Terza domenica di Quaresima
di Roberto Pagani
La terza
domenica della Grande Quaresima è un punto di svolta nel cammino, sotto diversi
punti di vista. In questo contesto, è estremamente significativo il Synaxarion
che descrive il senso della festa. Il Triodion, libro liturgico che contiene
gli uffici quaresimali, attribuisce a Niceforo Callisto Xanthopulos i sinassari
che ne spiegano le feste, la loro origine e la loro disposizione nel calendario
liturgico. Egli è un prete della “Grande Chiesa” vissuto all’inizio del XIV
secolo, conosciuto anche con il nome monastico (Nilo), probabile autore anche
dei Sinassari per il santorale, tradotti in greco volgare e stampati a Venezia
nel XVII secolo.
Presentando il
tema dominante della terza domenica, Xanthopulos dice: “Oggi celebriamo la
festa della venerazione della preziosa e vivificante Croce: poiché durante i
quaranta giorni di digiuno noi in qualche modo crocifiggiamo noi stessi,
mettendo a morte le passioni che abbiamo in noi, e abbiamo una sensazione di amarezza
a causa della nostra negligenza o del nostro scoraggiamento, ecco che viene
esposta la vivificante Croce, per rianimarci e sostenerci, per incoraggiarci
ricordandoci le Sofferenze del nostro Signore Gesù Cristo. Se il nostro Dio si
è lasciato crocifiggere per noi, non dobbiamo forse fare altrettanto per lui?
….. Noi siamo come quelli che, percorrendo un lungo e aspro sentiero, si
affaticano, e vedendo un albero frondoso si siedono un momento alla sua ombra e
poi, come ringiovaniti, continuano il loro viaggio. Così oggi, in questo tempo
di digiuno, di cammino difficile e di sforzo, la Croce vivificante fu piantata
in mezzo a noi dai santi Padri per procurarci riposo e ristoro, per renderci
leggeri e coraggiosi in vista del compito che resta da fare… Questa settimana
si trova nel mezzo della Quaresima, ed è paragonata alle acque di Mara a causa
della contrizione, dello scoramento e dell’amarezza prodotte in noi dal
digiuno: come quando il divino Mosè gettò il suo bastone in mezzo alla sorgente
per addolcirne le acque, o come quando Dio ci ha salvato spiritualmente dal Mar
Rosso e dal Faraone, così il legno della preziosa e vivificante Croce
addolcisce l’amarezza di un digiuno di quaranta giorni e ci consola per questa
nuova traversata del deserto, fino a giungere alla Gerusalemme mistica
attraverso la sua risurrezione. E poiché la Croce è per noi l’albero della
vita, piantato nel paradiso, i santi Padri l’hanno giustamente piantata nel
mezzo della santa Quaresima, ricordandoci ad un tempo l’avidità di Adamo e come
questa fu annullata per mezzo del nuovo albero, gustando il quale noi non
moriamo più, ma siamo tenuti in vita”.
Troviamo già
il tema della Croce nei manoscritti liturgici cui abbiamo fatto più volte
riferimento, e possiamo quindi affermare che la venerazione odierna e per tutta
la settimana che seguirà (la Croce resterà esposta al centro della Chiesa fino
all’ora nona del venerdì seguente) si trova attestata nel X secolo, forse anche
nel IX. Prima della proclamazione delle letture nella Divina Liturgia si dava
questo avviso: “Esorto la vostra carità, o fratelli amati da Cristo, se avete
qualcuno che deve accostarsi al Santo Battesimo, sapendo che la Risurrezione di
Cristo si avvicina, di condurlo domani nella nostra santissima chiesa affinché
riceva il sigillo di Cristo, possa prepararsi ad esso mediante un ritiro ed
essere catechizzato. Sappiate che per chi sarà presentato dopo questa
settimana, a meno di una evidente necessità, non sarà tollerata l’ammissione”.
La pericope
evangelica domenicale è Mc 8, 34 - 9, 1:
Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, Gesù disse loro: “Se qualcuno
vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua.
Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria
vita per causa mia e del vangelo, la salverà. Che giova infatti all’uomo
guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima? E che cosa potrebbe
mai dare un uomo in cambio della propria anima? Chi si vergognerà di me e delle
mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio
dell’uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli
angeli santi”. E diceva loro: “In verità vi dico: vi sono alcuni qui presenti,
che non morranno senza aver visto il regno di Dio venire con potenza”.
