martedì 4 dicembre 2012

L’Icona dell’Ingresso al Tempio


L’Icona dell’Ingresso al Tempio della Madre di Dio

di Egon Sendler

 

La scena mostra Maria condotta dai suoi genitori e accompagnata da sette vergini, nel momento in cui si avvicina al sacerdote Zaccaria, padre di Giovanni Battista... La scena si svolge all’interno del cortile del Tempio, indicato spesso da un velo rosso. Le facciate e i portici non hanno nulla in comune con un tempio orientale, richiamano invece le chiese ortodosse, soprattutto quelle della Russia e sono spesso incoronate da cupole a bulbo.

Secondo l’interpretazione di Origene, le tre parti del Tempio simbolizzano i tre gradi della vita spirituale. Nella patristica i tre libri di Salomone: Proverbi, Ecclesiaste (Qoèlet), Cantico dei cantici, ricevono questo significato, simbolizzano cioè la purificazione, l’illuminazione e l’unione con Dio.

Il cortile del Tempio rappresenta quindi il primo grado, la vita attiva dell’uomo che deve liberarsi dalle sue passioni (1’apàtheia). Gioacchino e Anna entrano con Maria in questo cortile per consegnare la loro bambina nelle mani del sacerdote. Nei loro gesti s’indovina la determinazione di offrire la figlia al servizio del Signore... Arrivano quindi solennemente in corteo, accompagnati da sette vergini con in mano lampade accese.

Anna, vera grazia divina, conduce con gioia al Tempio di Dio colei che per grazia conserva l’eterna verginità; alle giovani portatrici di lampade accese ella chiede di scortarla e le dice: «Va’, figlia mia, a colui che ti ha dato a me; sii un’offerta, un profumo di buon odore; penetra nel luogo santo, conoscine il mistero, preparati a divenire la gradita e splendida abitazione di Gesù, che concede al mondo la grazia della salvezza».

Davanti all’ingresso della seconda parte del Tempio, Zaccaria, vestito con gli abiti sacerdotali, attende il corteo. Sta in piedi sul primo gradino di una scala di quindici gradini, ricordo dei quindici salmi graduali, che porta verso il Santo dei santi. È così simbolizzato il secondo grado della vita spirituale, la visione di Dio nella creazione che incammina all’unione con Dio. Maria si avvicina a Zaccaria senza timore né esitazione, alza le sue mani verso di lui chiedendo di essere condotta all’interno del Tempio.

Il cielo si rallegra e con lui la terra, vedendo il cielo spirituale, la sola Vergine immacolata avanzare verso la casa di Dio per esservi santamente educata. Zaccaria nella sua ammirazione le dichiara: «Porta del Signore, io ti apro le porte del Tempio; nell’allegrezza tu potrai percorrerlo, perché io so e credo che già abita tra noi la liberazione d’Israele e da te nascerà il Verbo di Dio che accorda al mondo la grazia della salvezza».

 

Il Santo dei santi

Si vede la Vergine una seconda volta nella parte alta delle costruzioni, seduta sul gradino superiore della scala, davanti al santuario. Le porte sono chiuse perché è simbolo della visione pura di Dio, possibile soltanto nel Logos. Maria si prepara a questa visione, davanti al santuario ancora chiuso. Si tratta, infatti, di dire che sarà lei stessa quel Santo dei santi in cui Dio abiterà. Nutrita con il pane del cielo portato a lei da un angelo, crescerà per questo compito.

La Santa immacolata nello Spirito Santo è introdotta nel Santo dei santi e viene nutrita dall’angelo, lei che in verità è il santissimo tempio del nostro Dio, del Santo il quale santifica l’universo abitandolo e divinizza la natura decaduta dei mortali.

Nonostante la statura di bambina, Maria è già rappresentata come una persona adulta. Porta il maforion, il mantello di colore bruno-rosso scuro che ritroviamo su tutte le icone della Madre di Dio. Con il suo ingresso nel Tempio ella è già consacrata a colui di cui sarà madre. Non è forse la caratteristica dell’età matura il darsi totalmente e senza riserve al proprio compito?

(Lo Pseudo-Matteo precisa che Maria salì correndo i quindici gradini del santuario)

In questo giorno la Vergine immacolata è presentata al Tempio per divenire la dimora del Signore Dio e Re dell’universo e nutrice di ogni vita; in questo giorno il santuario purissimo, a tre anni di età, è portato in offerta al Santo dei santi. Per questo le diremo, come l’angelo: «Salve, o sola benedetta tra le donne».

I racconti del Protovangelo di Giacomo esercitarono la più forte influenza sull’arte e sulla liturgia della festa. Ma per descrivere la vita di Maria al Tempio egli si accontenta di qualche parola: «Vivendo come una colomba, riceveva il suo cibo dalla mano di un angelo». Un altro apocrifo, lo Pseudo-Matteo, in un’epoca in cui prosperavano i monasteri delle monache, traccia un ritratto di Maria, vergine modello per quanti si consacrano a Dio. Egli mostra come lo sviluppo dell’ascetismo ha permesso di cogliere meglio la grandezza di Maria e anche quale attrattiva ella ha esercitato in quanto Regina virginum sulle vergini cristiane. Questo ideale assomiglia a quello che sant’Atanasio aveva proposto alle vergini dell’Egitto, o a quello che sant’Ambrogio darà nei suoi scritti sulla verginità. Ma bisogna notare che né l’uno né l’altro erano a conoscenza di questo preteso soggiorno di Maria al Tempio. Ci resta da dire come questa epoca immaginava il soggiorno di Maria al Tempio e come questo quadro appariva una proiezione del presente sul passato: la vita nel Tempio è rappresentata secondo la vita monastica del tempo.

Come se ella avesse avuto trent’anni, si applicava all’orazione... Si applicava alla lavorazione della lana, e tutto quello che le donne anziane non avrebbero potuto fare, lei, in età così tenera, lo faceva. Si era imposta di dedicarsi all’orazione del mattino fino a terza; dopo terza fino a nona si occupava a tessere e a partire da nona ritornava alla preghiera e non l’abbandonava più fino all’ora in cui gli appariva l’angelo del Signore, dal quale riceveva il cibo... Infine, con le vergini di maggior età, era così ben istruita nelle lodi di Dio, che nessuna la precedeva nelle vigilie, né era più istruita nella sapienza di Dio, né più umile nell’abbassamento, né distinta nei canti di Davide... Piena di sollecitudine per le sue compagne, vegliava affinché nessuna di loro peccasse neppure con una sola parola, nessuna ridendo alzasse troppo la voce, nessuna giungesse alle ingiurie o all’orgoglio rispetto a una eguale .

 

Da: Egon Sendler, Le Icone bizantine della Madre di Dio.

Omelia I di san Germano



Omelia I per l’Ingresso della santissima Madre di Dio

di san Germano patriarca di Costantinopoli

 

 

Invito a celebrare la festa

1. Ogni divinissima festa, la volta che sia celebrata, riempie spiritualmente di gioia i fedeli attingendo da tesori e sorgenti provenienti da Dio. Ma quella che è ora celebrata, attirando gli animi come iniziatrice dei misteri, di tanto risplende maggiormente e al di sopra di tutte, per quanto è a tutti superiore la primeggiante figlia di Dio. Di lei infatti ricorre l’annuale sacrissimo convito, i cui partecipanti debbono essere immuni dal male.

