mercoledì 31 ottobre 2012

Io parto, ma molti torneranno a Cristo


“IO PARTO, MA MOLTI TORNERANNO A CRISTO”
(Il cammino della malattia e la fine di mia madre)
Un autentico monaco è il fiore di un onesto matrimonio. Quest’opinione suggerita dai Padri avviene nella pratica. Dalla preghiera degli avi che hanno combattuto cristianamente in questa vita proviene una grande benedizione che s’incarna sul volto dei monaci. Le radici ortodosse dei discendenti nutrono l’albero del monachesimo. Dietro ad ogni monaco si nasconde una madre che vivifica l’inestinguibile fiamma di una lampada, o un padre che si guadagna il pane col sudore della fronte glorificando il Signore; si nasconde un nonno che compie metànie dinnanzi ad ogni icona e una nonna che intercede dal Cielo.
Un simile fiore è anche colui che ha scritto il seguente testo. Con la veste monastica, lo schema di lutto, egli glorifica il Signore per i suoi infiniti doni e ringrazia la propria madre che con la sua benedetta vita, la beata dormizione e la sua inesauribile intercessione l’hanno fatto divenire monaco.
Il Grande Lunedì (Lunedì Santo) del 1971 mia madre fece degli esami e delle radiografie. Da essi si rivelò chiaramente un cancro in stadio avanzato. A lei e a me dissero che era echinococco e che con un intervento sarebbe stata bene. Da allora iniziai a vedere mia madre più concentrata in se stessa. Sembrava di sapere che stava accadendole qualcosa di molto grave.
Subito dopo Pasqua la portarono a Tessalonica e con la collaborazione del dott. Aletra e del dott. Katsochi, entrò nell’Ospedale A.CH.E.P.A.. L’operazione avvenne subito e durò circa sette ore e mezza. In lei il cancro si era diffuso ovunque. Provarono ad asportarle quello che si poteva asportare. Levarono l’intero stomaco perché era rovinato e unirono l’esofago con la fine del duodeno. Inoltre, pulirono dal cancro i reni, il fegato e altre parti. Per l’operazione le effettuarono un taglio attorno al corpo di 70 cm circa. Dopo l’intervento era talmente cambiata che ebbi difficoltà a riconoscerla.
Nel frattempo, durante gli esami all’Ospedale, i medici dimenticarono i documenti che diagnosticavano la malattia di mia madre sul suo comodino. Poiché in passato essa lavorava in una farmacia, conosceva la terminologia delle malattie e così, osservando la definizione “c.o allo stomaco”, capì subito di che si trattava. Tuttavia non fece mai capire di esserne a conoscenza. Dinnanzi a noi diceva sempre che sarebbe guarita. Solo mio padre, dopo la sua morte, ci narrò la sua reazione. Quando lo seppe volse subito lo sguardo al Cielo e disse: “Ti ringrazio, Cristo mio, che mi hai visitato così presto. Ti prego, dammi forza e pazienza fino alla fine della mia vita”.
Rimase in Ospedale per 20 giorni fino a quando si chiusero le sue ferite. Si nutriva attraverso un piccolo tubo inserito nell’area addominale e poiché le avevano tolto lo stomaco, le bastava una tazza di tè per saziarsi. Per questo ora doveva mangiare ogni due-tre ore per tutto il resto della sua vita.
Appena dimessa dall’ospedale, in quel momento critico della sua salute, il suo organismo reagì negativamente. Iniziò a vomitare ripetutamente circa 30-40 volte al giorno. La portammo subito all’A.CH.E.P.A. Purtroppo i medici non poterono fare assolutamente nulla. Non appena prendeva qualcosa il suo organismo lo respingeva. Iniziò ad avere terribili dolori e un’indescrivibile pena. Conduceva una vera lotta quotidiana contro se stessa.
