ti glorifichi.

Theotokion: Nel vederti, o Vergine, nella tua icona santissima, sorreggere nelle tue verginali mani Colui che con le sue mani divine regge l’universo, divenuto bambino per la salvezza degli uomini, con amore irresistibile ti glorifichiamo e con tutta pietà baciamo la tua immagine.

 

ODE III

Sei tutto dolcezza e tutto desiderabile, o Verbo di Dio; e tutta olezzante degli odori dei Tuoi profumi celesti la pura colomba Lucia rinunziò alla ricchezza, alle gioie, alla gloria ed al mortale sposo terreno.

O gloriosa e santa Lucia, l’illustre città di Siracusa ti onora come un giglio fragrante, adornata come sei dalla vaghezza della verginità; con essa e con il tuo martirio profumi l’universo.

Libera, o vergine, dalle tentazioni, dai peccati e dalle tribolazioni, quanti celebrano con amore la tua santa, gloriosa ed insigne memoria; rendili partecipi con le tue preghiere della eterna gloria.

Theotokion: Nel contemplarti, o Vergine, nella tua immagine, sorreggente nelle tue braccia bambino Colui che sorregge tutto l’universo, non posso contenermi dal salutarla, e dal pregarti a farmi compiere la volontà del tuo Figlio.

 

CATHISMA

Adorna della vaghezza della verginità, risplendente per la palma del martirio, come colomba immacolata volasti ed ascendesti nel più alto dei cieli, o eroica martire Lucia, perciò prega per noi il Signore.

 

ODE IV

Dopo aver rifornito la tua lampada, o martire, con l’olio della tua verginità, con gioia entrasti nel banchetto nuziale celeste.

O vaghissima vergine, con le mistiche ali splendenti del biondo oro della carità, volasti come bellissima tortorella al Cielo.

Fondata sulla pietra della fede, o martire, tu resti inconcussa con la divina grazia, atterrando le mura dell’errore.

O vaghissima vergine, ottenebrato dai malvagi pensieri ed ognora oscurato dalla nebbia delle passioni, illuminami colle irradiazioni luminose delle tue preghiere.

Theotokion: In te, o Sposa divina, ho posto tutta la mia speranza; con la tua misericordiosa bontà custodiscimi sotto la tua protezione.

 

ODE V

Tutta infiammata dal fuoco d’amore dello Sposo celeste, con le effusioni del tuo sangue tu spegnesti i carboni ardenti dell’errore.

Con lo splendore vaghissimo della verginità, o eroina Lucia, tu accecasti i tuoi nemici, che bramavano macchiare la tua purezza verginale.

Come già facesti cessare il flusso del sangue della tua madre, o gloriosa e celeberrima Lucia, così ora dissecca i flussi delle mie passioni.

Theotokion: Rifugio dei peccatori, speranza dei disperati, aiuto degli oppressi, salva, o Madre di Dio, i tuoi servi.

 

ODE VI

Tutta splendente delle divine irradiazioni luminose del Sole spirituale spuntato dalla Vergine, Gesù Cristo, tu, o gloriosa Lucia, fugasti le tenebre del politeismo ed illuminasti le anime dei fedeli.

Ripiena delle effusioni vivificanti dello Spirito Santo, con la sapienza del tuo discorso confondesti Pascasio, e lo svergognasti, riportando, o pura e vaga vergine, la corona della vittoria.

Facesti disseccare i germogli dell’ateismo, sospirando ardentemente l’Albero della Vita Cristo, o eroina Lucia; pregaLo ora che faccia degni della vita eterna noi che ti lodiamo con cantici.

Theotokion: Ecco che ora i prìncipi del mondo si prostrano davanti a te, o misericordiosa immacolata, poiché tu hai partorito Dio, datore di ogni bene.

 

ODE VII

O celeberrima Lucia, accesa dell’amore di Dio nel tuo cuore, tu rimanesti intatta come i tre fanciulli in mezzo alle fiamme, mentre esultante di gioia con amore cantavi: benedetto il Dio dei padri nostri.

O Lucia, che hai nome da luce, che sei ripiena della luce divina, e godi della luce della Santissima Trinità, illumina me ottenebrato dalle tenebre del peccato ed in pericolo (di perdermi), e salvami con le tue preghiere.

Theotokion: O Signora, dispensa la tua grazia a quanti ti lodano e venerano con acceso amore la tua santissima e divina icona e con fede glorificano il tuo Figlio nelle due nature.

 

ODE VIII

La vergine Agata lottando virilmente divenne la difesa e la custodia della città di Catania; tu di poi, o celeberrima Lucia, divenisti irremovibile muraglia e torre di bontà per la città di Siracusa, che canta: o popoli, esaltate Cristo per tutti i secoli.

Mostrando il coraggio dei martiri, o beatissima eroica Lucia, avendo confuso i ministri dell’impudicizia, tu rimanesti irremovibile nella verginità. Percossa dalla spada del carnefice e refiziata santamente coi Sacri Misteri, tu deponesti il tuo spirito nelle mani del tuo Creatore.