E voi, se vi piace, accompagnatemi benevolmente con pensieri purissimi ed essendo ricoperti di risplendenti ornamenti. Insieme corriamo a raccogliere gli amati fiori del prato che è proprio della Madre di Dio. Cospargiamo di unguenti odorosi la sua bellezza come di boccioli dal colore di rosa che irrompe piena di profumi, come è stato bellamente composto in versi da Salomone che nel Cantico dichiara: «Chi è questa che sale dal deserto, come una colonna di fumo esalante profumo di mirra e d’incenso da ogni polvere di profumiere?» (Ct 3, 6). «Vieni qui dal Libano, o mia sposa, vieni dal Libano» (Ct 4, 8). Perciò scambievolmente esortandoci andiamo alacremente alla salutare e a tutti benefica solennità della Madre di Dio, e inginocchiatici dinanzi al penetrale guardiamo verso la fanciulla che si avanza verso la seconda cortina, Maria, la purissima Madre di Dio, colei che ha posto fine alla privazione della sterilità e con la grazia del suo parto ha superato l’ombra della lettera della Legge (cf. Rm 2, 29).

 

A tre anni Maria è introdotta nel  tempio

            2. Infatti oggi compiendo tre anni si avanza per essere consacrata al tempio stabilito dalla Legge, ella che sola è detta tempio immacolato e supremo del Signore sommo sacerdote e fra tutti primo autore dei misteri, ella che nel suo proprio fulgore di splendore divinamente lampeggiante ha aperto l’oscurità che era nella lettera. Oggi l’infante è consegnata al sacerdote, ella che a quaranta giorni consacrerà il Dio unico sommo sacerdote (cf. Lc 1, 22ss.), diventato per noi infante secondo la carne, mentre reggerà con le sue braccia colui che è infinito, al di sopra di ogni umano pensiero. Oggi il volume senza macchie, nuovissimo e purissimo, destinato non ad essere scritto dalla mano dell’uomo ma ad essere rivestito di oro dallo Spirito, è offerto in dono di ringraziamento santificato dalle benedizioni secondo la Legge...

Oggi Gioacchino, essendosi deterso dalla vergogna della mancanza di figli, orgogliosamente si avanza per mostrare apertamente per le strade la sua propria prole, e a sua volta si manifesta come conduttore del rito secondo la Legge. Oggi anche Anna, che ha scambiato la continua sterilità con una felice fecondità, divinamente invasa da gioia infinita, avendo stretto al petto colei che è più grande dei cieli, annunzia pubblicamente fino ai confini della terra di aver ottenuto una prole. Oggi la porta del tempio divino, spalancata, riceve la sigillata porta dell’Emmanuele (cf. Ez 44, 1-3) che entra rivolto verso l’Oriente. Oggi la sacra tavola del tempio incomincia a risplendere, essa che ha assunto il passaggio a riti incruenti, mediante la partecipazione e il dolcissimo abbraccio del culto divino della tavola che regge il pane celeste e vivificante. Oggi è offerta al propiziatorio colei che sola è stata detta nuovo divinissimo e purissimo propiziatorio, non costruito dalla mano dell’uomo (cf. Eb 9, 11), a favore dei mortali abbattuti dalle correnti dei peccati spinte di traverso. Oggi colei che con la consacrazione dello Spirito è destinata a ricevere il Santo dei santi in modo santissimo e glorioso, con una consacrazione più eccelsa di quella del santo santuario, in età semplice ed inesperta di male è elevata e collocata in modo mirabilissimo al di sopra della gloria dei cherubini.

 

Maria, degna di lode

3. Oggi Maria, intorno alla quale chi pur dica innumerevoli cose tuttavia non riuscirà a tenere dietro al suo desiderio né tanto meno lo realizzerà, oggi suscita le sue lodi per essere stata elevata per bellezza al di sopra di ogni lingua e di ogni mente, in modo stupefacente. La goccia celeste da lei generata - immenso mare - rese manifeste le sue grandezze. In grazia di questa, la grandezza di lei è diventata incomprensibile per infinità e inesauribile è la gioia che proviene da lei. Infatti a tutti è possibile saziarsi in tutte le cose; ma nei canti e nelle feste in onore di lei il convito è inesauribile per dolcezza. Perciò le sorgenti delle lodi che prendono inizio da lei non possono essere disseccate: e poiché la fonte è ricca né diminuisce per l’uso (cf. Gv 4, 14) ma invece s’ingrossa per cento e per mille in più di quanto se ne prende, non è possibile che coloro che ne attingono giungano alla fine. Infatti nella grande misericordia il mistero trabocca e crescendo […]

 

Gioia e esultanza di Anna

5. Quindi, dopo che ella, la nutrice della nostra vita, era stata nutrita con il latte, i suoi genitori portano a compimento il tempo a cui si erano obbligati con voto. Infatti, dopo aver riunito le fanciulle che intorno dimoravano, dice che procedano innanzi recando le fiaccole per modo che lei segua dietro, affinché rallegrata dallo splendore delle luci ella cammini senza girarsi.

Ed Anna, prima sterile ed infeconda, profetizzò, stendendo a Dio la sua mano e gridando chiaramente a grandissima voce: «Orsù - dice -, voi tutti uomini e donne raccolti per questa nascita, ancora di più gioite con me che ora offro al Signore la figlia delle mie viscere in dono consacrato e splendente di luce divina. Orsù, capi del coro, insieme ai cantori ed alle suonatrici di timpano date inizio soavissimamente intonando un canto nuovo ed inaudito, precedendovi non Maria sorella di Mosè (cf. Es 20-21) ma guidandovi colei che è nata da me.

Voi tutti, vicini ed estranei, che venite dietro a me che, avendo felicemente generato, ho reso grazie con grandissima riconoscenza ed ora rimetto lietamente ai santi il frutto delle mie doglie, orsù, elevate gloriosamente canti ispirati da Dio. E voi, schiera dei profeti, istruendo la scelta raccolta con le splendenti lodi a voi ispirate dallo Spirito di Dio, intonate l’inno. Infatti, dove risuona una parola di eco profetica, là si spegne ogni più contrario grido funesto.

6. E tu, Davide proavo di lei e progenitore di Dio, melodiosamente pulsando l’arpa a dieci corde (cf. 1 Sam 16, 23), orsù, falla risuonare ancora più armoniosamente con le corde dello Spirito attraverso la tua bocca ispirata da Dio, chiaramente raffigurando una schiera di fanciulle, così come «al Re saranno condotte fanciulle dietro di lei, le sue compagne gli saranno presentate» (Sal 45, 15). Ecco, infatti, la moltitudine delle giovani forma il coro per le vie e la figlia del Re è condotta nel sacro edificio, nel santo tempio, essendo destinata a dar compimento al tuo vaticinio, lei, la mia bambina regalissima che tu chiami figlia: «Infatti tutta la gloria della figlia del Re - tu dicesti in simil modo suonando la cetra - dentro, in frange d’oro» (Sal 45, 14), rivestita di purezza incontaminata ed incorruttibile, e variamente ornata di incomparabile bellezza. Vieni qui, o Davide che fai risplendere la luce dell’alba: «Chi è costei che spunta come aurora, bella come la luna, splendente come il sole?» (Ct 6, 10). «Quanto sono belli i tuoi piedi nei sandali» (Ct 7, 1). «Quanto sei diventata bella e soave» (Ct 7, 7), tu che sei rivestita di sole e porterai una nuova meraviglia sotto il sole.

