giovedì 22 novembre 2012

san Michele all’arco

 
 
La chiesetta di “san Michele all’arco”

 

A ridosso del Palazzo Nuovo, in fregio alla parete settentrionale, è l'antica Chiesa di S. Michele dell'Arco, chiusa al culto dal 1955 e poi aggregata alla Biblioteca, di cui è ora parte essenziale. Seppure molto appartato rispetto a Piazza Vecchia, questo edificio ha qui la sua importanza nella vita religiosa, civile, ed ora anche culturale, poiché ospita l’imponente complesso della Biblioteca di ragione del Capitolo della Cattedrale. Per lungo tempo si è ritenuto che questo tempio risalisse all’età longobarda. Ne è meno antica la tradizione che sia stato costruito sulle rovine del tempio di Nettuno: “in foro veteri” della Duchessa Adleida, la quale avrebbe anche legato dei beni per il mantenimento dei chierici officianti e per i poveri della vicinia. Ma un accurato raffronto delle fonti, e le valide opinioni di ben noti studiosi, sono concordi nell'escludere queste notizie pervenute fino a noi attraverso le facili trascrizioni di successivi amanuensi poco scrupolosi. Secondo il Fachinetti, le prime notizie risalgono al 747, mentre il primo documento scritto, che ne faccia menzione, é citato dal nostro Mario Lupo nell’897. Lo storico Angelo Mazzi scrive che nel secolo XIV, la chiesa, attraverso gli Statuti, prese specifica denominazione da un vicino arco, che, secondo il Celestino, era stato eretto in questa località in onore di Nerone. Questa notizia va accolta pure con riserva, poiché è ancora fondata sulla tradizione; che esistessero archi onorari nella Bergamo romana è certo, non fosse altro pei molti frammenti di iscrizioni monumentali, ma dove essi fossero ubicati é certamente quasi impossibile stabilire con sicuro fondamento, tanto che lo stesso Belotti dice: “Dobbiamo però francamente ripetere che siamo sempre nel campo delle ipotesi”, affermazione che fa onore al rigore di metodo dello studioso. La chiesa primitiva era orientata secondo le prescrizioni liturgiche ed aveva subito rifacimenti, tutto attorno era il cimitero secondo l’uso del tempo e durato poi fino alla soppressione imposta dalle leggi napoleoniche. Da una memoria del 905, ancora del Lupo, si sa che alla chiesa era annesso un monastero di Benedettine. Più avanti, nelle cronache patrie, si trova qualche cenno che farebbe pensare che a S. Michele dell’Arco fosse pure annesso un ospedale, notizia peraltro molto incerta poiché il nome di tale benefico istituto, non compare tra quelli citati dal Vescovo Giovanni Barocci all’atto della loro aggregazione al grande ospedale di S. Marco nel 1458. Dopo il Mille a S. Michele viene concessa la pratica di alcune funzioni parrocchiali fino allora riservate esclusivamente alla Cattedrale, e più avanti tali attribuzioni vengono ancora ampliate fino a concedere l’amministrazione del Battesimo. Viene così a costituirsi la vera Parrocchia, ed è importante ricordare a tal proposito che già prima del Mille, S. Michele era stato eretto a sede di Vicinia civile e religiosa con proprio gonfalone inquartato di bianco e azzurro secondo le disposizioni che si fanno risalire al Vescovo Adalberto (894-929). Certamente questa era una delle parrocchie più antiche e rispettate della città, ed i Padri Teatini ottennero dal Maggior Consiglio, nel 1598, che fosse loro assegnata unitamente con le case vicine. La tennero peraltro solo due anni, per essere poi passati definitivamente al convento di S. Agata al Carmine, ove rimasero fino al tempo della loro soppressione. Nel 1805, dopo circa otto secoli di attività, la Chiesa di S. Michele cessò di essere parrocchia e venne aggregata quale sussidiaria alla Cattedrale di S. Alessandro. Così, come ancor oggi si vede, la chiesa è la medesima progettata da G. Battista Caniana, e la sua pianta é posta ad angolo retto rispetto alla precedente che in gran parte stava sull’area dell'attuale palazzo della Biblioteca Civica, e si spingeva fino quasi sulla via Aquila Nera. I primi lavori della chiesa attuale iniziarono l’11 aprile 1743. Il sacro edificio fu benedetto il 14 agosto 1745 dal Vescovo Redetti, la consacrazione avvenne invece solo molto più tardi, e precisamente il 15 luglio 1906 ad opera di Mons. Radini Tedeschi, la cui venerata memoria si conserva sempre viva fra la gente bergamasca. Pertanto nella sua forma attuale la chiesa ha compiuto il secondo centenario della fondazione da soli quattro lustri, mentre già stavano maturando per lei nuovi destini. Infatti, dopo l'avvenuta chiusura al culto, l’edificio, opportunamente sistemato e collegato alla confinante Biblioteca Civica, ne divenne una dipendenza, ospitando nelle nuove e razionali scaffalature, la ricca ed importante suppellettile libraria della Biblioteca Capitolare. Pur nelle sue modeste proporzioni, mantenendo fede ad una gloriosa tradizione comune ai templi della bergamasca, la Chiesa di S. Michele ebbe un suo particolare tono architettonico ed artistico, ed un dignitoso patrimonio di buone pitture. Notevoli gli affreschi di quel Carlo Carloni, assai vivace per disegno e colorito, di cui troviamo altre opere nella Chiesa di S. Orsola, ed in quella di S. Marco dell’ex ospedale, da qualche anno restaurata. Questo Carloni (1686-1775), ticinese, molto noto nell'ambiente artistico bergamasco, ebbe una certa familiarità con il Conte Giacomo Carrara, il munifico fondatore della insigne galleria che tanto onora la città. Della chiesa in argomento dobbiamo anche ricordare le pitture della volta sopra l'altare maggiore, fatica del comasco Giulio Quaglia, con l’aiuto del figlio Giuseppe. Di particolare interesse anche il piccolo oratorio che faceva da vestibolo al tempio; vi si venerava un antico “Crocifisso” ritenuto opera di ignoto pittore francese, e che la tradizione voleva provenisse da un antichissimo cimitero, forse quel medesimo che stava attorno al primitivo edificio, e di cui abbiamo già fatto cenno. Questo piccolo oratorio recava ornati a stucco del Brini, eseguiti sopra disegni dell’Arch. Finazzi e per la generosità del Vicario Bernardo Salvetti, che officiava a S. Michele nel 1828. Fra le altre cose di maggior interesse può mettersi la bella tela di Pietro Ronzelli, in centro al coro, raffigurante la “Beata Vergine e Santi” datata e firmata nel 1608. Ne parlarono il Pasta, il Marenzi, il Maironi da Ponte ed altri ancora. Il nostro Coghetti vi ha una delle sue pitture più significative: “S. Giuseppe con Bambino, S. Michele e Santi” che risale al periodo giovanile dell'artista, datata al 1828, eseguita per commissione della Contessa Veronica Secco Suardo, e portata personalmente dall’artista da Roma, ove teneva studio, Bergamo. Altre buone pitture vi sono del Raggi, del Poli, del Quaglia, dello Zucco, e di altri ancora non meno valenti e noti nelle chiese della bergamasca per opere di qualche interesse. Notevole, fra altre cose, un ritratto del parroco Carminati, opera di Vittore Ghislandi, detto Fra' Galgario, degna opera del frate paolotto (1655-1743). Il quadro era proprietà della fabbriceria della Cattedrale, e qui ora si trova dal 1955. Il nome della Chiesa di S. Michele é legato poi a molte memorie interessanti la Vicinia, ed ha un suo posto anche nella storia della tirannica dominazione austriaca, poiché qui si davano gli estremi conforti ai condannati alla forca, prima che scendessero per l’esecuzione sugli spalti della Fara.¹ Ogni mattina, l’annuncio della Messa da S. Michele empiva l’aria di campane e penetrava nelle stanze come volo di rondini, senza alcun riguardo per la stagione.