I cori dei vergini splendidamente accolsero te, vergine bella ed immacolata, purissima, inviolata ed incorrotta, nei luminosi tabernacoli celesti, ove ti introdussero le schiere degli angeli, coi quali incessantemente canti: o sacerdoti, lodate, o popoli, esaltate Cristo per tutti i secoli.

Con le tue sante preghiere, o santa Lucia, vivifica, rialza e risana me che sono ferito dagli stolti ed impuri pensieri, caduto nelle colpe ed ucciso dalle passioni; mentre con amore canto: o sacerdoti, lodate, o popoli, esaltate Cristo per tutti i secoli.

Theotokion: Il Divino Signore senza lasciare il seno del Padre, si fa vedere bambino nelle tue braccia, o immacolata; pregaLo incessantemente che salvi coloro che a te con fede cantano: o fanciulli, benedite, o sacerdoti, lodate, o popoli, esaltate Cristo per tutti i secoli.

 

ODE IX

O combattitrice Lucia, ascendendo la scala delle sante virtù, tu raggiungesti il glorioso vertice del martirio, ed ora dimori dove sono i cori dei martiri, gli spiriti dei giusti e le schiere dei vergini, impetrando alle anime nostre il perdono.

Sei tutto dolcezza e tutto desiderabile e tutto diletto, o Verbo di Dio, e di Te solo desiderosa la Tua sposa eletta Lucia disprezzò tutti i beni terreni, mentre con fede a Te canta: o Sposo immortale, Te solo io bramo e la Tua dolcezza io sospiro.

Spezza, te ne prego, o sposa di Cristo, le catene dei miei peccati, e fuga la notte profondissima della mia mente, e come colei il cui nome è sinonimo di luce, illuminami con le tue preghiere portatrici di luce, facendomi degno del Regno dei Cieli.

O Cristo, Sole che mai tramonti, per le sante preghiere dei Tuoi martiri Eustrazio, Aussenzio, Oreste, Eugenio e Mardonio, e per le preci illuminanti della Tua martire Lucia, abbi misericordia di quanti con fede adorano la Tua potenza.

Theotokion: O Verbo di Dio, noi veneriamo nella sua santa icona la Tua Vergine Madre sorreggenteTi nelle sue braccia bambino per noi, e Ti supplichiamo, per la sua intercessione, di farci degni di custodire il giglio verginale e di glorificarTi (in cielo) tra i cori dei vergini.

 

S. Lucia

 
S. Giorgio in Lemine, Santa Lucia


Santa vergine e martire Lucia di Siracusa

la santa più amata dai bambini Bergamaschi

 
13 (26) Dicembre

 

 

Passione di Santa Lucia

(Codice Papadopulo)

 

Essendosi propagata per tutta la Provincia (di Sicilia) la fama della gloriosa ed invitta martire S. Agata, a causa dei miracoli da Lei operati, anche la Cittadinanza di Siracusa si recò nel sacro tempio della Martire per pregare. Tra gli altri Lucia, preclara fanciulla della città di Siracusa, venne nel tempio nel giorno della festività di S. Agata insieme con la madre di nome Eutichia, la quale soffriva da quarant’anni di un flusso di sangue, sebbene avesse fatto spese, dirò quasi, immense per i medici, senza conseguire alcun lenimento al suo male.

Avvenne intanto che esse nell’udire l’episodio evangelico dell’emorroissa, la quale aveva conseguito la guarigione al semplice tocco del lembo della veste del Signore, Lucia, rivoltasi alla madre, le disse: «Madre, se presterai fede alle cose che sono state lette crederai anche che Agata, la quale ha patito per Cristo, abbia libero e confidente l’accesso al Suo tribunale. Tocca dunque fiduciosa il sepolcro di Lei, se vuoi, e sarai risanata».

Terminati i sacri misteri e ritiratasi tutti, esse, avvicinatesi al sepolcro si prostrarono, pregando la Martire tra le lacrime.

Mentre stavano lungamente a pregare, Lucia fu presa da un sonno profondo, e vide S. Agata tra schiere di Angeli splendidissimamente ornata, che dicevale: «Lucia, sorella mia e Vergine del Signore, perché chiedi a me ciò che tu stessa puoi concedere? La tua fede è stata di grande giovamento a tua madre, essa è già guarita. E come per me è ricolma di grazie la città di Catania, così per te sarà preservata la città di Siracusa, perché il Signore Nostro Gesù Cristo ha gradito che tu abbia serbato illibata la tua verginità».

Ciò udito S. Lucia rinvenne dal sonno.

Quindi alzandosi disse con grande emozione a sua madre: «Madre mia, per grazia di Cristo e della sua Martire, ecco tu sei guarita ed è stata esaudita la tua prece; or questo solo ti chiedo, che tu non mi parli più di sposo, né volere da me caduchi frutti; tutto ciò che ti eri proposta di darmi in dote perché io andassi sposa ad un uomo mortale, donalo a me perché possa tendere allo Sposo immortale; grandi ricompense promette a noi Cristo Nostro Signore».

