Signore compassionevole, buono e amico
degli uomini...
di Olivier Clément
Soprattutto,
forse, padre Sophron mi ha fatto capire, delucidando la mia più profonda
esperienza, da cosa siamo salvati. Ed
è giustamente dall’inferno. L’inferno è il luogo ultimo della salvezza, come
canta la liturgia pasquale: “Tutto ormai è riempito di luce, il cielo, la
terra, e perfino l’inferno”. Sapersi salvati dall’inferno, salvati nell’inferno, sapere che la sola scelta
è di essere il ladrone di destra o quello di sinistra, sempre un ladrone,
scoprire non solo i propri peccati al plurale, ma un certo stato di
separazione, di fallimento, di asfissia permanente è entrare in una radicale
umiltà, in una permanente metanoia,
questo “rivolgimento” del nostro afferrare il mondo, questa rottura
dell’“idolatria di se stesso” che proiettiamo sugli esseri e sulle cose… “Tieni
il tuo spirito nell’inferno, ma non disperare”. Dio incarnato, Dio sofferente
sulla croce non solo la morte fisica, ma la morte spirituale, si trova ormai
nel luogo stesso della sua propria assenza. Tutto è riempito di luce, perfino
l’inferno.
“Sì, dicevo,
l’inferno come condizione dell’umanità è abolito, ma la persona può richiudersi
in se stessa, magari nel cristallo del suo spirito, e allora non è un altro
inferno, non più generico, ma personale, la seconda
morte di cui parla l’Apocalisse?”.
Ma padre
Sophron mi spiegava dolcemente che non si può fare un discorso obiettivo
sull’inferno, che non si può parlare dell’inferno per gli altri. Nessuno è
solo, Dio non abbandona nessuno, la comunione dei santi, questi peccatori
perdonati, corrode la prigione ultima, quella dell’io che si chiude in se
stesso… La salvezza universale non può essere una certezza, sarebbe svuotare la
vita spirituale della sua serietà, la libertà umana della sua grandezza
tragica. Ma la salvezza universale deve essere l’oggetto della nostra
preghiera, del nostro amore attivo, della nostra speranza. È così che padre
Sophron è venuto a raccontarmi la storia del calzolaio di Alessandria, che si è
trasmessa tra i monaci di generazione in generazione dal IV secolo. Antonio il
grande, il padre dei monaci, l’atleta di Cristo, gli chiese un giorno di
confermargli se era sulla buona strada. “Sì, gli disse il Cristo, va molto
bene, ma c’è ad Alessandria un calzolaio che ti precede”. Antonio va a trovare
il calzolaio. Ma quello non ha niente da dirgli, la sua vita è banale. Antonio
si presenta. Il calzolaio si getta ai suoi piedi e gli dice: “Forse si tratta
di questo. Di tutto quello che guadagno faccio tre parti uguali: una per quelli
che sono più poveri di me, un’altra per la Chiesa, la terza per la mia
famiglia”. Ma Antonio non è convinto. Lui stesso ha venduto tutti i suoi beni e
distribuito il denaro ai poveri dopo aver udito leggere in chiesa l’ingiunzione
di Gesù al giovane ricco: “Una sola cosa ti manca: va’, vendi quello che hai,
dallo ai poveri… poi vieni e seguimi”. Antonio rivela allora al calzolaio
quello che il Cristo stesso gli ha detto. E il calzolaio riflette: “Forse è
questo. Tutto il giorno, mentre lavoro, vedo passare tanta gente. Questa città
di Alessandria è così grande. Allora prego: Che
tutti siano salvati, solo io merito di essere perduto”.
L’inferno non
è mai per gli altri. E colui che si scopre all’inferno e, in un certo senso,
responsabile e complice dell’inferno, non può non incontrarvi il Cristo.
“Ma se rifiuta
di aprire il cuore, allora l’inferno è eterno”.
“Allora siate
sicuro che il Cristo vi si trova con lui…”.
Da O. CLEMENT, L’altro sole.
Autobiografia spirituale, Milano, 1977, 180-183.
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