Sii presente, o Ezechiele dall’alta voce, che reggi proveniente da Dio il libro dello Spirito vivificante, e gridi la lode alla porta sigillata rivolta verso l’Oriente e conduttrice verso Dio (cf. Ez 7, 9). E se c’è qualche altro - a due a due - dell’ordine sacramentale scelto, oppure tutto il restante gruppo dei veggenti, suvvia acclamate, vedendo avanzarsi il compimento di ciò che è stato profetizzato. E che? Voi, prima progenitori che state per essere liberati dalla maledizione e state per riottenere la sede delle delizie dalla quale foste scacciati (cf. Gn 3, 23), forse non innalzerete inni alla causa della vostra salvezza, con elogi convenienti e lodi grandissime? O forse se non è lecito a voi innalzare la voce, e non è lecito che io la innalzi con voi e che tutta la creazione esulti insieme con noi?» (cf. Rm 8, 19-22).

 

La soglia del tempio è santificata da Maria

7. Con queste considerazioni, come era conveniente, la saggia Anna adeguandosi al passo e con lei il dolcissimo marito insieme alle fanciulle portatrici di fiaccole accompagnano colei che è nata da loro, raggiungono il tempio, e quindi si aprono le porte per accogliere la spirituale porta di Dio l’Emmanuele, e la soglia è santificata dalle orme di Maria. Il tempio è illuminato dalle fiaccole, ma ancora di più esso risplende di luce abbagliante per l’arrivo di una sola fiaccola: il suo splendore è ancora più abbellito dall’ingresso di questa. I rivestimenti dei corni dell’altare (cf. Ez 27, 2) si imporporano per la sua virginea e purpurea veste. Gioisce Zaccaria  che è stato giudicato degno di accogliere la Madre di Dio; si rallegra Gioacchino davanti che con il compimento della sua offerta testimonia l’avveramento dei vaticini. Esulta Anna per la consacrazione del suo rampollo; tripudiano i primi progenitori che si sottraggono alla chiusura della condanna; si compiacciono i profeti, e insieme a loro gioiosamente balza fuori tutta la schiera di coloro che sono in grazia.

 

I genitori affidano la figlia al sacerdote

8. Dunque la figlia di Dio così è introdotta, e sta ferma ai corni dell’altare dopo che i genitori hanno pregato e mentre il sacerdote si accinge a benedire. Ma di nuovo i genitori gridano al sacerdote: «Ricevi colei che è destinata a ricevere il fuoco immateriale e incomprensibile; ricevi colei che sarà il ricettacolo del Figlio e Verbo del Padre ed unico Dio, prendi colei che ha annullato la vergogna della nostra infecondità e della nostra privazione. Porta all’altare colei che sta per introdurci nell’antico pascolo del paradiso; prendi in tuo potere colei che nel suo proprio parto assoggetterà il dominio dell’inferno e la forza della morte che a noi reca timore. Cingi con le braccia colei che intorno copre la nostra natura che nell’Eden fu denudata; prendi la mano di lei, che avvolge in fasce colui che porrà fine alla nostra mano intemperante e violenta che si è orgogliosissimamente protesa. Consacra a Dio colei che consacrerà noi, lei che è compimento divino dell’attesa delle nostre speranze.

Guarda, Signore, guarda. Prendi colei che tu hai dato; ricevi colei che tu hai donato; accogli colei che tu ci hai assegnato per sciogliere la nostra sterilità. Tu, che per mezzo di lei condanni l’infecondità della Legge, tu attraverso di lei ci hai riscattato dal perpetuo spavento: prendi costei che ha bene provveduto a noi e che tu stesso hai prescelto, hai predestinato e hai santificato. Stringi colei che si appoggia a te, che è affascinata dal tuo odore, e che dalle foglie spinose (cf. Gn 3, 18) della nostra indegnità tu hai scelto come giglio; con lietissimo viso prendi fra le braccia colei che ti è offerta. Ecco, a te noi consacriamo lei e consacriamo anche noi stessi».

 

Discorso di Zaccaria a Gioacchino ed Anna

9. Queste furono le concordi parole dei giusti, queste le voci della coppia coniugale cara a Dio, questa la ben composta consacrazione dei progenitori di Dio. E quindi Zaccaria, accolta la fanciulla, così è verosimile che dica dapprima ai genitori: «O autori della nostra salvezza, che cosa io vi dirò? Come vi chiamerò? Io rimango stupito nel vedere quale frutto avete portato. Di tale valore è infatti chiunque per la sua purezza attiri Dio ad abitare in lei. Non è mai nata, né mai nascerà alcuna donna che risplenda per una tale bellezza. Voi apparite come i due fiumi raddoppiati che scaturiscono dal paradiso (cf. Gn 2, 10-15), portando una fiaccola superiore all’oro ed alla pietra preziosa, la quale illumina tutta la terra con la bellezza della sua immacolata verginità e con i suoi rugiadosi fulgori.

Voi siete stati riconosciuti come astri lucentissimi, in qualche modo inseriti nel firmamento, mentre ciascuno di voi serenamente illumina la buia ombra della lettera oscura e della Legge tempestosa e saggiamente guida senza inciampo i credenti in Cristo alla nuova grazia della recente luce.

Voi siete stati riconosciuti come corni splendentissimi del tempio spirituale della Nuova Alleanza, contenendo nelle vostre viscere il santificato altare della sacra vittima, spiritualissimo e a Dio consacrato. Voi, se non è di poco conto dirlo già in anticipo, mediante la vostra cura del sacerdote reggitore del mondo siete stati riconosciuti in modo misteriosissimo anche come i cherubini che circondano il propiziatorio (cf. Es 25, 18ss.). Più che l’oro anticamente lavorato a rivestimento dell’arca (cf. Es 25, 10) voi appariste a tutt’intorno ricoprire l’arca spirituale e divina di colui che nella croce ha sottoscritto la nostra liberazione. La vostra gioia è gioia dell’universo, la vostra gloria è detta letizia per tutti.

Beati voi, che siete diventati genitori di tale figlia! Benedetti voi, che avete presentato al Signore tale dono benedetto! Felici le mammelle dalle quali ella fu nutrita, e felice il seno dal quale ella è stata portata! (cf. Lc 11, 27).

Indirizzo di saluto di Zaccaria a Maria bambina

10. Vieni qui anche tu, fanciullina più alta dei cieli. Vieni qui, tu che sei vista come bambina e con la mente sei conosciuta come officina divina. Vieni qui, santifica ancora di più il vestibolo del santuario: infatti, per dirla ancora in una parola, non tu sei santificata, ma piuttosto sei tu che assai lo santifichi.

Vieni qui, piegati verso il penetrale e verso la cella che incute tremore, tu che diventerai tesoro immenso e imperscrutabile. Entra nel vestibolo dell’altare, tu che infrangi il vestibolo della morte. Guarda dentro, verso il velo (cf. Es 26, 31ss.), tu che con il tuo fulgore illumini coloro che sono accecati dal gusto oscurante. Porgi le mani a me che ti conduco come una bambina, e prendi la mano, a me che sono stanco per la vecchiaia e mi sono piegato alla trasgressione del comandamento per ardore terreno, e conducimi alla vita. Ecco, io ti tengo come piccolo bastone della vecchiaia e ristoro della natura indebolita dalla caduta. Ecco, io vedo te che diventerai sostegno di coloro che sono caduti verso la morte. Accostati a venerare la mensa, per la quale in molti simboli è stato detto che essa ha profetizzato te, mensa spiritualissima ed incontaminata. Cammina attraverso tutto il recinto dell’altare poiché, spirando odore d’incenso (cf. Es 30, Iss.), sei diventata più che profumo per coloro che ne aspirano l’olezzo, tu che egregiamente sei stata proclamata turibolo della lingua ispirata da Dio e dei profeti portatori dello Spirito.