A Lei la madre rispose «Lucia, figlia mia, tutte ed intere conservo le sostanze mie e di tuo padre, anzi le ho accresciute; però, se non ti rincresce prenderai possesso delle sostanze mie e di quelle di tuo padre dopo la mia morte e ne disporrai allora a tuo piacimento».

Lucia disse: «O madre, la tua proposta non torna pienamente gradita a Gesù; se infatti vuoi render grazie a lui, che tanto ti ha beneficato, offrirgli quanto saresti costretta a lasciare quando sarai morta. Dona a Cristo, mentre sei in vita, ciò che hai acquistato o che hai promesso di darmi».

Dette queste cose, Lucia ritornò a Siracusa, dove continuò ad insistere sul desiderio già manifestato.

Allora Pascasio, fatta prendere Santa Lucia, le ordinò di sacrificare agli dei.

Lucia gli disse: «Sacrificio puro presso Dio è il visitare le vedove, gli orfani, i pellegrini, gli afflitti e i bisognosi ed è da tre anni che offro tale sacrificio, erogando tutto il mio patrimonio; e poiché non è possibile sacrificare nell’aldilà, offro me stessa, ostia vivente a Dio, e faccia Egli della mia vita ciò che gli piace».

«Tutto ciò – disse Pascasio – vai a contarlo agli stolti come te, non a me che debbo eseguire gli ordini degli imperatori e perciò non posso prendere in considerazione simili fandonie».

Lucia disse: «Tu osservi i decreti degli imperatori così come io giorno e notte medito la legge del mio Dio; tu temi i loro ordini, io adoro il mio Dio; tu non vuoi loro resistere, né in alcun conto disubbidire, e come dunque potrei io dire o fare cosa contro il mio Dio? Tu cerchi di piacere a loro, io al mio Dio; fai tu dunque quel che credi dover fare, ed io opero secondo è grato all’animo mio».

Pascasio disse: «Tu hai dissipato le tue ricchezze fra i crapuloni e i dissoluti».

Lucia rispose: «Io ho messo al sicuro i miei beni e il mio corpo non ha tollerato l’impurità».

Pascasio soggiunse: «Tu sei la dissolutezza in persona».

Lucia rispose: «Siete voi che costituite la stessa disonestà, voi, di cui l’Apostolo dice: Corrompete le anime degli uomini per apostatare dal Dio vivente e servire al diavolo e agli angeli suoi, che sono in perdizione, voi, i quali anteponendo la caduca volontà ai beni eterni, venite esclusi dai gaudi sempiterni».

Pascasio disse: «Finiranno le parole quando verranno i fatti».

 

 
Giovanni d’Alemagna, Martirio di Santa Lucia

 

Lucia rispose: «Io sono una serva dell’Eterno Iddio ed Egli ha detto: Quando sarete condotti dinnanzi ai re ed ai principi non vi date pensiero del come o di ciò che dovete dire poiché non sarete voi che parlate ma lo Spirito santo è che parla in voi».

            «Oh, dunque, tu credi – disse Pascasio – di avere lo Spirito Santo?».

Lucia rispose: «L’Apostolo ha detto: I casti sono tempio di Dio e lo Spirito Santo abita in essi».

Pascasio disse: «Ti farò condurre in un luogo infame e quando incomincerai a vivere nel disonore, cesserai di essere il tempio dello Spirito Santo».

Lucia disse: «Non viene deturpato il corpo se non dal consenso della mente; se metterai incenso nelle mie mani e con esse sacrificherai agli idoli, Dio sa in qual modo si offre, poiché Egli giudica la coscienza ed aborrisce dal violentatore della pudicizia come da una specie di ladro o di sanguinario. Che se tu ordini che io subisca violenza contro la mia volontà sarà duplicata la corona della mia castità».

Pascasio disse: «Se non ubbidirai alle leggi degli imperatori avrai crudelissimi tormenti».

Lucia rispose: «Giammai potrai smuovermi dal mio proposito e farmi acconsentire al peccato; ecco che il mio corpo è in tuo potere, pronto ad ogni tortura. Perché indugi? Comincia ad eseguire quello che vuole il diavolo, tuo padre».

Allora Pascasio, furioso, comanda ai lenoni di prenderla e di adunare a vergogna di lei tutta plebaglia, affinché le fosse fatto oltraggio e morisse nel disonore. Ma quando si tentò di trascinarla verso il luogo infame, lo Spirito Santo le diede tale immobilità che nessuno riusciva a smuoverla dal sito in cui era.

Si aggiunse un gran numero di soldati, che la spingevano violentemente; anch’essi, sfiniti dal grave sforzo, venivano meno, mentre la Vergine di Cristo restava immobile. Indi le avvinghiarono delle funi alle mani ed ai piedi, e tutti insieme cominciarono a tirarla, ma essa stava ferma come un monte.

