lunedì 11 febbraio 2013

I martiri ortodossi

5 dicembre 1931: la cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca
viene fatta esplodere dai sovietici
 


I martiri ortodossi

di Fabio Sansonna


 

RUSSIA, OLTRE 70 ANNI DI MARTIRIO (1917-1991)

 

Nel 1917 i cristiani ortodossi erano 117 milioni (Olga Vasil’eva, Russia martire. La Chiesa Ortodossa dal 1917 al 1941, pag. 19). Nell’incessante susseguirsi delle repressioni sin dai primi mesi di regime fu sempre prioritario, e apertamente dichiarato da Lenin stesso, l’obiettivo di distruggere la fede religiosa, incarnata soprattutto nella Chiesa ortodossa, maggioritaria in Russia.

Gli ortodossi furono colpiti duramente, ma di molte vittime non è giunta documentazione. Negli anni di guerra civile (1918-’20) e del cosiddetto comunismo di guerra le esecuzioni sommarie di sacerdoti, monaci e fedeli furono numerose; chi poté emigrò all’estero. Nel 1918 già si verificarono saccheggi e profanazioni di chiese e monasteri anche durante la liturgia. A Kiev il metropolita Vladimir Bogojavlenskij venne trascinato fuori dal monastero in cui viveva, insultato e fucilato: portava al petto l’effigie della Vergine, aveva il volto sereno e benedisse i suoi assassini mentre gli sparavano. Le profanazioni delle reliquie dei santi furono un fenomeno generale, solo le reliquie di San Sergio di Radonez furono conservate benché inaccessibili ai fedeli, dopo le vivaci proteste del patriarca Tichon e del popolo: rischiarono di essere trasferite dall’abbazia di Sergiev Posad in un museo di Mosca (A. Solzenycin, Arcipelago Gulag, vol. I, pag.331, O. Vasil’eva, Russia martire. La Chiesa Ortodossa dal 1917 al 1941, pag.60). L’eremo della Presentazione di Optina, centro di fioritura spirituale nel secolo XIX, visitato da Gogol, Dostojevski, Solov’ev e Tolstoj, venne chiuso e trasformato in kolchoz, tra le proteste di P. Florenski (morirà fucilato nel 1937). Nel 1918 il Concilio della Chiesa ortodossa cercò di compilare l’elenco dei martiri, (ci è pervenuto un primo elenco di 24 martiri), ma ben presto divenne impossibile proseguire per la drammaticità della situazione. La memoria dei martiri venne così affidata al popolo credente. L’elenco dei martiri continuava ad allungarsi ogni giorno, l’arcivescovo Andronik Nikol’skij di Perm, già missionario in Giappone, venne sepolto vivo. Sempre nel 1918 a Ekaterinburg, dove era stato ucciso lo zar Nicola II con la famiglia, venne martirizzata la sorella della zarina, granduchessa Elizaveta Fëdorovna, luterana convertita all’ortodossia, donna di grande fede e ascesi, che a suo tempo aveva perdonato il terrorista che le aveva assassinato il marito. Abbracciata la vita religiosa, venne gettata con altri familiari nel pozzo di una miniera, dove la granduchessa sopravvisse più degli altri, la si sentì cantare inni sacri, e cercò di medicare i suoi compagni di sventura malgrado le sue gravi fratture, come si constatò alla riesumazione dei corpi; fu canonizzata nel 1992 dal Patriarcato di Mosca. Tra il 1918 e il 1919 vennero uccisi 19 vescovi ortodossi, mentre il numero delle vittime tra clero e laici è difficilmente quantificabile. A tutto questo va aggiunto il disprezzo e l’irrisione del sentimento religioso che colpiva ogni credente. Nel 1920 vennero istituiti i Gulag e nel primo grande lager voluto da Lenin sulle isole Solovki, erano concentrati numerosissimi vescovi e sacerdoti, molti dei quali trovarono il martirio. Durante la requisizione di vasi e arredi sacri, i bambini furono costretti a scrivere “la religione è l’oppio dei popoli” sulle pareti delle chiese saccheggiate, e di ciò esistono prove fotografiche (O. Vasil’eva Russia martire. La Chiesa Ortodossa dal 1917 al 1941). La Chiesa ortodossa russa ha dato un tributo di sangue enorme, senza contare i credenti laici, non prigionieri, spesso fucilati con motivazioni pseudo-politiche (solo nel 1937 ne furono fucilati 100.000). Questo vero e proprio sterminio finì oltretutto per privare il paese del suo nerbo; molti cristiani che erano delle personalità straordinarie vennero esiliati o uccisi. Nell’estate 1937 ad esempio, poiché il piano riorganizzativo di Stalin prevedeva la riduzione della popolazione carceraria tramite fucilazione entro 4 mesi, venne destinato alla fucilazione il sacerdote P. Florenskij, scienziato e genio straordinario, del quale citiamo alcune interessanti riflessioni: “…crebbi completamente selvatico. Non mi portavano mai in chiesa”; ”Soltanto il Signore Gesù Cristo è l’ideale di ciascun uomo…”; “..bisogna vivere in un ambiente ecclesiale, essere membri della Chiesa”; “V’è nel nostro tempo un peccato comune a tutte le confessioni che è la dimenticanza del termine cattolico”; “Non esiste cultura laddove non esiste ricordo del passato”; “ La cultura borghese si sta disgregando perché in essa non c’è un netto ‘si’ al mondo. Essa è tutta nel “come se”, “come se fosse”, l’illusionismo è il suo vizio principale”; “…Il reale è un’esperienza viva, un dato religioso…” e ancora: “Mai, in niente e per nessun motivo rinunciare alle proprie convinzioni… una concessione ne chiama un’altra e così di seguito all’infinito”; “Ho compreso che è soltanto la voce di Dio che devo seguire”; “Tutto passa, ma tutto rimane… nulla svanisce, ma si conserva in qualche modo da qualche parte”; e ancora :..tutto ciò che succede ha un suo significato e si combina in modo tale che … la vita si dirige verso il meglio”. “Osservate più spesso le stelle. Quando avrete un peso nell’animo, guardate le stelle o l’azzurro del cielo… allora la vostra anima ritroverà la quiete”.

