lunedì 25 marzo 2013

San Gregorio Magno, Papa: Servo dei servi di Dio di Mario Scudu

 RITRATTO DI SAN GREGORIO I MAGNO
di Franchi Giuseppe (Pinacoteca Ambrosiana)


San Gregorio Magno, Papa:

SERVO DEI SERVI DI DIO

 
di Mario Scudu sdb

 

 

Leggendo la documentazione su San Gregorio mi hanno colpito particolarmente due aspetti della sua personalità e del suo itinerario spirituale.

Il primo. Gli storici gli hanno decretato l’appellativo di Magno, cioè Grande. Non sono molti i personaggi storici con tale onore. Gregorio per i suoi meriti, per la sua intelligente opera a beneficio della Chiesa e dell’Italia stessa, ha meritato questo titolo. È quindi uno dei Grandi della storia. Eppure lui amava firmarsi dichiarandosi “servus servorum Dei” cioè “servo dei servi di Dio”.

Il secondo aspetto. Nel recente passato si discuteva, spesso a sproposito, della contrapposizione tra azione e contemplazione. Gregorio aveva una profonda nostalgia della contemplazione, voleva vivere una vita ritirata, eremitica, in solitudine, “popolata” solamente dalla presenza di Dio. Nonostante questo suo grande desiderio fu uomo di grande attività, non strettamente ecclesiale ma anche politica. Fu grande nell’azione e fu grande nella contemplazione. Forse è più corretto affermare che Gregorio fu grande nell’azione perché fu grande nella contemplazione.

 

 

Il suo impegno “politico” per Roma e per l’Italia

Uno storico ha definito Gregorio “l’ultimo grande Romano”. In effetti è proprio nato nella Città Eterna nell’anno 540. Oggi si direbbe che era “Romano de Roma”. Sua madre si chiamava Silvia e il padre Gordiano: questi era un senatore, discendente dalla nobiltà senatoria e probabilmente esercitava le funzioni di notaio regionale. Gregorio iniziò presto il suo curricolo amministrativo, che era già stato del padre, fino alla carica di “praefectus Urbis” cioè la più alta carica della città.

In seguito fu anche nominato ambasciatore o nunzio del papa a Costantinopoli. Questo “stage” all’estero gli fu prezioso doppiamente: fece ulteriore pratica di problemi amministrativi da un osservatorio non proprio romano, e, secondo, questo soggiorno fu per lui una buona scuola e un tirocinio pratico di psicologia. La conoscenza della psiche umana impegnata in politica, oggi si direbbe “in situazione di potere”, lo arricchì molto e gli fu utilissima in seguito da pontefice.

Ma il desiderio profondo di Gregorio era di farsi monaco e di dedicarsi interamente al silenzio, alla preghiera e alla contemplazione. È interessante notare che Gregorio accettò questo incarico politico portando con sé un gruppo di monaci: egli stesso ricordava come riuscisse a fare, nonostante i suoi impegni di ambasciatore del papa, una regolare vita da monaco. A questo gruppo si unì anche Leandro di Siviglia.

Richiamato a Roma nel 586 la sua vita cambiò radicalmente. Sulla Città Eterna ben presto si abbatterono una serie di calamità da metterla in ginocchio. Nel 589 ci fu una inondazione del Tevere, che allagò i depositi di grano della città, rovinando tutto, e subito dopo ci fu una terribile epidemia di peste che si portò via anche il papa Pelagio II, di cui era segretario. Il diacono Gregorio fu subito acclamato papa del popolo romano e dal clero della città. Cercò di sottrarsi all’incarico perfino ricorrendo all’imperatore e al patriarca di Costantinopoli. Inutile. Diventò papa e fu una grande grazia per Roma, per l’Italia e per la Chiesa intera.

Non solo per Roma Gregorio fu padre amorevole, pieno di sollecitudine per il benessere materiale e spirituale (celebri le sue omelie ai romani), attento alla buona e giusta amministrazione a beneficio di tutti, (donò molta parte delle sue sostanze per il sostegno dei poveri) ma il suo amore ed interesse pastorale e politico si estesero a tutta la penisola. L’Italia era allora impoverita per le continue invasioni, ultime quelle dei Goti e dei Longobardi. Il quadro sociale era fatto di città in rovine, di profughi, di distruzioni e saccheggi ovunque.

Di fronte all’impotenza di Costantinopoli, che avrebbe dovuto difendere l’Italia, Gregorio nel 592 si spinse fino ad assumere la responsabilità delle operazioni militari contro i Longobardi, dando ordini ai generali e pianificando l’attacco. Con la sua tattica non solo riuscì a liberare Roma ma da buono e abile diplomatico, per evitare altri massacri, firmò una pace separata con i Longobardi, facendo infuriare così l’imperatore di Bisanzio, che gli mandò una lettera estremamente offensiva.

Gregorio gli rispose fermamente:

“Se la schiavitù del mio paese non si aggravasse di giorno in giorno, io rimarrei in silenzio, lieto di essere disprezzato e schernito. Ma ciò che mi affligge è che la ragione per cui debbo sopportare accuse di menzogna è la stessa per la quale ogni giorno di più l’Italia è condotta prigioniera sotto il giogo dei Longobardi... Io mi aspetto più dalla misericordia di Gesù che viene, che non dalla giustizia della vostra pietà”.

Gregorio morì il 12 marzo del 604 e la sua politica verso i Longobardi si dimostrò lungimirante e vincente.
 