Allora l’Arconte cominciò ad infastidirsi e, convocati i maghi e i sacerdoti idolatri, comandò che scongiurassero gli dei per farla muovere; ma, accintisi, a nulla valsero.

Allora Pascasio comandò che la cospargessero di urina, stante che i sacerdoti andavano dicendo che certamente stava immobile per forza di sortilegi.

Indi ordinò che si aggiogassero dei buoi per trascinarla ma neanche ricorrendo a ciò riuscirono a smuovere la Vergine di Cristo, che lo Spirito Santo manteneva immobile.

Come avrebbero infatti potuto smuoverla le mani dei peccatori? Pascasio disse: «O Lucia quali sono le tue arti magiche?»

La Santa però rispose: «Queste non sono arti magiche, ma è la potenza di Dio».

Pascasio disse: «Come e perché, fanciulla come sei, neppur mille ti hanno potuto smuovere?»

Al che la Santa: «Anche quando ne aggiungerai altri mille sperimenteranno quello che disse lo Spirito Santo: Cadranno mille alla tua destra e diecimila alla tua sinistra, ma nessuno potrà accostarsi a te.

Si crucciava intanto l’insano, ricercando con qual supplizio potesse far perire la Vergine, la quale gli disse gridando: «Misero Pascasio, a che ti affliggi? Perché impallidisci? Perché, perché ti struggi per il furore nei pensieri? Ecco tu hai avuto la prova che io sono tempio di Dio, credi dunque in Lui?»

Quegli invece, udendo queste cose, diveniva più furibondo ed ecco comanda che fosse acceso un gran fuoco attorno a lei e che vi si gettassero pece, resina, olio e fascine, affinché fosse al più presto consumata la Vergine che pubblicamente li confondeva.

Ella però nel nome del Signore rimaneva immobile dicendo: «Io pregherò il Signor Nostro Gesù Cristo affinché questo fuoco non mi molesti; io poi che ho fede nella croce di Cristo dimostrerò intanto a te che ho impetrato un prolungamento alla mia lotta, così farò vedere ai credenti in Cristo, la virtù del martirio e ai non credenti toglierò l’accecamento della loro superbia».

Allora gli amici dell’arconte spregiando queste parole, la condussero altrove per finirla con la spada. E S. Lucia, piegate le ginocchia, pregò alquanto e rivoltasi agli astanti disse: «Ecco, io annunzio a voi che sarà data la pace alla Chiesa di Dio. Diocleziano e Massimiano intanto decadranno dall’impero e, come la Città dei Catanesi ha in venerazione S. Agata, così anche voi onorerete me per grazia del Signore Nostro Gesù Cristo osservando di cuore i suoi comandamenti».

Dette queste cose, la decapitarono. Nello stesso luogo poi, dove rese lo spirito, edificarono a Lei un tempio, nel quale i fedeli accorrono alle Sue reliquie, ottengono, per Sua intercessione, grazie e guarigioni dalle malattie, glorificando il Signor Nostro Gesù Cristo, al Quale sia onore e potenza nei secoli dei secoli. Amen.

 
 

 

Tropario di santa Lucia, tono 5

Indossando il manto radioso della verginità ed essendo promessa sposa di Cristo Datore-di-vita hai abbandonato l’amore del tuo fidanzato terreno, o Lucia Vergine Martire, perciò, come dono nuziale hai portato a Cristo l’effusione del tuo sangue, intercedi presso Lui anche per tutti noi!

 
Altro tropario di santa Lucia

Come gloriosa sposa di Cristo Re, Martire invitta e veneranda Vergine, o santa Lucia, tu ti guadagnasti un’eterna e divina gloria. Con le tue preghiere perciò ottieni la remissione dei peccati a noi che con devozione ti festeggiamo.

 

 

 

Sul culto e le tradizioni che legano santa Lucia a Bergamo puoi leggere:

Santa Lucia tra le feste della luce di Alessandra Facchinetti



 

 

 

martedì 25 dicembre 2012

Dalla Lettera XXVIII a Flaviano di san Leone Magno






Dalla Lettera XXVIII a Flaviano patriarca di Costantinopoli

di san Leone Magno papa di Roma antica

 

La maestà divina ha fatto propria la debolezza umana; la onnipotenza ha fatto propria la fragilità dell’uomo; e quanto è eterno ha preso su di sé quanto è mortale. Per scontare il debito della nostra colpa d’origine piombata nella condizione terrena, la natura divina che non soffre variazioni di sorta, s’è voluta unire alla nostra che è passibile. Per fare quanto era congruente a portare rimedio al nostro essere, l’unico e medesimo mediatore tra Dio e gli uomini, l’uomo Gesù Cristo, fece sì che, per un verso, potesse morire, e, per un altro, morire non potesse. Dio vero è nato nella natura integra di un uomo vero e completo nella sua natura umana; con tutto ciò che gli appartiene in quanto Dio; con tutto ciò che ci appartiene in quanto uomo.

