Un cuore puro crea in me, o Dio...
I. Vlachos, Tempo di agire, Levadia 1990, pp. 62-67 [in greco]:
Nell’Ortodossia
acquisiamo una reale conoscenza di Dio. Non acquisiamo una conoscenza dei
discorsi che hanno per oggetto Dio, ma la conoscenza di Dio, che salva. Poiché
salvezza è conoscere Dio. Secondo i santi Padri, la conoscenza di Dio non è una semplice ricerca accurata o una
comprensione intellettuale di differenti capitoli di libri o, ancora, la
raccolta di informazioni su Dio, ma comunione nell’amore dell’amante e
dell’amato. Tale conoscenza di Dio, che è comunione e vita, è una conseguenza
della purificazione, secondo il grado di conversione. Il Signore lo ha
proclamato nel discorso della montagna:
“Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio” (Mt 5, 8) […]
Nell’insegnamento
patristico, che esprime la dottrina della Chiesa, il peccato è la malattia
dell’anima, è l’azione contro natura dei moti dell’anima, per cui, quando Dio
parla, l’uomo ignora completamente la volontà di lui o ne confonde la voce con
le passioni. Nella tradizione biblico-patristica Dio si incontra con l’uomo e
gli parla nel cuore. Quando l’uomo non è puro di cuore, gli è impossibile
conoscere realmente Dio. Noi ben sappiamo, come ortodossi, che l’incontro con
Dio diventa condanna per quell’uomo che prima non si è purificato.
Ci aiuterà, in
tale contesto, il caso di Adamo. L’albero della conoscenza del bene e del male,
del cui frutto gli era stato proibito di mangiare, non era cattivo, poiché Dio
ha fatto “molto buona” ogni cosa. Tale albero sarebbe divenuto la
divinizzazione di Adamo, quando questi lo avesse mangiato “a tempo opportuno”.
Il mangiare il frutto fuori tempo è divenuto la sua condanna […]. L’albero
della conoscenza, afferma san Gregorio il Teologo, né fu piantato all’inizio
con uno scopo cattivo, né fu proibito ad Adamo per invidia. Ma l’albero era
buono se lo si accostava a tempo opportuno, perché, come spiega il santo,
“l’albero, secondo il mio punto di vista, era la visione di Dio, cui potevano
accedere senza pericolo soltanto coloro che si erano perfezionati con
l’ascesi”. Tale albero, al contrario, e cioè la contemplazione, non era buono
per quanti non erano stati prima provati e purificati, come il cibo solido non
è buono per coloro che hanno bisogno di latte (Discorso 45. Sulla Pasqua, 8).
Nella
tradizione liturgica della Chiesa, ma anche nell’insegnamento dei santi Padri,
e in specie di san Gregorio Palamas, la divina Comunione in quanti si sono
preparati e purificati diventa fuoco che li consuma. Lo stesso succederà alla
seconda venuta di Cristo. tutti gli uomini, peccatori e giusti, riceveranno le
energie increate di Dio. Tuttavia Dio, nei puri, sarà luce, nei non puri sarà
fuoco […].
Se qualcuno
vuole giungere a Dio e acquisire la conoscenza di lui, senza prima essere
passato attraverso la prova corrispettiva, che è la purificazione del cuore,
gli succederà quello che è successo in tanti altri casi che incontriamo nella
sacra Scrittura. Ciò che è accaduto al popolo israelitico, che non poteva
sopportare il volto di Mosè, raggiante per la grazia di Dio. Ciò che è accaduto
a Manoach, che gridò: “Noi moriremo certamente, perché abbiamo visto Dio”. Ciò
che è accaduto all’apostolo Pietro, che, dopo la pesca miracolosa, disse:
“Signore, allontanati da me che sono un peccatore”. Ciò che è accaduto
all’apostolo Paolo, che perse la vista, quando vide il Cristo che lui
perseguitava, senza prima essersi purificato dalle persecuzioni. Ancora, ciò
che è accaduto con il centurione: benché chiedesse al Cristo la guarigione,
egli lo supplicava di non entrare nella sua casa per timore, il quale, ad ogni
modo, viene dal Signore lodato. Riferendo questi esempi, san Gregorio il
Teologo fa la seguente osservazione. Se qualcuno tra noi è ancora un
centurione, a servizio del signore di questo mondo, e per questo è impuro,
prenda coscienza di questo e dica la parola del centurione: “Non sono degno che
tu entri sotto il mio tetto”. Non si limiti tuttavia a tale constatazione. Ma,
se vuole vedere Cristo, faccia allora ciò che ha fatto Zaccheo. Accolga il
Verbo nella sua casa, dopo essere tuttavia, in precedenza, salito sul sicomoro,
“mortificando quella parte di sé che appartiene alla terra e trascendendo il
corpo della sua bassezza”. Si esige cioè consapevolezza della nostra impurità,
ma anche lotta per la purificazione e la guarigione. Dobbiamo purificare e
abbellire la nostra anima e, ancora, essere illuminati con la potenza e
l’energia di Cristo. Poiché, quando avremo custodito il nostro cuore con ogni
cura, cioè quando avremo posto in esso la vigilanza e lo avremo preparato alle
salite spirituali, solo allora “potremo illuminarci con la luce della
conoscenza; e annunciare così la sapienza di Dio, misteriosa, che è rimasta
nascosta, e divenire luce per gli altri”. Per questo, con efficace concisione,
san Gregorio il Teologo scrive: “Ma fino a quel momento noi dobbiamo
purificarci e renderci perfetti per il Verbo, per potere fare il più possibile
del bene a noi stessi, rendendoci simili a Dio ed accogliendo entro di noi il
Verbo che arriva” (Discorso 39, 11).
Così,
nell’Ortodossia, si parla continuamente di purificazione e conversione, secondo
l’insegnamento di Cristo: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino”
(Mt 4, 17). Solo attraverso la conversione l’uomo conosce Dio per esperienza
[…]. Solo attraverso il Dio-Uomo, nel suo corpo benedetto, la Chiesa, e
mediante la conversione, possiamo acquisire la vera conoscenza di Dio. Fuori di
questi elementi c’è illusione ed inganno.
Da: BASILIO DI IVIRON, La
parabola del figlio prodigo, 1993, Cernusco s/N (Mi), 107-110.
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