Kirye, eleison (quaranta volte)…
del metropolita Emilianòs Timiadis
Kyrie, eleison! Lo sentiamo così spesso.
Lo pronunciamo così spesso. Esso ricapitola, forse, il carattere basilare della
vita spirituale ortodossa e il fondamento del pentimento. In ogni ufficiatura
della nostra vita liturgica non solo non è assente, ma viene spesso ripetuto.
Lo incontriamo dovunque, sia nella Divina Liturgia che negli eventi felici o
tristi dell’esistenza cantati dalla nostra Chiesa: nozze, battesimi,
commemorazioni funebri, esequie…
Qualunque
sia la richiesta indirizzata al Dio trinitario, e in qualunque circostanza,
tale grido di supplica non può mancare.
L’assemblea
ecclesiale risponderà con il Kyrie,
eleison ad ogni implorazione e preghiera.
Chi
lo pronuncia, persino nella solitudine o nella notte, in ore di insonnia o di
difficoltà, e lo ripete con compunzione, penetrando nelle sue parole, può
vedere i cieli aperti e Dio chinarsi al suo grido. Constaterà, allora, il
miracolo della preghiera, quanta potenza essa celi e quanto attiri la
misericordia di Dio. Perché tali sono gli attributi di Lui: pietoso,
filantropo, compassionevole, longanime, ricco di misericordia e bontà.
Con
tale antichissima domanda liturgica del Kyrie,
eleison, non aggiungiamo, da parte nostra, nessun valore o grazia a Dio,
che è, per sua natura, perfetto e santissimo. Di conseguenza, dicendo Kyrie, eleison, noi, i caduti, i poveri,
i nudi e privi di forza sufficiente nella lotta titanica contro il male,
rendiamo un servizio a noi stessi.
Quanti
fanno vita ascetica e ripetono 40 volte, se non di più, il Kyrie, eleison, che è la nota preghiera del cuore (o noerà), sentono immancabilmente la sua
azione tonificante.
Quanti
pregano con lacrime, “dal profondo”, vedono forze insperate zampillare dentro
di loro.
Questa
ripetizione frequente, per non dire incessante, del Kyrie, eleison riveste, in aggiunta, una finalità pedagogica.
Perché in tal modo persino i più distratti possono entrare nel loro intimo e
giudicare errori, cadute, irregolarità, colpe. Possono allora cominciare a
comprendere quanto affermavano i Padri sulla preghiera del cuore, la preghiera
composta delle due parole basilari per la nostra fede, la preghiera che è il
compendio di tutte le preghiere.
San
Giovanni Crisostomo, pieno di meraviglia per il perdono immediato prodotto da
queste due parole, commenta: “Sospira amaramente. Ricorda i tuoi peccati, alza
lo sguardo al cielo, di’ dentro di te Pietà
di me, o Dio, e la tua preghiera sarà completa. Poiché colui che ha detto Pietà si è confessato e ha acquisito
conoscenza dei suoi personali peccati. In effetti, il perdono spetta ai
peccatori. Chi ha detto Pietà di me
ha ottenuto la remissione per i suoi errori e chi ha ricevuto pietà non è
soggetto a castigo. Chi ha detto Pietà di
me ha guadagnato il regno dei cieli, poiché colui cui Dio fa misericordia
non viene solo liberato dal castigo dell’inferno, ma viene anche reso degno dei
godimenti futuri” (PG 54, 667).
Ogni
persona reciti con fede e umiltà il Kyrie,
eleison. Non esitiamo a rivolgerlo a Dio persino nel momento della nostra
morte. Finché viviamo ed affrontiamo le difficoltà, i pericoli e le passioni
della vita, ci è necessario il Kyrie,
eleison.
Ma quando
tutte queste realtà cesseranno e ci troveremo in quel porto cui siamo destinati,
il porto del nostro riposo, ove non esiste “dolore,
tribolazione e gemito, ma vita senza
fine”, allora potremo, oramai, unire le nostre voci alle dossologie
incessanti degli angeli del Signore e cantare all’onnipotente creatore e Dio
nostro: “Alleluia!”.
Da: E. TIMIADIS, “Pietà
di me, o Dio”. Il pentimento di Davide nel Salmo 50, Katerini 1991,
137-139. [in greco].
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