Quando diciamo «nostra», intendiamo riferirci a tutte le realtà create da Dio fin dall’inizio dell’esistenza dell’uomo, ossia tutto ciò che il Verbo assunse su di sé per restaurare la natura umana. Ma quanto lo spirito ingannatore immise nell’uomo, e quanto l’uomo ingannato perse, di tutto ciò non vi fu traccia alcuna nel nostro Salvatore. E poiché per rendersi in tutto simile a noi ha preso su di sé tutto quanto è nostro, non perciò diciamo che egli si sia reso partecipe delle nostre colpe. Ha assunto la forma di servo, ma senza la macchia di peccato che è nell’uomo; ha potenziato la natura umana senza però portare danno alla divina, in quanto l’abbassamento mediante il quale da invisibile che era si è reso visibile, e da Creatore e Signore di tutte le realtà volle anch’egli essere uno tra i mortali, fu per la condiscendenza della sua misericordia, non per il venire meno della sua onnipotenza. Pertanto, colui che rimanendo Dio, si è insieme fatto anche uomo nella forma di schiavo, è lui che aveva creato l’uomo. Conserva la proprietà che gli appartiene, senza nulla perdere, dell’una o dell’altra natura; e come la forma di schiavo non toglie nulla alla forma di Dio, allo stesso modo la forma dello schiavo nulla tolse alla forma che appartiene alla divinità.

E, dato che il diavolo menava vanto d’avere soggiogato ingannevolmente l’uomo e d’averlo spogliato dei doni avuti da Dio, d’averlo sottomesso alla dura condizione di morte, dopo che l’aveva depredato del dono dell’immortalità, così – il diavolo – in qualche modo, trovava un sollievo per avere compagno di sventura qualcuno e, in certo modo, uno compartecipe della sua prevaricazione. Si poteva rallegrare, in un certo senso, il diavolo, che Dio – dato che lo esigeva la ragionevolezza della giustizia – avesse cambiato atteggiamento nei confronti dell’uomo, creato all’inizio dei tempi ad un livello di così alta dignità. Era necessario un nuovo piano di salvezza voluto da Dio, perché colui che è immutabile per natura e la cui volontà salvifica non può essere smentita, che si instaurasse una misteriosa disposizione della sua misericordia nei nostri confronti, così da completare l’antico progetto con un intervento straordinario; così si restaurava l’antico piano misericordioso: il diavolo, con la sua ingannevole astuzia, aveva cercato di spingere l’uomo contro Dio; ma l’uomo non poteva perire.

            Il Figlio di Dio entra perciò all’interno delle realtà più umili di questo mondo, scendendo dal trono della gloria celeste, ma senza abbandonare la gloria che ha in comune con il Padre, generato in un nuovo ordine e nato con una generazione nuova. Nuovo è l’ordine, in quanto, da invisibile che era nella sua natura, si è reso visibile nella nostra; da incomprensibile che era, ha voluto essere racchiuso entro termini limitati; e mentre esisteva prima del tempo, ha cominciato ad esistere nel tempo; occultata in qualche modo l’immensità della sua maestà divina, il Signore di tutto si è degnato di assumere la forma di servo; Dio impassibile, non ha disdegnato di divenire passibile uomo, e, da immortale, si è sottomesso a tutte le leggi di morte. È una nuova generazione quella nella quale il Figlio di Dio si è manifestato nascendo, perché l’integra e inviolata verginità di Maria non ha conosciuto concupiscenza alcuna, mentre ella ha fornito ciò che è proprio della carne, ossia la materia corporea. La natura umana viene al Signore dal corpo della madre sua, ma senza colpa di sorta: Gesù Cristo ha preso dalla madre la natura umana. E tuttavia non ne segue che la natura del Cristo sia differente dalla nostra, anche se la sua è straordinaria, perché generato nel seno di una vergine.

Infatti colui che è vero Dio è anche vero uomo; nell’unione dell’elemento divino con quello umano non c’è falsità di sorta, perché sono in reciproco rapporto sia l’umiltà in quanto uomo, e l’altezza in quanto Dio. Poiché come Dio non muta per il fatto che usa misericordia, così l’uomo non è assorbito dalla dignità divina. Reciprocamente le due nature operano in unione vicendevole, secondo la loro propria natura: il Verbo opera secondo la natura di Verbo per ciò che gli è proprio; e la carne in quanto opera per il fatto di essere carne. Il primo elemento, quello divino, brilla per i miracoli; il secondo, l’umano, soggiace alle offese. E come il Verbo non si allontana dalla gloria che ha in comune con il Padre, così la carne non abbandona ciò che le appartiene per essere solidale con il nostro genere. Il Figlio di Dio rimane sempre uno solo e sempre il medesimo – è affermazione che occorre ripetere spesso –, ma è anche e sempre allo stesso modo figlio dell’uomo. È Dio, per ciò che si legge nell’evangelista: In principio esisteva il Verbo, il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio; ma anche uomo, come si ha dal seguito del testo evangelico: Il Verbo si è fatto uomo ed è venuto a porre le sue tende in mezzo a noi. Era Dio, per il fatto che ogni realtà creata è stata creata per mezzo del Verbo, e senza il Verbo nulla è stato creato; ma uomo per il fatto che è nato da donna, nato sotto la legge. La nascita nella carne è chiara prova della natura umana; il parto da una vergine è prova della divina potenza. Il neonato si rende manifesto nell’umiltà del presepio, ma la sublimità dell’Altissimo trova testimonianza nelle voce degli angeli.

