venerdì 26 aprile 2013

Dal Sermone 27 La risurrezione di Lazzaro di san Cromazio

 

Dal Sermone 27 La risurrezione di Lazzaro
di san Cromazio vescovo di Aquileia
Sermo 27, 1-4

 

Il Signore e Salvatore nostro Cristo Gesù ha certo manifestato la potenza della sua divinità con numerosi segni e con miracoli di ogni specie, ma particolarmente alla morte di Lazzaro, come avete appena udito, carissimi, nella presente lettura, mostrando di essere colui del quale era stato scritto: “Il Signore della potenza è con noi, nostra rocca è il Dio di Giacobbe” (Sal 45, 8). Questi miracoli, il Signore e Salvatore nostro li ha operati sotto due aspetti: materiale e spirituale, cioè producendo un effetto visibile e un altro invisibile, manifestando per mezzo dell’effetto visibile la sua invisibile potenza. Prima, con un’opera visibile, rese al cieco nato la vista della luce (cf. Gv 9, 1-38) per illuminare con la luce della sua conoscenza, per mezzo della sua invisibile potenza, la cecità dei Giudei. Nella presente lettura, egli rese la vita a Lazzaro che era morto (cf. Gv 11, 1-44), al fine di risuscitare dalla morte del peccato alla vita i cuori increduli dei Giudei. Di fatto molti Giudei credettero a Cristo Signore a causa di Lazzaro: riconobbero nella sua risurrezione una manifestazione della potenza del Figlio di Dio, poiché comandare alla morte in forza della propria potenza non rientra fra le capacità della condizione umana, ma è proprio della natura divina. Leggiamo invero che anche gli apostoli hanno risuscitato dei morti, ma essi hanno implorato il Signore perché li risuscitasse (cf. At 9, 40; 20, 9-12); essi li hanno sì risuscitati, non però con le loro forze, o per virtù propria, ma dopo aver invocato il nome di Cristo che comanda alla morte e alla vita: il Figlio di Dio invece ha risuscitato Lazzaro per virtù propria. Infatti appena il Signore disse: “Lazzaro, vieni fuori” (Gv 11, 43), quegli uscì subito dal sepolcro: la morte non poteva trattenere colui che veniva chiamato dalla Vita. Il fetore della tomba era ancora nelle narici dei presenti allorché Lazzaro era già in piedi e vivo. La morte non attese di sentirsi ripetere il comando dalla voce del Salvatore, perché essa non era in grado di resistere alla potenza della Vita; e pertanto a una sola parola del Signore la morte fece uscire dal sepolcro il corpo di Lazzaro e la sua anima dagli inferi, così tutto Lazzaro uscì vivo dal sepolcro, dove non era completo ma solo col suo corpo. Ci si risveglia più lentamente dal sonno che non Lazzaro dalla morte. Il fetore del cadavere era ancora nelle narici dei Giudei che già Lazzaro stava in piedi e vivo. Ma consideriamo ora l’inizio della stessa lettura.

Il Signore disse dunque ai suoi discepoli, come avete udito carissimi, nella presente lettura: “Lazzaro, l’amico nostro, dorme ma io vado a risvegliarlo” (Gv 11, 11). Il Signore disse bene. “Lazzaro, l’amico nostro, dorme”, perché in realtà egli stava per risuscitarlo da morte come da un sonno. Ma i discepoli, ignorando il significato delle parole del Signore, gli dicono: “Signore, se dorme, guarirà” (Gv 11, 12). Allora in risposta “disse loro chiaro: Lazzaro è morto, ma sono contento per voi di non essere stato là affinché crediate” (Gv 11, 14-15). Se il Signore qui afferma di rallegrarsi per la morte di Lazzaro in vista dei suoi discepoli, come si spiega che in seguito pianse sulla morte di Lazzaro? (cf. Gv 11, 35). Occorre, al riguardo, badare al motivo della sua contentezza e delle sue lacrime. Il Signore si rallegrava per i discepoli, piangeva per i Giudei.

Si rallegrava per i discepoli, perché con la risurrezione di Lazzaro egli sapeva di confermare la loro fede nel Cristo; ma piangeva per l’incredulità dei Giudei, perché neppure di fronte a Lazzaro risorto avrebbero creduto a Cristo Signore. O forse il Signore pianse per cancellare con le sue lacrime i peccati del mondo. Se le lacrime versate da Pietro poterono lavare i suoi peccati, perché non credere che i peccati del mondo siano stati cancellati dalle lacrime del Signore? In effetti, dopo il pianto del Signore, molti fra il popolo dei Giudei credettero. La tenerezza della bontà del Signore vinse in parte l’incredulità dei Giudei e le lacrime da lui teneramente versate addolcirono i loro cuori ostili. E forse per questo la presente lettura ci riferisce l’uno e l’altro sentimento del Signore, cioè la sua gioia e il suo pianto, perché “chi semina nelle lacrime”, com’è scritto, “mieterà nella gioia” (Sal 125, 5). Le lacrime del Signore sono dunque la gioia del mondo: infatti per questo egli versò lacrime, perché noi meritassimo la gioia. Ma ritorniamo al tema. Disse dunque ai suoi discepoli: “Lazzaro, l’amico nostro, è morto; ma io sono contento per voi di non essere stato là, affinché crediate”. Rileviamo anche qui un mistero: come il Signore può dire di non essere stato là [dove Lazzaro era morto]? Infatti quando dice chiaramente: “Lazzaro è morto” dimostra all’evidenza di essere stato lì presente.