È interessante
il commento che san Cesario di Arles, vissuto nel V secolo, fa a questa pagina
evangelica nel suo discorso 159: “Sembra difficile, se non impossibile, ciò che
il Signore comandò di fare nel Vangelo, ma non è difficile compiere ciò che
impone, considerando che egli stesso aiuta a compiere ciò che ordina… infatti
come l’uomo muore amando se stesso, così si ritrova negando se stesso. La prima
perdizione dell’uomo fu l’amore per se stesso: se non avesse amato se stesso con
un ordine perverso, avrebbe anteposto Dio a se stesso, e avrebbe voluto essere
suddito di Dio…. Cosa vuole significare l’espressione “prenda la sua croce”?...
Quando comincerà a seguirmi secondo i miei mandati e i miei insegnamenti avrà
molti avversari, molti che lo ostacoleranno, non avrà solo schernitori, ma
anche persecutori… tu dunque, se desideri seguire Cristo, non rifiutarti di
portare la sua croce: tollera i malvagi, non soccombere ad essi. E da dove
bisogna iniziare a seguire Cristo se non da dove è partito? Infatti noi
sappiamo che risorse e risalì al cielo: dobbiamo seguirlo! E non dobbiamo
perdere la speranza, perché egli stesso lo promise, e non perché l’uomo di per
sé può fare qualcosa. Vuoi seguire Cristo? Devi essere umile, proprio come lui
lo fu: non disprezzare la sua umiltà se vuoi arrivare alla sua eccellenza.
Certamente la via divenne ardua quando l’uomo peccò, ma ridivenne piana quando
Cristo la calcò nella sua risurrezione, e da una strettissima via la trasformò
in un cammino regale. Questa via deve essere attraversata con entrambi i piedi,
ovvero con umiltà e carità… inizia dal primo gradino, l’umiltà, così potrai
salire… devi amare il mondo, ma devi anteporre al mondo il suo Creatore….
Impegniamoci quanto più possibile perché non ci opprima questo amore per il
mondo, perché non amiamo la creatura più del Creatore”.
San Leone
Magno, nel suo Sermone 74, dice che “abbracciare la croce è uccidere le
cupidigie, annientare i vizi; allontanarsi dalla vanità è rinunciare ad ogni
errore: nessun impudico, nessun lussurioso, nessun superbo né avaro celebra la
Pasqua del Signore”.
San Gregorio
Magno ci ricorda che “in due modi portiamo la croce del Signore: quando con la
rinuncia domiamo la carne e quando, per vera compassione del prossimo, sentiamo
i suoi bisogni come fossero nostri. Chi soffre personalmente quando il prossimo
è ammalato porta la croce del Signore… portare la croce e seguire il Signore
significa rinunciare ai piaceri carnali e aver compassione del prossimo per
zelo della beatitudine: chi fa ciò solo con fine umano, porta la croce ma non
segue il Signore!”.
Questi pochi
riferimenti patristici ci permettono di meglio apprezzare il tema svolto
dall’innografia del giorno e che si protrarrà per tutta la settimana, ovvero la
dinamica del mistero pasquale: il Creatore prende in sé il creato per
discendere con esso fino alla morte e risalire con esso fino alla vita vera;
per essere trascinati con lui in questo movimento che sollecita la nostra
libera adesione, dobbiamo eliminare gli ostacoli chi si frappongono; con
l’amore e l’ascesi, guidati dalla liturgia, chiediamo la grazia per il nostro
ritorno nel Regno, al prezzo di un sacrificio impensabile da parte del Figlio
di Dio e di un sacrificio tutto sommato ragionevole da parte nostra.
Ma se il tono
degli uffici finora era, ovviamente, prevalentemente penitenziale, oggi siamo
sorpresi: la chiave di lettura della Croce non è la sofferenza e la morte, ma
la gioia della vita recuperata.
Già nel
Lucernario del Vespero cantiamo: “Per te è stata cancellata la tristezza delle
lacrime, noi siamo stati strappati dai lacci della morte e trasferiti nella
letizia eterna”. “Gioisci, Croce vivificante, splendido paradiso della Chiesa,
albero dell’incorruttibilità che per noi hai fatto fiorire il gaudio dell’eterna
gloria; per te vengono respinte le falangi dei demoni, si rallegrano insieme le
schiere degli angeli e fanno festa le assemblee dei fedeli: concedi anche a noi
di giungere alla passione di Cristo e alla sua risurrezione”. “Per te è
annientata la corruzione, distrutta e inghiottita la potenza della morte, e noi
siamo stati innalzati dalla terra al cielo”.