 

lunedì 24 dicembre 2012

Dalla XII catechesi battesimale di san Cirillo


Dalla XII catechesi battesimale di san Cirillo di Gerusalemme

Nutriti tutti di puri alimenti, educati alla scuola della castità, offriamo pure le labbra per esaltare Dio generato dalla Vergine.

Stiamo per essere resi degni di partecipare alle carni del mistico agnello, sia della sua testa che dei suoi piedi (cfr. Es 12, 9), della testa della sua divinità e dei piedi della sua umanità.

Se prestiamo ascolto alle parole del santo Evangelo, non possiamo non prestare fede a Giovanni il Teologo: alle parole: «In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio»; alle seguenti: «E il Verbo si fece carne» (Gv. 1, 1.14). Se adorassimo in Cristo un semplice uomo saremmo empi, ma non saremmo meno empi adorandolo soltanto come Dio e prescindendo dalla sua umanità; se infatti fosse soltanto Dio vero, come lo è veramente, e non avesse assunto l’umanità, noi rimarremmo esclusi dalla salvezza.

Adoriamolo dunque come Dio, e crediamolo fermamente fatto uomo. A nulla ci servirà il dirlo uomo escludendo la sua divinità, e non ci porterà a salvezza il proclamarlo Dio prescindendo dalla sua umanità.

Testimoniano il suo avvento confessandolo nostro re e medico, nostro re che s’è degnato di farsi nostro medico cingendosi dei panni dell’umanità (Cf. Gv. 13, 4) per guarire le nostre infermità. Si è fatto perfetto maestro di noi fanciullini, bambino tra bambini, per elargire la sua sapienza a noi insipienti (Cf. Prov. 1, 4); si è fatto pane celeste disceso dal cielo, per farsi nutrimento di noi affamati.

Ricorda quello che abbiamo detto ieri sulla sua divinità, ma bisogna che tu creda anche nell’Unigenito Figlio di Dio nato da una vergine, prestando fede all’evangelista Giovanni che dice: «E il Verbo s’è fatto carne ed ha abitato tra noi» (Gv. 1, 14).

domenica 23 dicembre 2012

Dall’Esposizione del Salmo 118 di sant’Ambrogio


Dall’Esposizione del Salmo 118 di sant’Ambrogio arcivescovo di Milano

PL 15,1372.1410-1411

 

La misericordia è parte della giustizia. Questo significa che se tu, animato da misericordia, intendi dare ai poveri, ebbene, agendo così, non fai più di quanto non richieda la giustizia, secondo quanto dice la Scrittura: Distribuì, diede ai poveri; la sua giustizia rimane per sempre (cfr. Sal 111,9). Perché è ingiusto che colui che è completamente uguale a te, non sia aiutato dal suo simile, soprattutto in considerazione del fatto che il nostro Signore Iddio volle che questa terra fosse possesso comune di tutti gli uomini, e diede frutti a vantaggio di tutti loro; ma l’avidità divise i diritti delle proprietà. Pertanto, è giusto che, se rivendichi per te, come bene privato, qualcosa di quanto è comune a tutto il genere umano..., almeno riparti tra i poveri qualcosa di esso, perché tu non abbia a negare il sostentamento a quelli che partecipano dello stesso diritto di cui godi tu...

Vi rendete conto che ci muoviamo tra molte immagini di Cristo? Dunque, attenti a non dare la sensazione che noi spogliamo queste immagini della corona che Cristo stesso ha posto su ciascuno. Facciamo in modo di non togliere niente a colui al quale dobbiamo viceversa dare. E noi, tuttavia, anziché agire così, non solo non onoriamo i poveri, ma addirittura li disonoriamo, li annientiamo, li perseguitiamo, e neppure ci rendiamo conto del fatto che, ogni volta che crediamo di poter recare loro danno, noi causiamo quelle ingiurie all’immagine di Dio. Chi si fa beffe del povero, irrita colui che il povero creò. E verrà il giorno in cui questi dirà: Ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare (Mt 25,42)... Per la qual ragione poniamo tutto il nostro impegno nel non causare alcun oltraggio a qualunque di questi piccoli, perché il Signore non senta che è lui che ingiuriamo in costoro.