Era il tempo, non poi così lontano, dove in S. Michele dell’Arco (molti lo dicono all’Arco) ancora si officiavano Messe e sacre funzioni. Ora, davanti alla sua porta sbarrata, non si resta che ad architettare la magia obliqua del tempo, ma la facciata “Quasi interamente occupata dal fantasioso portale arricchito da un inusitato coronamento barocco retto da angeli con al centro la croce e il fastigio dove bizzarre volute elevano il piedestallo della statua dell’arcangelo”, tumultuosamente irrompe verso il cielo, contrapposizione alla Riforma che aveva voluto spogli e disadorni gli edifici del culto. Pure S. Michele, posta com’è nella penombra tra via Rivola e palazzo Scamozzi dove la Civica Biblioteca, e divisa dalla severità medioevale di Piazza Vecchia di cui è l’unica fantasia, solo dallo sbocco su Corsarola, può passare inosservata, ma se ti soffermi, respiri il fascino del tempo: sono voci che vengono da lontano, colme dei giorni della tua gente; la grande storia nei nomi delle strade appresso e i piccoli uomini di un quotidiano segnato dai tocchi del Campanone e dal mutare delle stagioni “Quelle voci ch’io dico sono implacabili e vive” (Cardarelli). Una lontana tradizione dei nostri Autori volle che i Longobardi, qui, sulle rovine di un tempio sacro a Nettuno visto come dio della acque interne, facessero sorgere una chiesa, e fu essa a S. Michele arcangelo di cui, convertirsi al cattolicesimo, furono devotissimi: forma di proiezione della propria identità guerriera. E fu dell’Arco, pare, per la vicinanza di un arco a Nerone. Altra notizia la fa eretta invece nel III secolo per ordine di Adelaide, principessa di Bergamo, lasciando d’origine longobarda solo il convento. Documentata comunque nell’897 nell’ambito delle chiese site tra le Mura cittadine (ne sono elencate dodici) nel 905 risulta esserle annesso un monastero per la cura delle anime e d’esso restò notizia fino al 1051. E dovette essere di Vicinia ricca di fermenti e aperta al nuovo se nel XII secolo, Alberico suo prete, venne citato davanti al vescovo Lanfranco per avere tentato di rendersi indipendente dalla cattedrale disertandola nei giorni festivi e amministrando abusivamente il battesimo. Ma già nell’XI secolo, tramite la costituzione delle Vicinie, al governo dei Vescovi era succeduto il libero Comune. Poi vennero i Suardi, i Rivola, i Bonghi, i Colleoni: alleanze e lotte, fortune e carestie, fiorire d’arti e l’introduzione dell’“ars artificialiter scribendi”, pestilenze e ruberie, le Signorie forestiere dei Visconti e dei Malatesta e Venezia.