Sali, sali sul gradino della sacra dimora. Compiacendosi per la freschezza della tua beltà le figlie di Gerusalemme tessono gioiose la lode e i re della terra ti dichiarano beata: tu che sei stata riconosciuta divino fondamento e nel modo più soave sei stata indicata al patriarca per eccellenza Giacobbe come scala sostenuta da Dio (cf. Gn 28, 12ss.). Vieni, o Signora, poiché poggiare su tale piedistallo si addice a te che sei regina e sei glorificata al di sopra di tutti i regni. Il luogo consacrato conviene per abitazione a te che sei trono più alto che i cherubini. Ecco, poiché tu sei regina dell’universo, a te io ho attribuito degnamente il primo seggio; ma orsù, solleva tu stessa coloro che sono giù precipitati. E quindi ora insieme a Davide io grido: «Ascolta, o figlia, guarda e china il tuo orecchio, dimenticati della tua gente e della casa di tuo padre, ed il Re bramerà la tua bellezza» (Sal 45, 11ss.).

11. Il vecchio così si comportava, anche se nella sua intenzione con lodi più numerose di queste. I genitori si mossero, e la figlia consacrata a Dio fu lasciata. Con tremore gli angeli la servivano per il ministero delle vivande, e la fanciulla si cibava da esseri immateriali con nutrimento (non sappiamo se) materiale o immateriale. Così attraverso un adempimento che proveniva da Dio si compivano i riti della divina iniziazione, così la bambina cresceva e si rafforzava, ed invece perdeva forza tutta l’avversità della maledizione a noi data nell’Eden (cf. Gn 3, 16ss.).

 

Salutazione a Maria

12. Ma orsù appunto, o cara adunanza in onore di Dio, a voce unanime rivolgiamo 1’Ave alla Regina (cf. Lc 1, 28) con quanta forza è possibile al nostro pensiero infantile, pur non potendo celebrare perfettamente la sua festa: ma tuttavia incoraggiamo la nostra debolezza per quanto è possibile, poiché è caro a Dio ciò che si fa secondo la propria capacità. Infatti ella che sola è stata dichiarata vergine e madre, è superiore ad ogni pensiero, e ben chiaro ne è il motivo. Infatti quale vergine ha mai generato, o dopo aver generato ha conservato inviolata la verginità? Chi, se non tu sola, tu che senza mutazione hai partorito per noi Dio nella carne, o fanciulla beatissima?

13. Ebbene Ave, o tu che oggi nel tuo ingresso nel Santo dei Santi hai posto una veste purpurea veramente rivestita da Dio addosso a noi, che nell’Eden eravamo stati denudati dell’indumento glorioso e non tessuto da mano umana (cf. Gn 3, 17) a causa del cibo apportatore di morte e bruciatore delle anime: tu, o Sposa di Dio, che sei la remissione dei peccati (cf. El 1, 7) donata da Dio a noi insozzati di fango. 

Ave, tu che oggi al primo inizio della splendidissima e veneranda Presentazione raduni tutta la schiera dei profeti, i quali con cimbali dal bellissimo suono come armoniosi strumenti intonano l’inno dalla voce divinissima e conducono la danza in letizia a guida delle anime.

14. Ave, tu che con la cadenza dei tuoi passi hai calpestato il diavolo, il diabolico serpente dalla mente tortuosa e odiatore del bene, che per me è stato nefasta guida verso la disobbedienza (cf. Gn 3, 1-13): tu che hai preso come compagna di strada la natura corruttibile che si era mostrata facile alla caduta, per ricondurla di nuovo verso il tabernacolo immateriale e santo che non conosce vecchiaia.

Ave, tu che con le fiaccole della tua Presentazione hai fatto risplendere luminosamente il giorno della gioia e dell’esultanza (cf. Sal 45, 15) su coloro che erano conficcati nell’ombra della morte e nell’abisso dell’impotenza, ed hai garantito che per mezzo tuo sarebbe stato deciso da Dio il dissolvimento delle tenebre, o Maria mirabile al di sopra di tutto.

Ave, o tu che sei nuvola (cf. Es 19, 16) che fa distillare su di noi la divina rugiada spirituale (cf. Es 16, 13), tu che con il tuo odierno ingresso nel Santo dei Santi hai fatto sorgere il sole splendidissimo su coloro che erano trattenuti nell’ombra della morte: sorgente piena di Dio, da cui i fiumi della conoscenza di Dio, versando la limpidissima e rilucente acqua dell’ortodossia, distruggono la turba delle eresie.

15. Ave, soavissimo e spirituale paradiso di Dio, piantato oggi verso l’Oriente dall’onnipotente destra della sua volontà (cf. Gn 2, 8) e germinante a lui il giglio odoroso e la rosa che non appassisce - a vantaggio di coloro che, rivolti all’Occidente, hanno bevuto il pestilenziale amaro della morte distruttore delle anime -, mentre in esso fiorisce il legno vivificante per la conoscenza della verità, e coloro che ne gustano diventano immortali.

Ave, tu che sei la reggia incontaminata e purissima di Dio Re dell’universo, sacralmente costruita, essendo tu circondata dalla sua maestà e ristorando tutti ospitalmente con il mistico godimento di te stessa: tu ora ti stabilisci nella dimora del Signore - e cioè nel suo santo tempio -, mentre in te si trova, variamente ornato e non costruito da mano umana, il talamo dello sposo spirituale (cf. Sal 19, 6) ed in te il Verbo, volendo riportare sulla strada l’errante, si è coniugato alla carne per riconciliare (cf. Rm 5, 10) coloro che per propria volontà si erano già separati.

16. Ave, nuova Sion e divina Gerusalemme, santa «città di Dio grande Re, nelle cui torri Dio si fa conoscere» (Sal 48, 3ss.), facendo piegare i re nella venerazione della tua gloria e disponendo tutto il mondo a celebrare in esultanza la solennità della tua Presentazione: tu sei realmente candelabro a sette lumi (cf. Es 25, 31), aureo e splendente, acceso dalla fiamma intramontabile, che è alimentato dall’olio della purezza e garantisce lo spuntare della luce a coloro che sono ciechi per la tetra oscurità (cf. 2 Pt 2, 4) dei peccati.

Ave, monte di Dio fertilissimo ed ombroso (cf. Sal 68, 16): essendosi nutrito in esso, l’agnello spirituale si addossò i nostri peccati e le nostre infermità; rotolando giù da esso la pietra non tagliata da mano umana schiacciò gli altari degli idoli (cf. Dn 2, 34) e «diventò testata d’angolo, meraviglia agli occhi nostri» (Sal 112, 22ss.).

17. Ave, tu che sei santo trono di Dio, offerta divina, casa della gloria, splendore bellissimo, scelto gioiello, universale propiziatorio e «cielo che narra la gloria di Dio» (Sal 19, 2), Oriente che fa spuntare una luce che non tramonta: di questa «la partenza è da un estremo del cielo e nessuno di coloro che sono mai nati è fuori dal suo calore» (Sal 19, 7), e cioè della provvidenza reggitrice.

Ave, tu che con la tua nascita hai disciolto i vincoli della sterilità, hai dissolto la vergogna dell’infecondità , hai affondato la maledizione della Legge (cf. Gal 3, 13), hai fatto fiorire la benedizione della grazia, e che con il tuo ingresso nel Santo dei Santi hai portato a compimento il voto dei tuoi genitori, la fondazione del nostro perdono e la pienezza della nostra gioia, poiché hai condotto innanzi a te l’inizio della grazia.