 

 

sabato 22 dicembre 2012

Dal Discorso sulla Madre di Dio di san Teofane di Nicea



Dal Discorso sulla Madre di Dio
di san Teofane il confessore, vescovo di Nicea

(Cap. 30)

 

Quando l’inverno dell’incredulità stava già per finire, come dice l’autore del Cantico (cf. Ct 2, 11), e i fiori apparivano sulla terra, risplendendo la primavera della salvezza, e quando le ombre della Legge cominciavano a retrocedere e dileguarsi, e il giorno della grazia cominciava già a soffiare e schiarire, ed era necessario edificare e preparare il talamo che avrebbe accolto il Signore, perché lo Sposo entrando si unisse alla nostra natura e la sposasse per sua bontà, e  per questo essa era chiamata alla partecipazione della nostra vita dallo Sposo Creatore, che diceva: «alzati, vieni, amica mia, mia bella, mia colomba, perché l’inverno è passato; vieni sotto il riparo della pietra» (Ct 2, 11), sottintendendo, penso, in queste parole la sterilità della matrice umana, così come un altro profeta dice: «Guardate alla dura pietra, dalla quale siete stati tagliati» (Is 51, 1), Sara cioè che vi ha generato: di questo talamo regale chi altro fu il costruttore se non il Paraclito? Benché infatti non senza l’unione con l’uomo Anna abbia generato la Deigenitrice (questo infatti era riservato da tutti i secoli soltanto alla Theotokos), poiché però il suo grembo era sterile e infecondo, e perciò sotto questo aspetto era morto, come avrebbe potuto un seno morto produrre in modo singolare le operazioni dei viventi, senza la presenza del divino Spirito, «che dà la vita ai morti e chiama le cose che non sono come se fossero?» (Rm 4, 17). Per questo, infatti, nacque da una sterile questa fanciulla interamente buona, affinché neppure il suo venire all’esistenza fosse opera solo della natura, ma anche della sinergia dello Spirito Santo.

Così, fin dal principio, era unita allo Spirito, fonte di vita: neppure una particella del suo essere venne alla luce senza la sua partecipazione: infatti la stessa partecipazione dello Spirito divenne per lei partecipazione anche dell’essere, e il suo concepimento era immagine e preludio del parto del Figlio suo. Se, infatti, è incomparabilmente straordinario che un seno verginale partorisca, che un grembo sterile e senza vita generi è ugualmente cosa singolare e straordinaria, opera della sola potenza di Dio.

Quindi, dopo che in modo così nuovo venne all’esistenza questo tesoro e dono degno di Dio, eletto prima dei secoli e consacrato per il servizio del tremendo mistero dell’Incarnazione di Dio, lo Spirito Santo fu suo custode e guida e arbitro e ornamento e in certo modo paraninfo, preparandola come sposa piena di grazia per Dio Padre, a lui pienamente accetta per diventare Madre del suo Figlio diletto, e davvero – come dice il mistico Cantico - «beneplacito grazioso» (cf. Ct 6, 3 nei LXX), cioè adatta e conforme alla volontà del Padre: «Piacque infatti a lui» che in lei «abitasse tutta la pienezza della divinità» (cf. Col 1, 19).

 
 

Da: G. GHARIB - E. TONIOLO (edd), Testi mariani del secondo Millennio. 1. Autori orientali, Roma 2008, 427-428.

venerdì 21 dicembre 2012

Concezione di S. Anna


Concezione di sant’Anna, madre della Santissima Madre di Dio

9 (22) Dicembre

 

Dal Protoevangelo di Giacomo

[1, 1] Secondo le storie delle dodici tribù di Israele c’era un certo Gioacchino, uomo estremamente ricco. Le sue offerte le faceva doppie, dicendo: “Quanto per me è superfluo, sarà per tutto il popolo, e quanto è dovuto per la remissione dei miei peccati, sarà per il Signore, quale espiazione in mio favore”. [2] Giunse il gran giorno del Signore e i figli di Israele offrivano le loro offerte. Davanti a lui si presentò Ruben, affermando: “Non tocca a te offrire per primo le tue offerte, poiché in Israele non hai avuto alcuna discendenza”. [3] Gioacchino ne restò fortemente rattristato e andò ai registri delle dodici tribù del popolo, dicendo: “Voglio consultare i registri delle dodici tribù di Israele per vedere se sono io solo che non ho avuto posterità in Israele”. Cercò, e trovò che, in Israele, tutti i giusti avevano avuto posterità. Si ricordò allora del patriarca Abramo al quale, nell’ultimo suo giorno, Dio aveva dato un figlio, Isacco. [4] Gioacchino ne restò assai rattristato e non si fece più vedere da sua moglie. Si ritirò nel deserto, vi piantò la tenda e digiunò quaranta giorni e quaranta notti, dicendo tra sé: “Non scenderò né per cibo, né per bevanda, fino a quando il Signore non mi abbia visitato: la mia preghiera sarà per me cibo e bevanda”.

