Le realtà ultime
Tratto
dalla trascrizione di alcuni interventi seguiti dopo una conferenza del metropolita
Anthony Bloom sul tema Comme un vivant
revenu d'’entre les morts. Per ascoltare la registrazione dell’intera
conferenza: http://masarchive.org/Sites/Audio/French/Mort.mp3
D.
– Lei ci ha suggerito che l’assenza di Dio sia un’assenza d’esistenza. Possiamo
ammettere che alcuni saranno nella felicità eterna e altri nella sofferenza dell’esistenza
eterna di Dio?
A.
B. – Alla prima metà della domanda risponderei sostituendo il termine
“esistenza” con il termine “vita”. L’assenza di Dio è l’assenza della vita.
Possiamo esistere materialmente, fisicamente, e comunque essere morti in mezzo
ai morti, avere un’anima spenta, essere di quelli che non hanno mai provato il
fremito della vita, la sua intensità creatrice; in fin dei conti, essere di
quelli che non hanno mai scoperto che la pienezza della vita si chiama amare, e
che amare è donare la propria vita. Nel linguaggio della scrittura e
dell’esperienza della chiesa, l’amore non è un sentimento, un’emozione: è un
livello di vita, una pienezza che s’intensifica donandosi.
Quanto
alla seconda parte della domanda, che riguarda la felicità e l’inferno eterni,
credo che non ci siano risposte assolute e categoriche. Qui, piuttosto che
affermare con certezza, noi possiamo soprattutto sperare. Alcuni parlano di
salvezza universale; credo che non si tratti in questo caso di una “certezza
della fede”, ma di una “certezza della speranza”. Possiamo sperare tutto dalla
sapienza di Dio. Non conosciamo le vie del Signore. Alla fine, noi non sappiamo
come, dopo essersi preso sulle spalle il fardello del mondo intero, egli saprà
condurci all’eternità.
D.
– Dio ha soppresso e svuotato l’inferno con la sua discesa agli inferi. Cosa
succederà al momento del giudizio finale? Ci sarà un nuovo inferno per i
condannati?
A.
B. – Nelle preghiere che leggiamo nell’ufficio dei defunti, affermiamo che
Cristo ha svuotato l’inferno. L’ha reso vuoto, prima di tutto, svegliando
coloro che vi dormivano dai tempi più antichi. Ma lo ha anche svuotato della
sua qualità di assenza irrimediabile. In Cristo che discende agli inferi, Dio
ha preso possesso non solo del “cielo” e della “terra”, ma anche dei “luoghi
inferiori” nelle loro profondità più profonde. Non esiste più lo stato di
separazione, non esistono più luoghi spirituali dai quali Dio sarebbe assente.
Anche se Dio non può coartare la libertà di nessuno.
Il
tema del giudizio finale presenta difficoltà particolari. Spesso ce lo
immaginiamo come la ripresa del giudizio personale. Ognuno di noi ricomparirà
davanti a Dio, in una situazione drammatica, spettacolare, e verrà pronunciato
un giudizio definitivo. Siamo tenuti a vedere così le cose? Non vi è forse una
differenza molto particolare tra il giudizio personale e quello finale? Nel
giudizio finale non sono le nazioni e i popoli interi che compariranno davanti
al volto del Signore, alcuni con la loro gloria, tutti con la loro vergogna?
D’altronde, quando il genere umano starà davanti a Dio, non ci sarà, tra gli
uomini, colui che in mezzo a essi si chiama Gesù di Nazaret? Se egli è il
nostro giudice, non ha anche detto che sarà il nostro avvocato? La sua croce
non è forse il “giudizio dei giudizi” come diceva uno dei padri?
Un
nuovo inferno? Ma sarà un “luogo” di sofferenza per l’assenza impensabile di
Dio, o il risultato paradossale della nostra assenza dalla totale presenza di
Dio? Non lo so. Bisogna mantenere l’equilibrio tra giustizia e speranza. Non ci
può essere un paradiso imposto per forza, perché l’amore è libertà e il
paradiso è pienezza dell’amore. Ma, allo stesso tempo, la sapienza e l’amore di
Dio per gli uomini sono insondabili, e noi abbiamo non soltanto il diritto ma
anche il dovere di sperare tutto.
D.
– A che cosa è servita la morte di Cristo, visto che noi continuiamo a morire?
A.
B. – Sì, noi tutti moriremo. Ma morire, per il cristiano, è addormentarsi nella
pace del Signore, è nascere all’eternità. Non è perire, non è superare quella
barriera al di là della quale non c’è più niente, al di fuori della corruzione
del corpo e della dissoluzione di ogni essere. È entrare nella vita eterna,
dove ogni anima vivente conoscerà faccia a faccia il Dio vivente. Più ancora, è
attendere la resurrezione. Nel Credo, infatti, noi non proclamiamo
l’immortalità dell’anima, ma la “resurrezione dai morti”. Noi crediamo a questa
resurrezione, l’aspettiamo. Si potrebbe dire, al limite, che noi siamo gli
unici veri materialisti, perché crediamo alla possibilità per la materia di
essere trasfigurata, in Dio, per l’eternità.
D.
– Dio ha portato la vita agli inferi. Ma colui che merita l’inferno, e già lo
conosce, come può dopo la morte carnale conoscere la vita?
A.
B. – C’è una cosa che noi dobbiamo imparare: a sospendere il giudizio, sugli
altri e su noi stessi. Quando diciamo “colui che merita l’inferno”, condanniamo
qualcuno, forse noi stessi. Ci sembra di saperne abbastanza per infliggere, con
un nobile giudizio, tale condanna. Abbiamo torto. Forse sappiamo abbastanza
della nostra indegnità, ma non sappiamo certamente abbastanza delle vie di Dio,
della sua sapienza e della sua misericordia. Dire che meritiamo l’inferno, è
una frase, credo, teologicamente falsa. Ci si appropria del diritto di
giudicare, diritto che spetta a Dio solo. Quanto a conoscere l’inferno,
sappiamo che qualche santo ha fatto questa quest’esperienza, ma chi di noi può
affermare altrettanto? Quando parliamo dell’inferno della vita umana,
dell’inferno che è la nostra società, parliamo di qualcosa che non è l’inferno.
L’inferno è un momento al di là del quale non c’è più niente. È una linea al di
là della quale risuona la parola di Dostoevskij: “Per essere liberati, è troppo
tardi”. Adesso ho capito tutto, capisco che è troppo tardi per amare, troppo
tardi per agire. Invece, nella vita, non è mai troppo tardi. Finché c’è in noi
un filo di respiro, c’è anche un avvenire: un gesto, una parola, un pensiero
possono trasformare e trasfigurare la vita…
Nell’aldilà,
possiamo dire che sarà troppo tardi? Niente, allora, sarà più nelle nostre
mani, tutto sarà nelle mani di Dio. Entrare nel mistero della morte è entrare
nel mistero dell’incontro. Giacché Cristo è venuto fin nella nostra morte, non
potremo non incontrarlo giunti a quel momento.
Allora,
tutto sarà possibile.
Da: ANTHONY BLOOM, Alla sera della
vita, Magnano (BI), 2000, 95-99.
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