18. Ave, Maria piena di grazia (Cf. Lc 1, 28), più santa dei santi, più alta dei cieli, più gloriosa dei cherubini, più onorata dei serafini, più venerabile al di sopra di tutta la creazione: tu che con la tua gloriosa e splendente Presentazione porti a noi il ramoscello d’ulivo liberatore dal diluvio spirituale (Cf. Gn 8, 11), o colomba che ci porti la lieta novella del porto di salvezza, e di cui «le ali sono argentate e il dorso nel pallore dell’oro» (Sal 68, 14), mentre le fa lampeggiare il santissimo e illuminante Spirito: urna tutta d’oro (Cf. Es 16, 33), che contieni la dolcezza delle nostre anime, e cioè Cristo nostra manna.

 

Preghiera di chiusura

19. Ma, o Tuttapura, tutta degna di lode e tutta venerabile, offerta a Dio superiore a tutte le cose create, terra non arata, vite lussureggiante (Cf. Ez 19, 10), coppa esilarantissima, sorgente zampillante (Cf. Es 17, 6), Vergine generante e Madre inesperta d’uomo, gioiello di santità, ornamento di modestia, con le tue preghiere bene accette e maternamente rivolte a tuo Figlio, Dio creatore di tutte le cose nato da te senza padre, regolando il timone della disciplina ecclesiastica dirigilo verso il porto immune da onde, ossia non agitato dall’afflusso di eresie e di scandali.

Rivesti i sacerdoti nel modo più lucente con la giustizia e con l’esultanza della genuina fede gloriosa ed irreprensibile.

Tu guidi lo scettro in pace e in felice stato agli imperatori ortodossi che al di sopra di ogni colorazione di porpora e di oro purissimo, al di sopra di ogni perla o pietra preziosa, hanno avuto in sorte te come diadema, mantello e ornamento sicuro del loro regno: assoggetta, stendendoli ai loro piedi, i perfidi popoli barbari che bestemmiano contro di te e contro il Dio nato da te.

Nell’ora della guerra porta soccorso all’esercito che si appoggia sempre sui tuoi aiuti; conferma i sudditi a procedere secondo il comando di Dio nella docile osservanza della disciplina.

Custodisci la tua città che ha te come torre (Cf. Sal 61, 4) e fondamento, cingendola di forza ed incoronandola con i premi della vittoria.

Conserva sempre lo splendore del tempio, abitazione di Dio; preserva i tuoi cantori da ogni avversità e dalle sofferenze dell’anima. Assegna la liberazione ai prigionieri; mostrati come conforto agli stranieri che sono senza tetto e senza difesa.

Stendi a tutto il mondo la tua mano sostenitrice, affinché in letizia ed esultanza con rito splendidissimo noi celebriamo tutte le tue solennità insieme a quella che ora viene festeggiata, in Cristo Gesù, re di tutte le cose e nostro vero Dio, al quale la gloria e la potenza, insieme al Padre santo e principio di vita ed allo Spirito coeterno, consostanziale e insieme regnante, ora e sempre e nei secoli dei secoli. Amen

 

Da: Testi Mariani del Primo Millennio, vol 2.

 

lunedì 3 dicembre 2012

Ingresso della SS. Madre di Dio al Tempio

Presentazione della Vergine, S. Maria Maggiore


Ingresso al Tempio della Santissima Madre di Dio

   21 novembre (4 dicembre)


Dal Protoevangelo di Giacomo
 

[7, 1] Per la bambina passavano intanto i mesi. Giunta che fu l’età di due anni, Gioacchino disse a Anna: “Per mantenere la promessa fatta, conduciamola al tempio del Signore, affinché il Padrone non mandi contro di noi e la nostra offerta riesca sgradita”. Anna rispose: “Aspettiamo il terzo anno, affinché la bambina non cerchi poi il padre e la madre”. Gioacchino rispose: “Aspettiamo”. [2] Quando la bambina compì i tre anni, Gioacchino disse: “Chiamate le figlie senza macchia degli Ebrei: ognuna prenda una fiaccola accesa e la tenga accesa affinché la bambina non si volti indietro e il suo cuore non sia attratto fuori del tempio del Signore”. Quelle fecero così fino a che furono salite nel tempio del Signore. Il sacerdote l’accolse e, baciatala, la benedisse esclamando: “Il Signore ha magnificato il tuo nome in tutte le generazioni. Nell’ultimo giorno, il Signore manifesterà in te ai figli di Israele la sua redenzione”. [3] La fece poi sedere sul terzo gradino dell’altare, e il Signore Iddio la rivestì di grazia; ed ella danzò con i suoi piedi e tutta la casa di Israele prese a volerle bene.
[8, 1] I suoi genitori scesero ammirati e lodarono il Padrone Iddio perché la bambina non s’era voltata indietro. Maria era allevata nel tempio del Signore come una colomba, e riceveva il vitto per mano di un angelo.

 

 

Tropario, tono 4

Oggi è il preludio del beneplacito del Signore, e il primo annuncio della salvezza degli uomini. Agli occhi di tutti la Vergine si mostra nel tempio di Dio, e a tutti preannuncia il Cristo. Anche noi a gran voce a lei acclamiamo: Gioisci, compimento dell’economia del Creatore.

 

Kontakion, tono 4

Il purissimo tempio del Salvatore, il talamo preziosissimo e verginale, il tesoro sacro della gloria di Dio, è oggi introdotto nella casa del Signore, portandovi, insieme, la grazia del divino Spirito, e gli angeli di Dio a lei inneggiano: Costei è celeste dimora.

 

 

I testi liturgici della festa:


 

Per la tua edificazione puoi leggere:



L'Ingresso della Madre di Dio al Tempio del protopresbitero Alexander Schmemann

La Pasqua Invernale, Templi del Dio vivente del rev. padre Thomas Hopko

Dalle "Istruzioni" di san Colombano

Pinacoteca Ambrosiana

Dalle Istruzioni spirituali di san Colombano
 

Fratelli carissimi, ascoltate attentamente. Vi parlerò della inesauribile sorgente divina. Però, per quanto sembri paradossale, vi dirò: Non estinguete mai la vostra sete. Così potrete continuare a bere alla sorgente della vita, senza smettere mai di desiderarla. È la stessa sorgente, la fontana dell’acqua viva che vi chiama a sé e vi dice: «Chi ha sete venga a me e beva» (Gv 7,37). Bisogna capire bene quello che si deve bere. Ve lo dice lo stesso profeta Geremia, ve lo dice la sorgente stessa: «Hanno abbandonato me, sorgente di acqua viva, dice il Signore» (Ger 2,13). È dunque il Signore, il nostro Dio Gesù Cristo, questa sorgente di vita che ci invita a sé, perché di lui beviamo. Beve di lui chi lo ama. Beve di lui chi si disseta della Parola di Dio… Beviamo dunque alla sorgente che altri hanno abbandonata».

Affinché mangiamo di questo pane, e beviamo a questa sorgente… egli dice essere il «pane vivo che dà la vita al mondo (Gv 6,51.33) e che dobbiamo mangiare… Osservate bene da dove scaturisce questa fonte; poiché quello stesso che è il pane è anche la fonte, cioè il Figlio unico, il nostro Dio Cristo Signore, di cui dobbiamo aver sempre fame.