[2, 1] Ma sua moglie innalzava due lamentazioni e si sfogava in due pianti, dicendo: “Piangerò la mia vedovanza e piangerò la mia sterilità”. [2] Venne il gran giorno del Signore, e Giuditta, sua serva le disse: “Fino a quando avvilisci tu l’anima tua; Ecco, è giunto il gran giorno del Signore e non ti è lecito essere in cordoglio. Prendi invece questa fascia per il capo che mi ha dato la signora del lavoro: a me non è lecito cingerla perché io sono serva e perché ha un’impronta regale”. [3] Ma Anna rispose: “Allontanati da me. Io non faccio queste cose. Dio mi ha umiliata molto. Forse è un tristo che te l’ha data, e tu sei venuta a farmi partecipare al tuo peccato”. Replicò Giuditta: “Quale imprecazione potrò mai mandarti affinché il Signore che ha chiuso il tuo ventre, non ti dia frutto in Israele?”. Anna si afflisse molto. [4] Si spogliò delle sue vesti di lutto, si lavò il capo, indossò le sue vesti di sposa e verso l’ora nona scese a passeggiare in giardino. Vedendo un alloro, si sedette ai suoi piedi e supplicò il Padrone, dicendo: “O Dio dei nostri padri, benedicimi e ascolta la mia preghiera, come hai benedetto il ventre di Sara, dandole un figlio, Isacco”.

[3, 1] Guardando fisso verso il cielo, vide, nell’alloro, un nido di passeri, e compose in sé stessa una lamentazione, dicendo: “Ahimè! chi mi ha generato? qual ventre mi ha partorito? Sono infatti diventata una maledizione davanti ai figli di Israele, sono stata insultata e mi hanno scacciata con scherno dal tempio del Signore. [2] Ahimè! a chi somiglio io mai? Non somiglio agli uccelli del cielo, poiché anche gli uccelli del cielo sono fecondi dinanzi a te, Signore. Ahimè! a chi somiglio io mai? Non somiglio alle bestie della terra, poiché anche le bestie della terra sono feconde dinanzi a te, Signore. Ahimè! a chi somiglio io mai? [3] Non somiglio a queste acque, poiché anche queste acque sono feconde dinanzi a te, o Signore. Ahimè! a chi somiglio io mai? Non somiglio certo a questa terra, poiché anche questa terra porta i suoi frutti secondo le stagioni e ti benedice, o Signore”.

[4, 1] Ecco, un angelo del Signore le apparve, dicendole: “Anna, Anna! Il Signore ha esaudito la tua preghiera; tu concepirai e partorirai. Si parlerà in tutta la terra della tua discendenza”.

Anna rispose: “(Com’è vero che) il Signore, mio Dio, vive, se io partorirò, si tratti di maschio o di femmina, l’offrirò in voto al Signore mio Dio, e lo servirà per tutti i giorni della sua vita”. [2] Ed ecco che vennero due angeli per dirle: “Tuo marito Gioacchino sta tornando con i suoi armenti”. Un angelo del Signore era infatti disceso da lui per dirgli: “Gioacchino, Gioacchino! Il Signore ha esaudito la tua insistente preghiera. Scendi di qui. Ecco, infatti, che Anna, tua moglie, concepirà nel suo ventre”. [3] Gioacchino scese, e mandò a chiamare i suoi pastori, dicendo: “Portatemi qui dieci agnelli senza macchia e senza difetto: saranno per il Signore, mio Dio. Portatemi anche dodici vitelli teneri: saranno per i sacerdoti e per il consiglio degli anziani; e anche cento capretti per tutto il popolo”. [4] Ed ecco che Gioacchino giunse con i suoi armenti. Anna se ne stava sulla porta, e vedendo venire Gioacchino, gli corse incontro e gli si appese al collo, esclamando: “Ora so che il Signore Iddio mi ha benedetta molto. Ecco, infatti, la vedova non più vedova, e la sterile concepirà nel ventre”. Il primo giorno Gioacchino si riposò in casa sua.

[5, 1] Il giorno seguente presentò le sue offerte, dicendo tra sé: “Se il Signore Iddio mi è propizio, me lo indicherà la lamina del sacerdote”. Nel presentare le sue offerte, Gioacchino guardò la lamina del sacerdote. Quando questi salì sull’altare del Signore, Gioacchino non scorse in sé peccato alcuno, ed esclamò: “Ora so che il Signore mi è propizio e mi ha rimesso tutti i peccati”. Scese dunque dal tempio del Signore giustificato, e tornò a casa sua.

 

 

 

Tropario, tono 4

Oggi sono sciolti i vincoli della sterilità: poiché Dio, esaudendo Gioacchino e Anna, promette loro che, contro ogni speranza, genereranno la divina fanciulla: colei dalla quale egli stesso, l’incircoscrivibile, divenuto mortale, è stato partorito, lui che, mediante un angelo, ha comandato di acclamare a lei così: Gioisci, piena di grazia, il Signore è con te.

 

Kontakion, tono 4

Fa festa oggi tutta la terra per la concezione di Anna, avvenuta in Dio: essa ha infatti concepito colei che oltre la ragione ha concepito il Verbo.

 

 

 

Per la tua edificazione puoi leggere:

 


La Pasqua Invernale: La Concezione di Maria del rev. padre Thomas Hopko