Né il Signore avrebbe potuto parlare così, dal momento che nessuno l’aveva informato, se non fosse stato lì presente. Come il Signore poteva non essere presente nel luogo dove Lazzaro era morto, lui che abbraccia con la sua divina maestà ogni regione del mondo? Ma anche qui il Signore e Salvatore nostro manifesta il mistero della sua umanità e della sua divinità. Egli non si trovava lì con la sua umanità, ma era lì con la sua divinità, perché Dio è in ogni luogo.

Quando il Signore giunse da Maria e da Marta, sorelle di Lazzaro, alla vista della folla dei Giudei, chiese: “Dove l’avete messo?” (Gv 11, 34). Forse che il Signore poteva ignorare dove era stato posto Lazzaro, lui che, sebbene assente, aveva preannunciato la morte di Lazzaro e che con la maestà del suo essere divino è presente dappertutto? Ma il Signore, così facendo, si attenne a un’antica sua consuetudine. Infatti, allo stesso modo chiese ad Adamo: “Adamo, dove sei?” (Gen 3, 9). Egli interrogò Adamo non perché ignorava dove si trovasse, ma perché Adamo confessasse il suo peccato con le proprie labbra e potesse così meritarne il perdono.

Interrogò anche Caino: “Dov’è tuo fratello Abele?” ed egli rispose: “Non so” (Gen 4, 9). Dio non interrogò Caino quasi che non sapesse dove si trovava Abele, ma per potergli imputare, sulla base della sua risposta negativa il delitto commesso contro il fratello. Di fatto Adamo ebbe il perdono perché confessò il peccato commesso al Signore che lo interrogava; Caino invece fu condannato alla pena eterna, perché negò il suo delitto. Così anche nel nostro caso, quando il Signore chiede: “Dove l’avete messo?” non pone la domanda quasi che ignori dove sia stato sepolto Lazzaro, ma perché la folla dei Giudei lo segua fino al suo sepolcro e, constatando nella risurrezione di Lazzaro la divina potenza di Cristo, essi divengano testimoni contro sé stessi qualora non credano a un miracolo così grande. Infatti il Signore aveva loro detto in precedenza: “Se non credete a me, credete almeno alle mie opere e sappiate che il Padre è in me e io sono in lui” (Gv 10, 38). Quando poi giunse presso il sepolcro, disse ai Giudei che stavano intorno: “Levate via la pietra” (Gv 11, 39). Che dobbiamo dire? Forse che il Signore non poteva rimuovere la pietra dal sepolcro con un semplice comando, lui che, con la sua potenza, ha rimosso le sbarre degli inferi? Ma il Signore ha ordinato agli uomini di fare ciò che era nelle loro possibilità; ciò che invece appartiene alla virtù divina, lo ha manifestato con la propria potenza. Infatti rimuovere la pietra dal sepolcro è possibile alle forze umane, ma richiamare un’anima dagli inferi è solo in potere di Dio. Ma, se l’avesse voluto, avrebbe potuto rimuovere facilmente la pietra dal sepolcro con una sola parola chi con la sua parola creò il mondo.

Quand’ebbero dunque rimosso la pietra dal sepolcro, il Signore disse a gran voce: “Lazzaro, vieni fuori”, dimostrando così di essere colui del quale era stato scritto: “La voce del Signore è potente, la voce del Signore è maestosa” (Sal 28, 4), e ancora: “Ecco che darà una voce forte alla sua potenza” (Sal 67, 34). Questa voce che ha subito richiamato Lazzaro dalla morte alla vita è veramente una voce potente e maestosa, e l’anima fu restituita al corpo di Lazzaro prima che il Signore avesse fatto uscire il suono della sua voce. Sebbene il corpo fosse in un luogo e l’anima in un altro, tuttavia questa voce del Signore restituì subito l’anima al corpo e il corpo obbedì all’anima. La morte infatti fu rimossa alla voce di una così grande potenza. E nulla di strano, certamente, che Lazzaro sia potuto risorgere per una sola parola del Signore, quando ha dichiarato egli stesso nell’Evangelo che quanti sono nei sepolcri risorgeranno alla sola e unica parola, dicendo: “Viene l’ora in cui i morti ascolteranno la voce del Figlio di Dio e risorgeranno” (Gv 5, 25). Senza dubbio, all’udire la parola del Signore, la morte avrebbe potuto allora lasciar liberi tutti i morti, se non avesse capito che era stato chiamato soltanto Lazzaro. Dunque, quando il Signore disse: “Lazzaro, vieni fuori, subito egli uscì legato piedi e mani e la faccia ravvolta in un sudario” (Gv 11, 44). Che diremo qui ancora? Forse che il Signore non poteva spezzare le bende nelle quali Lazzaro era stato sepolto, lui che aveva spezzato i legami della morte? Ma qui il Signore e Salvatore nostro manifesta nella risurrezione di Lazzaro la duplice potenza della sua operazione per tentare d’infondere almeno così la fede nei Giudei increduli.

Infatti non desta minor meraviglia veder Lazzaro poter camminare a piedi legati che vederlo risuscitare dai morti...

 

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