Un Codice della Civica Biblioteca, fra i nomi di bravi e banditi che nel XVI secolo infestavano la Città, nota quello di “Joani della Val di Stino lo quale fu appiccato per la gola et sepelito in S. Michele”. Certamente però non vi fu solo l’Joani della Val di Stino se, per tradizione e consuetudine, ancora nei primi decenni del nostro secolo, le donne della Vicinia, dopo la Messa si soffermavano per “una preghiera ai poveri ammazzati”. Alessandro Barbo capitano e vicepodestà di Bergamo facendo riferimento a bravi e malviventi scriveva al Consiglio dei Dieci il 30 giugno 1549 “La Città et Territorio è spaventato in modo che ognuno vorrebbe ch’io facessi dar campana a martello per poterli fugare”. Sta, davanti alla faccia della chiesa, un sagrato di assai piccole dimensioni, ma così ben proporzionato nell’entità della balaustra, che la sua percezione spaziale risulta assai più vasta di quel che sia veramente ed è il sito, parte dell’antico cimitero vicinale che si estendeva tra l’imbocco di via Rivola, Corsarola e l’attuale Civica Biblioteca e di cui il Comune, sborsando nel 1436, lire trecento imperiali ai deputati della chiesa di S. Michele, n’ebbe in parte, con un portico ed un piccolo orto. Quivi costruì la “Lobia Nova”. … e vennero dodici operai ad evacuare il cimitero davanti alla chiesa... Il sagrato prese l’attuale forma nel 1734 all’epoca della riforma della chiesa ad opera di Giovanni Battista Caniana che realizzò anche la ricca e massiccia balaustra dai pilastri in marmo di Zandobbio sormontati da fiammeggianti tripodi dove l’enfasi del barocco nella sua fastosa esibizione interpreta il “gloria et honore” che caratterizzò l’era della Controriforma. Dell’antica chiesa medioevale e dell’arco non restarono tracce, e l’antica fontana vicinale è sita sotto la pavimentazione di lastre d’arenaria grigia. La famiglia Bongo donò poi alla chiesa, una bellissima tela del Lotto che, ora, è all’Accademia Carrara.

Proprietà di S. Michele e della Casa Parrocchiale furono anche quegli edifici di via Rivola addossati alla chiesa e sorti su preesistenze del Medio Evo e che nel 1598, seppur per breve (due anni, forse) divennero proprietà dei Teatini. Su un portale, una tavoletta d’arenaria quadrangolare porta in bassorilievo il tristemma bernardiniano.²

 

Tratto da: ¹ Tancredi Torri, Piazza Vecchia in Bergamo, Poligrafiche Bolis, Bergamo, 1964, pagg. da 100 a 103. ² Elisa Faga Plebani, “Vagando per la città a cavaliere del tempo - Luigi Scarpanti: “La facciata della chiesa di S. Michele dell’Arco”, La Rivista di Bergamo già "Gazzetta di Bergamo", Anno XLIII, n. 5-6, Edizioni della Rotonda, Bergamo,Maggio-Giugno 1992, pagg. da 3 a 4.

 
 


 

 

 

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