Questo, però, non cambiò in nulla i suoi rapporti con Dio. La sua anima volava come prima, quando era sana. Era sempre allegra e fino ai suoi ultimi momenti s’interessava di ogni cosa che avveniva in casa stabilendo delle soluzioni. In quel grande Ospedale che è l’A.CH.E.P.A., divenne l’interesse di molti. Divenne una missionaria particolarmente nella sua corsia ospedaliera. Mi ricordo che influì su una prostituta, pure lei con un cancro, e le mutò talmente il comportamento che si pentì poco prima della sua fine. Inoltre, non dimenticava di leggere le vite di diversi Santi e di compiere pure molte preghiere. Si era confessata e si sentiva pronta per il “grande viaggio”. Finché era in Ospedale la sua sola angoscia era quella di poter riconciliarsi con una famiglia che da parecchi anni serbava rancore nei suoi confronti. Dio non le negò neppure questo desiderio. Ricordo che una Domenica, durante l’orario delle visite, arrivò una donna della summenzionata famiglia. Era così dispiaciuta per il suo errore che si buttò tra le sue braccia piangendo continuamente. In seguito arrivò anche suo marito che si riconciliò con lei. Quel giorno fu una vera e propria festa per mia madre. Glorificava continuamente Dio e Lo ringraziava per la Sua evidente visita.
Tornò all’A.CH.E.P.A. una seconda volta per altri 20 giorni. In quei giorni si dissipò ogni speranza di miglioramento e di salvezza della paziente. Poi la riportammo a casa nostra [a Serres] dove rimase fino alla fine della sua vita.
Con il passare del tempo il suo stato peggiorava. Mangiava assai poco molte volte al giorno ma ogni volta vomitava. Ho calcolato che le volte in cui vomitava andavano da un minimo di venti ad un massimo di sessanta al giorno. Ebbe fino alla fine terribili pene e, di tanto in tanto, acuti dolori. Però non si esprimeva mai. Non diceva mai “Sento questo” o “Sento quest’altro”. Le chiedevamo insistentemente cosa provasse e difficilmente ci rispondeva. Se capitava che vomitasse senza che vi fosse alcuno presso di lei, si levava dal letto e puliva senza far rumore in modo da non farsi notare dagli altri e non recare loro dispiacere. In genere, tutto il corso della malattia fu per lei un vero Golgota!
Questo non la staccò dal resto della sua famiglia e dai suoi problemi. Partecipava a ogni cosa con tutta la sua forza. Mi ricordo che fu lei a proporre di mandarmi in un campeggio cristiano perché ero piccolo e non voleva che la vedessi afflitta. Così se, fino ad allora non avevo molti rapporti con la Chiesa, quel campeggio mise le basi per il mio cammino successivo. Dopo di ciò iniziai a sentire una grande sicurezza accanto a persone spirituali che ci confortarono in questa prova e che mi hanno aiutato a superare velocemente questo spiacevole fatto. Lei non trascurò neppure mio padre. Continuò ad aiutarlo, per quanto possibile, negli affari del negozio. Colui che, però, trasse maggior giovamento fu mio fratello. Quell’anno si stava preparando per gli esami d’ammissione all’Università e la maggior parte del tempo rimaneva a casa osservando meglio di tutti la lotta di mia madre e partecipando maggiormente al suo dolore. Riuscire a entrare al Politecnico in queste condizioni fu veramente eroico. Questo non fu umano: furono senz’altro le preghiere di mia madre ad aiutarlo.
Il tempo passava così e più passavano i giorni più il suo stato peggiorava. Molte volte la assalivano delle crisi dalle quali rinveniva con difficoltà. Una volta l’abbiamo ricoverata all’Ospedale della nostra città, mentre altre volte chiamavamo il medico da Tessalonica. Benché lei stessa non volesse tutto ciò, alla fine cedette.