È vero che amandolo lo mangiamo e desiderandolo lo introduciamo in noi; tuttavia dobbiamo sempre desiderarlo come degli affamati. Con tutta la forza del nostro amore beviamo di lui che è la nostra sorgente; attingiamo da lui con tutta l’intensità del nostro cuore e gustiamo la dolcezza del suo amore. Il Signore infatti è dolce e soave: sebbene lo mangiamo e lo beviamo, dobbiamo tuttavia averne sempre fame e sete, perché è nostro cibo e nostra bevanda. Nessuno potrà mai mangiarlo e berlo interamente, perché mangiandolo e bevendolo non si esaurisce, né si consuma. Questo nostro pane è eterno, questa nostra sorgente è perenne. (Istr. 13, 2, 3)

 

* * *

 

Mosé ha scritto nella legge: Dio creò l’uomo a sua immagine e somiglianza (cfr. Gn 1, 27. 26). Considerate, vi prego, la grandezza di questa espressione Dio onnipotente, invisibile, incomprensibile, ineffabile, inestimabile, plasmò l’uomo dal fango della terra e lo nobilitò con la dignità della sua immagine. Che cosa vi può essere di comune tra l’uomo e Dio, tra il fango e lo spirito? “Dio”, infatti, “è spirito” (Gv 4, 24). Quale grande degnazione è stata questa, che Dio abbia dato all’uomo l’immagine della sua eternità e la somiglianza del suo divino operare! Grande dignità deriva dall’uomo da questa somiglianza con Dio, purché sappia conservarla. Gravissimo titolo di condanna è invece per lui la profanazione di quella immagine. Se l’uomo userà rettamente di quella facoltà che Dio ha concesso alla sua anima, allora sarà simile a Dio. Ricordiamoci che gli dobbiamo restituire tutti quei doni che egli ha depositato in noi quando eravamo nella condizione originaria. Ce ne ha insegnato il modo con i suoi comandamenti.

Il primo di essi è quello di amare il Signore nostro con tutto il cuore, perché egli per primo ci ha amati, fin dall’inizio dei tempi, prima ancora che noi venissimo alla luce di questo mondo. L’amore di Dio è la rinnovazione della sua immagine. Ama veramente Dio chi osserva i suoi comandamenti, poiché egli ha detto: “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti” (Gv 14, 15). Il suo comandamento è l’amore reciproco. Così è stato detto: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati” (Gv 15, 12). Il vero amore però non si dimostra con le sole parole “ma coi fatti e nella verità” (1 Gv 3, 18). Dobbiamo quindi restituire al Dio e Padre nostro la sua immagine non deformata, ma conservata integra mediante la santità della vita, perché egli è santo.

Per questo è stato detto: “Siate santi, perché Io sono santo” (Lv 11, 44). Dobbiamo restituirgliela nella carità, perché egli è carità, secondo quanto dice Giovanni: “Dio è carità” (1 Gv 4, 18). Dobbiamo restituirgliela nella bontà e nella verità, perché egli è buono e verace. Non siamo dunque pittori di una immagine diversa da questa. Dipinge in sé l’immagine di un tiranno chi è violento, facile all’ira e superbo. Perché non avvenga che dipingiamo nel nostro animo immagini tiranniche, intervenga Cristo stesso e tracci nel nostro spirito i lineamenti precisi di Dio. Lo faccia proprio trasfondendo in noi la sua pace, lui che ha detto: “Vi lascio la mia pace, vi do la mia pace” (Gv 14, 27). Che cosa tuttavia ci servirebbe sapere che la pace è in sé buona, se poi non fossimo capaci di conservarla? In genere le cose migliori sono anche le più fragili. Le cose più preziose poi esigono la vigilanza più cauta e diligente. È troppo fragile quello che si spezza con una sola parola o che va in rovina per la più piccola offesa al fratello. Nulla piace tanto agli uomini quanto parlare delle cose altrui, darsi pensiero degli affari degli altri e passare il tempo in inutili conversazioni, mormorando degli assenti.

Tacciano quelli che non possono dire: “Il Signore mi ha dato una lingua da iniziati, perché io sappia indirizzare allo sfiduciato una parola” (Is 50, 4) e, se dicono qualcosa, sia una parola di pace. (Istr. 11, 1-2)

 

* * *

 

Quanto sono beati, quanto sono felici “quei servi che il Signore, al suo ritorno, troverà ancora svegli”! (Lc 12,37). Veglia veramente beata quella in cui si è in attesa di Dio, creatore dell’universo, che tutto riempie e tutto trascende! Volesse il cielo che il Signore [Gesù] si degnasse di scuotere anche me, meschino suo servo, dal sonno della mia mediocrità e accendermi talmente della sua divina carità da farmi divampare del suo amore sin sopra le stelle, sicché ardessi dal desiderio di amarlo sempre più, né mai più in me questo fuoco si estinguesse! Volesse il cielo che i miei meriti fossero così grandi che la mia lucerna risplendesse continuamente di notte nel tempio del mio Dio, sì da poter illuminare tutti quelli che entrano nella casa del mio Signore! O Dio Padre, ti prego nel nome del tuo Figlio Gesù Cristo, donami quella carità che non viene mai meno, perché la mia lucerna si mantenga sempre accesa, né mai si estingua; arda per me, brilli per gli altri. Dégnati, o Cristo, dolcissimo nostro Salvatore, di accendere le nostre lucerne: brillino continuamente nel tuo tempio e siano alimentate sempre da te che sei la luce eterna; siano rischiarati gli angoli oscuri del nostro spirito e fuggano da noi le tenebre del mondo. Dona, dunque, o Gesù mio, la tua luce alla mia lucerna, perché al suo splendore mi si apra il santuario celeste, il santo dei santi, che sotto le sue volte maestose accoglie te, sacerdote eterno del sacrificio perenne. Fa’ che io guardi, contempli e desideri solo te; solo te ami e solo te attenda nel più ardente desiderio. Nella visione dell’amore il mio desiderio si spenga in te e al tuo cospetto la mia lucerna continuamente brilli e arda. Dégnati, amato nostro Salvatore, di mostrarti a noi che bussiamo, perché, conoscendoti, amiamo solo da te, te solo desideriamo, a te solo pensiamo continuamente, e meditiamo giorno e notte le tue parole. Dégnati di infonderci un amore così grande, quale si conviene a te che sei Dio e quale meriti che ti sia reso, perché il tuo amore pervada tutto il nostro essere interiore e ci faccia completamente tuoi. In questo modo non saremo capaci di amare altra cosa all’infuori di te, che sei eterno, e la nostra carità non potrà essere estinta dalle molte acque di questo cielo, di questa terra e di questo mare, come sta scritto: «Le grandi acque non possono spegnere l’amore» (Ct 8, 7). Possa questo avverarsi per tua grazia, anche per noi, o Signore nostro Gesù Cristo, a cui sia gloria nei secoli dei secoli. Amen. (Istr. 12, 2-3)

San Colombano


Venerabile Colombano di Bobbio, abate e fondatore dell’abbazia di Luxeuil

 
21 novembre (4 dicembre)

 
 

San Colombano

del prof. Lorenzo Dattrino

 
            Per quanto molto incerta, la data della nascita di s. Colombano viene per lo più fissata attorno al 540. Entrato ancora giovane nell’abbazia di Bangor (Irlanda settentrionale), vi rimase fino al 590 sotto la guida di s. Comgal. Quindi, preso dal desiderio di peregrinare altrove per propagare il regno di Dio, si avviò verso la Gallia, accolto benevolmente dal re Gontranno, che regnava nella Borgogna. Ivi fondò successivamente tre monasteri: ad Annegray, a Luxeuil e a Fontaine. Il più famoso divenne quello di Luxeuil. Questa cittadina, situata nella Francia orientale ai piedi dei Vosgi e conosciuta già dai Romani col nome di civica Lexoviorum, era stata distrutta da Attila nel 450. quando s. Colombano vi costruì il suo monastero nel 590 circa, anche la città risorse tutt’attorno. Da quella fondazione si diffuse tutto un movimento di carattere spirituale, culturale ed economico. In seguito, molti altri monasteri derivarono dal centro luxoviano, che poté così offrire alla Chiesa un gran numero di vescovi. Particolare importanza ebbe lo scriptorium di Luxeuil per la formazione delle scritture librarie “pre-caroline”. Come era avvenuto per la prima fondazione, anche per molte altre, specie nella regione fiamminga, sorsero, attorno ai vari monasteri, villaggi interi, destinati col tempo a divenire città[1].