 Nel 1917 le chiese ortodosse erano 83.000, di esse 77.72 parrocchie, 65.000 nel 1926; un Decreto del 1929 limitava la vita ecclesiale entro il perimetro dei luoghi di culto rimasti, e decretava il piano quinquennale contro la religione. Negli anni ‘30 vennero ricavate 25.000 tonnellate di metallo dalle campane e si intensificò la distruzione delle chiese. A metà degli anni ‘30 le chiese erano scese a 18.000, il 23% del numero esistente prima della rivoluzione; nel 1936 erano chiuse il 64% delle chiese in Russia, il 90% in Ucraina, l’89% in Bielorussia. In quegli anni la vita della comunità cristiana continuava in modo clandestino nei cosiddetti “monasteri domestici”, che alimentarono la vita di fede di circa 30.000 credenti durante gli anni del comunismo. Nel 1937 il Soviet per gli affari religiosi è costretto a constatare che “i credenti di fede ortodossa hanno incominciato a riunirsi per conversare, leggere libri religiosi, soprattutto dove sono state chiuse le chiese”. Queste comunità clandestine erano note e tutto sommato approvate anche dall’episcopato ufficiale negli anni ‘30. Nel 1939 il 92% delle chiese erano state chiuse, o distrutte o trasformate in depositi o stalle. Nel 1941 erano rimasti liberi solo 4 vescovi ortodossi e le chiese erano scese a 3021: di esse 3000 erano nei territori che i sovietici avevano da poco riconquistato (paesi Baltici, Finlandia, Polonia) e 21 in territorio russo. I bolscevichi non ebbero neanche il tempo di reprimere la vita religiosa nei territori neo-conquistati perché sarebbero stati presto invasi dai nazisti. Dopo la riapertura di molte chiese durante la seconda guerra mondiale, nel 1948 in URSS erano aperte 14.500 chiese, ma Stalin fece a tempo a chiuderne un migliaio. Negli anni ‘50-’60 si tornò a chiudere la maggioranza delle chiese per volontà di Chruscev. Oggi esistono 20.000 chiese restaurate nell’ex-URSS. Alcune chiese dopo il 1991 sono state ricostruite in base al progetto originario, ad esempio la cattedrale di Cristo Salvatore demolita nel 1931, presso la Piazza Rossa, dove negli anni del comunismo esisteva una piscina riscaldata all’aperto. 

 

 

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