 

Evangelizzatore e Maestro di vita spirituale

Gregorio fu un papa grande non solo per la riorganizzazione della chiesa di Roma, del diritto canonico, per la riforma del clero ed il riordinamento dei monasteri, ma anche per la sua intelligente attività apostolica. Tutto questo nonostante una salute malferma. Si adoperò con successo per la conversione dei Longobardi e lavorò, indirettamente, con l’amico Leandro di Siviglia per assicurare alla fede cattolica i Visigoti nella Spagna.

Ma il suo capolavoro apostolico fu la conversione dei popoli anglo-sassoni. Fu infatti lui a mandare nel 596 ben quaranta monaci guidati da Agostino (diventerà sant’Agostino di Canterbury) per la evangelizzazione dell’Inghilterra.

Gregorio è anche uno scrittore importante. Ha lasciato una traccia profonda nel campo della teologia, del diritto canonico ma specialmente dell’esegesi biblica. Attività intellettuale che gli ha fatto guadagnare il titolo di “Dottore della Chiesa” cioè Maestro di vita spirituale per tutti i fedeli. Gregorio era di Roma ma è stato molto grande il suo interessamento per l’Italia intera. Questo particolare risulta non solo nella sua attività “politica” ma anche in uno dei suoi capolavori i “Dialoghi”. Gregorio li scrisse per respingere lo sfogo pessimista del diacono Pietro (in verità, in sintonia con molti... contemporanei). Questi si lamentava affermando che in Italia i tempi erano così corrotti che era ormai impossibile trovare dei santi come nel passato. Il pessimismo veniva confutato con il racconto della vita di tanti uomini virtuosi viventi allora (e anche oggi) in Italia, che lui invece riusciva a “vedere”.

Ma è nel suo amore totale alla Parola di Dio attraverso la “Lectio Divina” che Gregorio lascia un grande messaggio a tutti noi. Per lui è la Scrittura la vera guida nell’itinerario spirituale dell’anima a Dio. Non c’è vita spirituale se non attraverso la conoscenza, le meditazione, la contemplazione della Parola di Dio. È la Scrittura che fonda, stabilisce, vivifica, irrobustisce e fa crescere nell’anima la vita spirituale, cioè il rapporto amorevole con Dio. Essa è la vera ed unica “regola” spirituale. Più si assimila la Parola di Dio più si cresce spiritualmente e si arriva così alla contemplazione e all’amore perfetto per Dio ed il prossimo (alla santità).

È importante mettere in risalto che la sua insistenza sulla Parola non valeva solo per i suoi monaci ma per tutto il popolo di Dio, costituito dal clero e dai fedeli insieme. Nessuno escluso. La Scrittura è il pane per il nutrimento spirituale di tutti. La lettura della Parola di Dio “è indispensabile al Vescovo, che Gregorio vuole sempre preoccupato di tale studio... È indispensabile ai monaci. È finalmente indispensabile ad ogni fedele”.

È nella lettera a Teodoro, medico, che Gregorio ha il più profondo richiamo a questa lettura e che rimane l’aforisma più profondo di tutto il suo insegnamento a proposito:

“Impara a conoscere il cuore di Dio nella sua parola (Disce cor Dei in verbis Dei), onde tu giunga a sospirare più ardentemente le cose eterne, e la mente ti si accenda di maggior desiderio dei gaudi celesti” (B. Galati - L. Dattrino).

Un’ultima annotazione che vuole essere anche il messaggio di Gregorio per l’uomo d’oggi: il valore del silenzio. Per il grande Papa esso è condizione essenziale per poter ascoltare sé stessi e lasciar parlare Dio alla propria anima. Se non c’è questo silenzio ed un po’ di solitudine difficilmente si instaurerà quel colloquio con Dio in cui consiste la preghiera e la contemplazione.

Facendo così, dice Gregorio, sarà possibile “silenter cum Illo loqui” cioè “parlare in silenzio con Lui”. Naturalmente non si tratta qui dell’invito ad una qualche forma di esercizio o di seduta di solipsismo psichico, con risvolti e finalità (inconsce) di tipo narcisistico e autocelebrativo, ma di una solitudine e di un silenzio che renda possibile l’“habitare secum” cioè il dimorare con sé stessi per arrivare ad essere “abitati da Dio”. Si tratta in altre parole della famosa “unione con Dio”, senza la quale non c’è crescita spirituale, e tantomeno santità cristiana.

Gregorio ci raccomanda anche oggi che se vogliamo ascoltare Dio e parlare con Lui, (ritrovando come conseguenza noi stessi) dobbiamo avere il coraggio di:

 

* mettere in parentesi temporaneamente le cose esterne,

 

* arrestare per un po’ di tempo il flusso delle cose mutabili per percepire la presenza dell’Immutabile,

 

* controllare lo scorrere del nostro tempo per comunicare con l’Eterno che non passa,

 

* ascoltare la caducità e precarietà della nostra vita quotidiana per ancorarci alla Roccia che è Dio.

 

Mi pare un buon consiglio per combattere la fretta nevrotica e lo stress sempre in agguato che sembrano divorare la vita di tanti uomini e donne del nostro tempo.

 

Da: MARIO SCUDU, Anche Dio ha i suoi campioni, Ed. ELLEDICI, 2011


 
 
San Gregorio Magno papa di Monti Francesco
Bergamo, Accademia Carrara
 


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