Le ultime due settimane stava continuamente con delle flebo. Il suo organismo non accettava più niente. Nel frattempo, il cancro andava avanti continuamente e alla fine arrivò anche agli intestini. Quello fu il culmine della sua croce. Poiché gli intestini si chiusero e non poteva andare di corpo le feci uscivano dalla sua bocca. Lei lo capiva ma ci rassicurava fingendo che non fossero feci ma cibo. Eppure lo erano chiaramente. In quella terribile situazione, come prima, non la sentimmo mai fare un disappunto. Faceva tutto, qualsiasi cosa fosse, in totale silenzio come se nulla succedesse. Non la vidi mai agitata. Aveva sempre un’inesprimibile serenità sul suo volto che, guardandola, calmava anche te.
Domenica 24 Ottobre venne un medico da Tessalonica che ci diede brutte notizie: era ormai alla fine. Il medico le dava ancora qualche giorno di vita. Pian piano iniziarono a visitarla i suoi conoscenti. Arrivò il suo padrino e, invece di consolarla lui, avvenne il contrario. Le prove continuavano. Seppe che era morta una sua zia molto amata (una sorella di suo padre) e che una persona del vicinato a lei ben nota si era suicidata. Tuttavia, come se non vivesse in terra, non si intimorì per nulla.
Martedì 26 Ottobre, il giorno dell’onomastico di mio padre, ci furono delle allegre novità. Uscirono i risultati degli esami d’ammissione all’Università e mio fratello fu ammesso ottavo in graduatoria al Politecnico di Patrasso. Mi ricordo che mia madre si mostrò molto contenta. Quando lo seppe ringraziò calorosamente il Signore con quanta forza le era rimasta e disse la preghiera seguente: “Magari Dio concedesse a tutte le madri del mondo di assaporare questa gioia”. Ma la cosa piacevole fu subito riposta poiché il dolore era maggiore. Il suo stato peggiorava permanentemente. Il giorno dopo propose da sola di comunicarsi ai Divini Sacramenti. Allora, per la prima volta, sentivo le preghiere della Santa Comunione che mia madre diceva a memoria. Comunicò con molta gioia al Corpo e al Sangue del nostro Sovrano Cristo vivendo profondamente il passo della preghiera: “viatico per entrare nella vita eterna”.
Sabato 30 Ottobre mio padre e mio fratello fecero i biglietti per recarsi a Patrasso per sistemare mio fratello nella sua nuova residenza. Verso pomeriggio mia madre chiese loro di rinviare il viaggio perché non si sentiva bene. Disse loro chiaramente: “Stasera morirò. Sistemiamo per questo la casa perché sia pronta per il funerale”. Lei stessa propose di preparare e stendere tutto ciò che serviva per i letti invernali nelle stanze e, inoltre, si alzò per guidare la loro sistemazione. Mio padre andò ad avvisare tutti i parenti perché venissero a trascorrere insieme a lei la sua ultima sera sulla terra. In questo modo nella stanza c’era mio padre, mio fratello, sua madre, sua sorella, sua nonna, due sue zie e altre sue cugine con le quali aveva uno stretto legame.
Scorrevano momenti sconvolgenti. Tutti stavamo piangendo. Non potevamo trovare sollievo dal dolore. Solo lei era calma. Ogni tanto ci consolava, ciascuno separatamente. E, mentre passava il tempo, ad un certo momento nel fragile silenzio che prevaleva nella stanza mia madre ci disse: “Perché possa andarmene presto e facilmente leggiamo il Salterio” (aveva l’abitudine di leggere lei stessa il Salterio per tutti i conoscenti defunti). Così iniziò la lettura, mentre lei cercava di alzarsi stendendosi in piedi. Ma questo le provocò orribili dolori nelle parti dell’intervento. La rimproverammo ma fu irremovibile. Ci diceva che era un peccato sdraiarsi durante la lettura del Salterio. Continuai in tal modo a leggere con mio fratello. Naturalmente lei partecipava con noi alla lettura di molti Salmi che conosceva, mentre gli astanti si misero in ogni angolo aspettando lo sviluppo della situazione. Lei conduceva l’ultima e più grande lotta con la sua malattia. Tutta quella sera aveva un’indescrivibile pena e soffriva continuamente. Mi ricordo che a volte ci diceva: “L’anima esce con molta fatica!”.