            Verso la fine dell’anno 612, con un piccolo gruppo di compagni, Colombano valicava le Alpi e scendeva in Italia. Era oltre i settant’anni. Fu accolto con onore alla corte di Agilulfo e di Teodolinda. Visse all’ombra di quella corte per quasi due anni, dedicandosi ad attività missionarie e all’organizzazione monastica. Ottenne infatti dai sovrani longobardi un vasto terreno in una zona solitaria nell’alta valle della Trebbia (oggi in provincia di Piacenza), presso la confluenza con il torrente Bobbio. Qui Colombano fondò un monastero del quale poté aver cura per un anno solo: la morte lo sorprese nel 615.

            Fin dai primi anni della sua esistenza il monastero di Bobbio conobbe un periodo di larga espansione, sotenuto com’era dalla solerzia dei primi monaci e dal favore dei re longobardi (Agilulfo, Adaloaldo, ecc.). Nel 774, com’è noto, alla dominazione longobarda succedeva quella dei Franchi, con Carlo Magno. Il nuovo sovrano fu consapevole del prestigio di cui godevano i monaci di s. Colombano presso la popolazione, come pure dell’influenza e dell’equilibrio rappresentato dall’attività del monastero di fronte allo stato di cose che si era verificato. Oltre a nuove donazioni, egli pure concesse intero il suo appoggio.

            In questa continua ascesa, Bobbio si era ormai imposto come centro di grande attrazione, non solo nel campo spirituale, ma anche in quello politico ed economico. Il merito deve essere attribuito non solo ai degni abati successori di Colombano, ma anche allo zelo e all’energia dei religiosi stessi.

            Con la fondazione dell’abbazia, s. Colombano si era premurato di arricchirla di una biblioteca, che diventerà celeberrima. Egli contribuì alla sua costituzione, sia con un numero considerevole di codici portati dai monaci irlandesi, sia con l’istituirvi, come già a Luxeuil, una scuola di trascrizione (scriptorium) di opere classiche e patristiche. Così Bobbio divenne un centro notevole di cultura, con una delle più ricche biblioteche di quell’epoca.

            Nel porre le basi del nuovo cenobio, Colombano diede alla sua comunità, formata quasi interamente di monaci venuti con lui dall’Irlanda e dalla Francia, quei precetti di vita ascetica che egli era venuto maturando nel corso delle sue esperienze precedenti, specialmente in Gallia. Queste norme sono divise in tre sezioni. La prima, fondamentale, è costituita dalla cosiddetta Regula monachorum[2], la seconda è formata dalla Regula coenobialis[3], la terza dal Poenitentiale[4].

La regola di s. Colombano, ispirata da un temperamento energico, e diffusa nell’atmosfera irlandese, sotenuta già per natura dall’ardore e dalla costanza, richiama le austerità dell’ascesi dell’Alto Egitto: povertà, rigida severità nell’abitazione, restrizioni nel sonno e nel cibo; isolamento, silenzio, obbedienza assoluta all’abate, ecc. A fianco di queste austerità, prese origine e sviluppo nei monasteri d’Irlanda la confessione delle colpe, anche quotidiana, intesa non soltanto come espressione di umiltà spontanea, ma associata al vero e proprio sacramento della penitenza. In questo consiste il fatto nuovo o che per lo meno diventa generale, in quanto applica anche ai laici che vengono a chiedere all’abate o ai preti in che modo è possibile espiare le proprie colpe[5].

Durante il secolo VII anche a Bobbio si adottò la regola benedettina[6]. Questo nuovo orientamento non avvenne certo in forma di imposizione, ma lentamente e progressivamente. Del resto, a Bobbio rimaneva sempre il ricordo e il culto per il santo e grande fondatore, tanto da non fare dimenticare facilmente l’insegnamento e gli esempi da lui lasciati.
 

Da: L. DATTRINO, Il primo monachesimo, Roma, 1984, 65-67.
 


Tropario, tono 5

In te si vanta l’Irlanda, o Colombano venerabile, per averti dato i natali e cresciuto uomo, essa che ha visto per prima le tue lotte ascetiche. E in te gioisce la terra di Francia, perché l’hai adornata di monasteri, come d’un diadema di gemme preziose. E al loro coro si unisce la terra d’Italia, che celebra la tua onorata memoria come un incontro, per mezzo del quale passasti dalla terra natia alla patria celeste.

 
Kontakion, tono 3: su: “Oggi la Vergine ...”

Oggi Colombano si è riposato dalle sue fatiche ed è entrato nella gioia del trascendente Signore. Con gli angeli e tutti i santi egli ora sta, innalzando la sua voce nella lode, dando gloria a Colui che è nato dalla Vergine, il Dio pre-eterno.
 


San Colombano a Bergamo



Il cristianesimo celtico, attraverso il monachesimo irlandese, ha lasciato tracce profonde in provincia di Bergamo, tracce che giungono fino ai nostri giorni, e ciò non solamente nella toponomastica.

Sul nostro territorio sono dedicate a San Colombano due chiese, quella del borgo di Valtesse (aggregato a Bergamo dal 1927) e quella di Parzanica, sulla sponda bergamasca del lago d’Iseo: la prima, che risale all’XI secolo, un tempo si chiamava S. Colombani de Tegete (vedi), ed è sorta suoi resti dell’omonimo antico monastero longobardo fondato dai monaci di Bobbio, che successivamente passò ai Benedettini Celestini; della seconda l’archivio andò completamente distrutto nel 1700.


Per approfondire consigliamo la lettura di:

Silverio Signorelli, Sulle orme di San Colombano - Ripercorso storico da Valtesse a Bergamo, all’Italia, all’Europa sulle tracce d’una migrazione monastica medioevale, Bergamo - Grafital, 2008.