Bergamo, Basilica di S. Maria Maggiore
reliquia della vera croce
La Croce di
Cristo è il nuovo albero che sostituisce quello piantato nel giardino
dell’Eden: se questo era l’albero della conoscenza del bene e del male, ora la
Croce stessa diviene il criterio per un tale discernimento, fondamento
antropologico a partire dal nuovo Adamo: “Vieni, o prima coppia creata, che sei
decaduta dal coro celeste per l’invidia dell’omicida, tramite l’amaro piacere
del frutto un tempo gustato dall’albero: ecco, avanza il vero e augustissimo
albero! Ad esso accorrete e stringetelo con gioia acclamando con fede: tu sei
il nostro soccorso, o Croce venerabilissima, e noi comunicando al tuo frutto
otteniamo l’incorruttibilità, ricevendo stabilmente l’Eden di un tempo e la
grande misericordia”.
La Croce è lo
stilo che, intinto nel sangue stesso di Cristo in luogo dell’inchiostro, scrive
il nostro atto di perdono: “Cristo, Dio nostro, che hai accettato la tua
crocifissione volontaria in vista della comune resurrezione del genere umano, e
con lo stilo della croce hai arrossato di sangue le tue dita per sottoscrivere
regalmente, nella tua benevolenza, l’atto del perdono, non trascurarci mentre
siamo di nuovo in pericolo di essere separati da te”.
Che sia una
domenica quaresimale davvero particolare diventa evidente durante il mattutino:
il canone è opera di Teodoro Studita, autore già incontrato in precedenza, e
per sottolineare ulteriormente il tono di gioia e di vittoria, viene parafrasato
il canone del mattutino di Pasqua, opera di san Giovanni Damasceno. Ci fosse
bisogno di una conferma, anche le melodia con cui il canone viene cantato è la
stessa di quella pasquale, e il secondo tropario di ogni ode, quello che segue
l’irmos, ha come unico tema la risurrezione.
“Giorno di
festa solenne: con la risurrezione di Cristo la morte è distrutta ed è sorto lo
splendore della vita; Adamo risuscitato danza con gioia”. “Venite, cantiamo un
canto nuovo, esaltando la distruzione dell’ade, perché Cristo è risorto dalla
tomba abbattendo la morte e salvando l’universo”.
Ogni
riferimento valorizza e intensifica quanto si sta vivendo, collocando l’ascesi
quaresimale nella giusta prospettiva: “Venite ad attingere, fedeli, non acqua
corruttibile zampillante da una fonte, ma la sorgente della luce, grazie
all’adorazione della Croce di Cristo, della quale ci gloriamo”. “Oggi si compie
la parola profetica: perché, ecco, noi adoriamo il luogo dove si sono posati i
tuoi piedi, Signore, e avendo gustato dell’albero della salvezza, abbiamo
ottenuto la liberazione dalle passioni del peccato, per l’intercessione della
Madre di Dio, o solo amico degli uomini”. “Convenendo oggi per la gioiosa
adorazione della tua Croce vivificante, o Cristo, facciamo onore alla tua santissima
passione che, nella tua onnipotenza, hai reso salvezza del mondo, o Salvatore”.
Il cosmo
rinasce, è ricreato: “Oggi è gioia in cielo e sulla terra, perché il segno
della Croce si manifesta al mondo, la beatissima Croce, esposta, fa sgorgare
eterna grazia per quanti l’adorano”. “Vedendoti sulla Croce, o Potente, il
luminare grande, preso da tremore, ritrasse i suoi raggi e si nascose; tutto il
creato celebrò con timore la tua longanimità: la terra si riempì della tua
lode”.
Più che tanti
trattati, ecco il fondamento dell’ecclesiologia in una immagine: “Riconosciamo
nella Chiesa un secondo paradiso che ha in sé, come il primo, un albero che dà
la vita: la tua Croce, o Signore, toccandola noi diventiamo partecipi
dell’immortalità”.
Nella Croce,
luogo della gloria in cui si manifesta l’apice dell’amore divino, nasce l’uomo
nuovo che ha a cuore il dono di sé più che non il possesso, e questo è il
fondamento della pace: “Abbiamo trovato pace per la tua Croce, con la quale hai
rinnovato il genere umano”. “Baciando la tua croce, o pietoso, celebriamo le
tue bende e la tua tomba, la lancia e i chiodi”. Noi possiamo portare la nostra
croce perché Cristo ha portato la sua: “Abbracciando la santa Croce che hai
accettato di portare sulle spalle, o Cristo, per esservi innalzato e crocifisso
secondo la carne, noi riceviamo forza contro i nemici invisibili”.