Verso mezzanotte disse a sua madre di portare pane e formaggio per i presenti che assistevano perché dovevano senz’altro avere avuto fame. Poi si alzò lei stessa, distribuì dei piccoli tovaglioli e offrì un pezzo di pera a ciascuno. La rimproverammo poiché si era alzata dal momento che pure noi avremmo potuto fare altrettanto. Allora ci disse: «Non volete mangiare qualcosa prendendola dalle mie mani per l’ultima volta?». Poi andò a pettinarsi per essere pronta. Riuscì ad ingannare i pusillanimi, tra quelli che erano presenti nella stanza. Se ne andarono, così, sua sorella, io, mio fratello e altri parenti.
La lettura del Salterio fu continuata dalle mie zie che la portarono a termine. Poi iniziò a dare istruzioni a sua madre e alle sue cugine per la preparazione del funerale: indicò che veste le avrebbero dovuto far indossare, come bisognava preparare la gente e dove avrebbero dovuto distribuire il resto dei suoi vestiti. Inoltre pregò loro di non farle indossare calze di nylon, perché sotto terra non si sarebbero decomposte. A sua madre disse di stare in casa quanto più avesse potuto per prendersi cura di noi.
Poi chiamò mio padre. Lo pregò di sposarsi presto e di non ascoltare la gente. Gli disse in particolare: “Sei giovane e i ragazzi sono maschi. Avete bisogno di una donna in cucina e in lavanderia; il lavoro non è finito. Per questo sposati presto. Non ascoltare la gente. Lasciali dire quello che vogliono. Tu guarda al tuo interesse”. In quel momento tolse il suo anello, lo diede a mio padre e con incredibile sangue freddo gli disse: “Da me sei ormai libero…”. Mio padre mise subito nuovamente al suo dito l’anello e provò a consolarla facendo finta che non sarebbe morta. Ma lei era calma e sapeva cosa sarebbe successo. Dopo la sua morte trovammo l’anello sotto il guanciale chiuso in un fazzoletto.
Aveva detto a tutti in modo un po’ profetico: «Io parto, ma molti torneranno a Cristo!». E difatti successe così. Mio padre iniziò a credere in Cristo più calorosamente di prima. Mio fratello, da ragazzo mondano qual era, cambiò totalmente. L’esempio di nostra madre lo cambiò al massimo. Non appena andò all’Università divenne membro vivo della Chiesa. Anch’io, dopo la sua morte, amai maggiormente la Chiesa e da allora le sue preghiere tengono tutti noi sulla strada di Dio. Anche tutti gli altri suoi parenti, altri poco, altri molto, cambiarono. Molti si convertirono e tornarono a Cristo.
Quando finì la lettura del Salterio, essa chiese a tutti perdono e si voltò all’icona di Cristo dicendo: “Ora, Cristo mio, sono pronta. Vieni con benevolenza”. Subito le venne della tosse. Una mia zia le porse prontamente dell’acqua. Mia madre, però, la fermò dicendo: «Non ce n’è bisogno. Questa non è tosse. È un rantolo. Tra un po’ parto”. Allora mio padre le prese la testa perché non si affaticasse e dopo cinque o sei profondi respiri spirò tra le sue braccia!
Così, come silenziosamente visse nei suoi 41 anni, allo stesso modo se ne andò in Cielo. Se ne andò per incontrare Colui che desiderò più di noi.
Ora, pensandoci nuovamente, credo che l’atteggiamento che lei tenne nell’ultima sua sera non differisse in nulla da quello dei Martiri della nostra Chiesa i quali, separandosi da ogni cosa umana, bruciavano di amore divino. Lo stesso vale anche per mia madre. Non la commuoveva nulla di terreno. Stava lasciando suo marito, i suoi due figli, i parenti, una grande e nuova casa, una vita comoda. Il suo cuore, però, era rivolto verso un’altra parte: batteva per Cristo.