 


[1] Cfr. Mélanges colombaniens (Actes du Congrès internat. de Luxeuil, 20-23 luglio 1950), Paris, s.a.
[2] È articolata in dieci capitoli: 1) L’obbedienza; 2) Il silenzio; 3) Cibo e bevanda; 4) Povertà e repressione dell’avidità; 5) Repressione della vanità; 6) La castità; 7) I tempi successivi per la recita dei Salmi; 8) La discrezione; 9) La mortificazione; 10) La perfezione del monaco. (Il testo critico, con traduzione in lingua inglese, è stato pubblicato da G. S. M. WALKER, Sancti Columbani opera, Dublino 1957, 122-142).
[3] Questa seconda parte tratta di norme piuttosto pratiche, con particolari più o meno dettagliati, relativi alla vita di ogni giorno, con riferimenti anche alle sanzioni per le possibili infrazioni (cfr. G. S. M. WALKER, op. cit., 142-168).
[4] La terza parte stabilisce le penitenze per le colpe maggiori (cfr. G. S. M. WALKER, op. cit., 168-181. Molto utile anche J. LAPORTE, Le penitentiel de saint Colomban, Introduct. et èdition critique, Tournai – Paris – Rome – New York 1958).
[5] J. DANIÉLOU, Nuova Storia della Chiesa, I, Torino 1970, 522-523.
[6] Forse, almeno secondo l’opinione di qualche studioso, prima dell’adozione della regola di s. Benedetto, vi fu l’immissione della “Regola del Maestro”… comunque V. POLONIO, nell’opera Il monastero di san Colombano dalla fondazione all’epoca Carolingia, Genova 1962, così spiega le probabili ragioni di questa nuova adozione: “La regola del fondatore provvedeva alla spiritualità del monastero e dava le direttive generali per la fondamentale attività dei monaci. Ciò che invece essa non precisava era quanto si riferiva alla organizzazione interna del convento, all’amministrazione, all’elezione dell’abate, a tutto ciò che una comunità richiedeva per una vita ordinata […]. La discrezione dell’abate era sufficiente” (p. 77). Queste ragioni sono certamente buone. Va aggiunto però che un tale mutamento trova una ragione anche più plausibile nel fatto che, col tempo, a  Bobbio finì per prevalere l’elemento italico.

domenica 2 dicembre 2012

Dal "De opere et eleemosynis" di san Cipriano


Veronese, Elemosina di S. Caterina

 

Dal De opere et eleemosynis

di san Cipriano vescovo di Cartagine

 

Lo Spirito Santo parla nella Scrittura e dice: Con le elemosine e la fedeltà si espiano i peccati (Levitico 11, 44). Ma senza dubbio non i peccati che erano stati commessi prima (del battesimo); poiché quelli sono lavati dal sangue e dalla santificazione del Cristo. Poi esprime di nuovo la stessa idea: Come l’acqua spegne il fuoco, così l’elemosina estingue i peccati (Ecclesiastico 3, 30). Anche qui è mostrato e provato che, come il fuoco della geenna è spento dal lavacro dell’acqua salutare, così mediante elemosine ed opere giuste la fiamma dei peccati è soffocata. E poiché la remissione dei peccati è accordata una volta sola nel battesimo, bisogna che la pratica assidua e continua delle opere buone imiti il ruolo del battesimo ed assicuri di nuovo l’indulgenza di Dio. Il Signore stesso lo insegna nel vangelo. Infatti, quando i suoi discepoli furono criticati per aver mangiato senza essersi prima lavati le mani, egli rispose dicendo: Colui che ha fatto il di dentro ha fatto anche il di fuori. Fate dunque piuttosto elemosina ed ecco tutto sarà puro per voi (Luca 11, 40s.). Ciò che voleva insegnare e mostrare è che si deve piuttosto lavare il cuore che le mani, ed eliminare le macchie dell’interno piuttosto che dell’esterno, anzi, che colui che ha purificato l’interno ha anche purificato l’esterno e, mediante la purificazione dell’anima, la sua pelle e la sua carne sono diventate anch’esse pure. Volendoci poi ammonire ed istruire sul modo per diventare puri e mondi, aggiunse che bisognava fare elemosine. Il misericordioso ammonisce a praticare la misericordia e, cercando di salvaguardare quelli che ha riscattato a caro prezzo, insegna che quanti si sono macchiati dopo la grazia del battesimo, possono di nuovo essere purificati.

 da: HEINRIC KARPP, La penitenza. Fonti sull'origine della penitenza nella Chiesa antica, Torino, 1975, 329-331.

sabato 1 dicembre 2012

Dal "De gubernatione Dei" di Salviano di Marsiglia

 
“Nabucodonosor, il grande re, / Fortuna tale ebbe in sorte che poté / Arpacsàde travolgere e finire, / Il cui dominio era tale da coprire / La terra fino al confine del mare; / ma dopo volle come Dio regnare, / E in bestia si mutò, e fu gran portento; /……./ Pochi son morti, oggi, domani e ieri, / Tranquillamente sopra il proprio letto / Dei grandi che pur ebbero il diletto / Del potere, e finirono ammazzati. / Attenti dunque, sovrani coronati: / Legati siete di Sorte alla ruota! / E che la sposti Dio basta d’un iota, / Perché sia certa la vostra caduta. / Iddio servite, e sia da voi temuta / La Sua ira tremenda, che potrà / Accendersi a ogni istante, e crollerà / Il vostro impero, e travolti sarete. / D’Ission la ruota mai ferma vedrete, / Ché ad ogni soffio si muove di vento. / Beato chi al volere è di Dio attento! /…” . (Sebastian Brant, La nave dei folli)


Dal De gubernatione Dei di Salviano di Marsiglia

(Gub., 4,6,30-31; 5,4,17-18; 5,7,28-29.31-32)
 

Moltissimi sono i ricchi di cui i poveri pagano le imposte. Mi spiego: moltissimi sono i ricchi le cui imposte uccidono i poveri. E quando dico «moltissimi» temo che - ad onor del vero - dovrei dire «tutti». (...) Ecco a cosa hanno portato i provvedimenti fiscali adottati recentemente in alcune città: a nient’altro che ad esentare tutti i ricchi, e a far gravare il fardello delle imposte sui miseri; a togliere agli uni vecchi canoni, e a caricarne sugli altri di nuovi; ad arricchire gli uni con la diminuzione delle tasse - anche le più leggere - e ad affliggere gli altri con l’aumento delle più pesanti. (...) Di qui constatiamo che non c’è nulla di più scellerato del comportamento dei ricchi, che con i loro provvedimenti fanno morire i poveri, e non c’è nulla di più infelice della condizione dei poveri, che vengono uccisi da quello che è stato adottato come provvedimento per tutti.

(...) Moltissimi si vedono confiscati i beni dai pochi, che considerano l’esazione pubblica delle imposte una preda di loro appartenenza e fanno dei titoli del debito fiscale una personale fonte di lucro. A comportarsi così non sono soltanto quanti si trovano alla sommità della gerarchia, ma anche gli ultimi subalterni; non solo i giudici, ma anche i loro subordinati. Quali sono le città e, persino, i municipi e i villaggi ove i curiales non sono tiranni pubblici? Eppure essi si compiacciono probabilmente di tale appellativo, che sembra loro espressione di potenza e di onore. (...) Qual è il luogo - dicevo - in cui i primi cittadini non divorano le viscere delle vedove, degli orfani e, regolarmente, di tutti i santi? (...)

(...) L’unico motivo per cui i miseri non ce la fanno a sopportare il carico delle imposte è che esso supera ogni loro possibilità. (...) Chi potrebbe stimare una simile ingiustizia? Essi pagano come fossero ricchi, e vivono nell’indigenza dei mendichi. Ma c’è di più: i ricchi inventano talora imposte supplementari, e a pagarle sono i poveri. (...) Dinanzi a voi ricchi, noi poveri cediamo alla vostra volontà! Ma quel che voi - pochi - ordinate, paghiamolo tutti! Che ci sarebbe di tanto giusto, di tanto umano? Con le vostre decisioni ci gravate di nuovi debiti: fate almeno che tali debiti siano comuni a voi e a noi! Cosa può esserci di più iniquo e di più indegno del fatto che ad essere esentati dal pagarli siate soltanto voi, che rendete debitori tutti gli altri? E così i poveri - miseri davvero - pagano tutto quello di cui ho detto, e non sanno assolutamente la causa e la ragione per cui pagano!

 

Da: G. BOSIO E. DAL COVOLO M. MARITANO, Introduzione ai Padri della Chiesa. Secoli IV e V, Torino, 1995, 326-327.