Il kontakion
riesprime una meravigliosa antinomia: “La spada di fuoco non sorveglia più le
porte dell’Eden perché il legno della croce le impedisce di ardere; il pungiglione
della morte è stato spezzato e tu sei apparso, o Salvatore, per dire ai
prigionieri degli inferi: entrate di nuovo nel paradiso”. Anche se la spada non
impedisce l’accesso al paradiso, non solo non siamo ancora entrati, ma non
sappiamo nemmeno se ne saremo degni. Il tempo della storia del mondo e
l’economia della Chiesa non sono terminati, si devono compiere, e a noi non
resta che la vita nella comunità ecclesiale, che sfocerà nella Gerusalemme
celeste. Per ora, il principe dell’ade può lamentarsi dicendo: “Sono costretto
a rigettare Adamo e i nati da lui che mi erano stati dati mediante un albero:
ora un albero li introduce di nuovo nel paradiso”.
La Croce di
Cristo diventa laboratorio di vita: “Tu che hai reso questo strumento di morte,
la tua amata Croce, o pietosissimo, in un laboratorio di vita per il mondo,
santifica quanti l’adorano”, ma anche luce che illumina con i suoi bagliori la
strada verso la Pasqua: “Gioisci, albero felicissimo e divino, o Croce, luce di
quanti sono nelle tenebre, che con la tua luce preannunci ai quattro confini
del mondo i bagliori della risurrezione di Cristo: concedi a tutti i fedeli di
giungere alla Pasqua”. “Morto a causa dell’albero, ho trovato in te un albero
di vita, o mia Croce che porti Cristo”.
Negli Exapostilaria
che precedono le Lodi troviamo riassunto il senso della venerazione che di lì a
poco verrà compiuta da tutti: “Vedendo oggi esposta la preziosa Croce di
Cristo, noi l’adoriamo e con fede ci rallegriamo, baciandola con amore, e
pregando il Signore che volontariamente su di essa è stato crocifisso, di
renderci tutti degni di adorare la Croce preziosa, e di giungere alla
Risurrezione, liberati tutti dalla condanna”.
Possiamo
quindi chiedere alla Madre di Dio: “Noi ora piamente adoriamo il legno sul quale,
o Venerabilissima, il tuo Figlio è stato confitto e ha disteso per noi le mani
immacolate: donaci la pace, donaci di giungere alla passione che ha salvato il
mondo, donaci di venerare il giorno che prende il nome dal Signore, il giorno
insigne e luminoso della Pasqua, gioia dell’universo”.
Una strofa
delle Lodi ci fa ritornare per un momento all’inizio del cammino, addirittura
al tema della prima domenica della pre-quaresima, ma il tema della parabola
lucana viene legato alla ormai prossima passione:
“Il Signore di
tutti ha insegnato in parabole a fuggire il superbo sentire dei pessimi
farisei, e ha ammaestrato tutti a non avere di sé un concetto più alto del
dovuto, divenendo egli stesso esempio e modello, si è annientato fino alla
croce e alla morte. Rendendo dunque grazie, a lui diciamo con il pubblicano: o
tu che hai patito per noi rimanendo Dio impassibile, strappaci alle nostre
passioni e salva le nostre anime”.
Il patriarca Kirill nella domenica della croce del 2012
Durante il
canto della Grande Dossologia che conclude il Mattutino, il Sacerdote, rivestito
di tutti i suoi ornamenti, incensa la croce facendo tre volte il giro
dell’altare; durante l’ultimo trisaghion, che viene cantato lento e solenne,
esce dal santuario portando la croce deposta su un vassoio ornato di fiori
sopra la sua testa, preceduto da candele e incenso. Mentre il coro canta il
tropario della Croce, il sacerdote depone il vassoio con la Croce su un tavolo
posto al centro della navata, incensa di nuovo la croce tre volte girandole
intorno, poi inizia la venerazione della Croce con la tripla grande metania,
dove ciascuno si prostra per tre volte con la fronte a terra prima di chinarsi
sulla croce e baciarla, mentre, tra gli altri, vengono cantati questi inni,
opera di Leone il Saggio, morto nel 911 e discepolo di Fozio: “Adoriamo, o Signore,
la tua croce, e glorifichiamo la tua santa risurrezione”. “Venite fedeli,
prostriamoci davanti al legno vivificante sul quale Cristo, il re della gloria,
stese liberamente le sue mani per elevarci fino alla nostra antica felicità,
della quale eravamo stati privati dal nemico, per una amara voluttà che ci
aveva esiliato da Dio. Venite, fedeli, prostriamoci davanti al legno che ci
permette di calpestare le testa del nemico invisibile. Venite, famiglie delle
genti, veneriamo con inni la Croce del Signore. Rallegrati, perfetta redenzione
della colpa di Adamo; rallegrati, Croce venerabile; pieni di timore, ti
abbracciamo glorificando il nostro Dio e dicendogli: Signore, tu che fosti
inchiodato sulla croce, abbi pietà di noi nella tua bontà e nel tuo amore per
gli uomini”.
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