Alle 4,30 del mattino di Domenica del 31 Ottobre 1971 ci stavamo preparando per il suo funerale. La nostra casa divenne un luogo dove la gente si recava per darle l’estremo saluto. Passarono centinaia di persone per baciarla per l’ultima volta. Tutti piangevano. Il funerale ebbe luogo Lunedì 1 Novembre con l’accompagnamento di centinaia di persone. La venerarono tutti, piccoli e grandi, credenti e non credenti.
Questa fu la fine di una vera anima ortodossa, per la quale tutta la sua vita era un continuo riferimento a Dio. Tutta la sua lotta era rivolta a come potesse amare sempre più Dio e gli uomini. Per questo la maggior parte del suo tempo libero la dedicava in chiesa o in qualsiasi altra manifestazione cristiana o occupandosi di persone che avevano bisogno di consolazione.
Qualche volta mi sovvengo della sua figura quando sentiva la campana della chiesa; sembrava che si elettrizzasse. Benché avesse molti impegni, poiché oltre a quelli della casa aveva anche la gestione del negozio di mio padre, preferiva far tardi per finirli piuttosto che perdere l’ufficiatura, anche se si trattava di un semplice Vespro. Se c’era una veglia durante la notte arrivava tra i primi anche se tutti noi la prendevamo in giro. Inoltre rispettava tutti i digiuni indicati dalla Chiesa e quando doveva comunicarsi digiunava l’intera settimana.
Anche l’amore verso il suo prossimo non veniva meno. In tutto il nostro quartiere era un polo d’attrazione per tutti. Non c’era problema a cui non partecipasse per la sua soluzione, come pure non c’era gioia a cui non prendesse parte. Era l’ornamento del vicinato. Tutti i poveri, gli anziani e i malati aspettavano la consolazione e il riposo da Dèspina. Molte volte lasciava gli impegni di casa e correva in misere case per prendersi cura di anziani. Se non puliva loro la casa, non li lavava e non dava loro da mangiare, non se ne andava anche se si fosse fatto tardi. Faceva questo naturalmente con il consenso di mio padre. Ancora oggi ci sono dei vecchietti ciechi in casa di riposo e degli anziani in città i quali, se qualcuno li accudisce con cura particolare e affetto, subito chiedono: “Sei forse Dèspina?”, senza sapere che è morta da 9 anni! L’affetto di questa donna rimase profondamente impresso nella loro memoria!
Per l’amore e il discernimento che la distingueva, divenne causa d’invidiabile unione tra la gente del vicinato e soprattutto tra i parenti. Fino ad oggi ci sono persone che ammirano l’unione dei suoi parenti che naturalmente risulta essere opera sua.
Questi sono i frutti della sua lotta. Purtroppo la sua lotta non la conosce nessuno, tranne Dio. Sapeva nascondersi molto bene dagli uomini. Così riuscì ad arrivare ad alti livelli di umiltà. Non è mai stata sentita vantarsi per qualcosa. Le piaceva molto innalzare ed elogiare gli altri e abbassare se stessa. Nonostante che nessuno parlasse della “preghiera di Gesù”, essa aveva un continuo ricordo di Dio e tutta la sua vita era un “Gloria a Te, o Dio”.
Da questi pochi elementi riferiti, appare in modo evidente che la sua figura è una testimonianza e una confessione odierna di esperienza ortodossa vissuta dei comandamenti del Signore. Seguendo fedelmente la Tradizione Liturgica della nostra Chiesa e sforzandosi continuamente di vivere nell’umiltà e nell’ombra, essa incontrò velocemente il desiderato Gesù.
Magari potessimo anche noi amare tanto autenticamente e ortodossamente Dio e gli uomini come li ha amati lei! La sua memoria sia in eterno e le sue preghiere ci accompagnino per tutta la nostra vita. Amìn.



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