Dalla Omelia 66 su Matteo
di san Giovanni Crisostomo arcivescovo
di Costantinopoli
In Mt., hom. 66, 1-2. PG 57, 627-628.
Gesù era
venuto spesso a Gerusalemme; mai però vi era entrato in modo così solenne.
Quale ne è il motivo? All’inizio del suo ministero egli non era molto
conosciuto e a quel tempo neppure era prossima l’ora della sua passione. Gesù
si mescolava alla folla senza alcuna distinzione, cercando anzi di passare
inosservato. Qualora si fosse manifestato troppo presto, non avrebbe riscosso
ammirazione, ma l’ira degli avversari si sarebbe scatenata ben più violenta.
Più tardi, invece, quando la croce è alle porte, dà prova sufficiente del suo
potere, dispiega in modo più lampante la sua grandezza e compie con maggiore
solennità ogni cosa, anche se ciò inasprirà la parte avversa. Ripeto che egli
avrebbe potuto fare ciò sin dall’inizio della sua predicazione, ma non sarebbe
stato né utile né vantaggioso.
Non
considerare la menzione dell’asina poco importante. Quelli che si lasciarono
portare via i loro animali, erano povera gente, forse dei contadini. Chi li
persuase a non opporsi? Che dico? Neppure aprirono bocca. Insomma, perché
acconsentirono oppure tacendo dettero via l’asina?
Nell’uno e
nell’altro caso il comportamento di costoro è ugualmente ammirevole: sia lo
starsene zitti quando vengono portate via le loro bestie; sia il non opporre
resistenza dopo aver chiesto e avuto la spiegazione dagli apostoli: Il Signore ne ha bisogno. E sono tanto
più ammirevoli, perché non vedevano il Signore, ma solo i suoi discepoli.
Questo
episodio ci insegna che Gesù avrebbe potuto ridurre al silenzio e atterrare i
Giudei che stavano per impadronirsi di lui, ma non volle farlo. Non solo, ma in
quella circostanza dà anche un altro insegnamento ai discepoli: essi dovranno
senza opporsi fare quanto egli chiederà loro, foss’anche la vita stessa. Se
quegli sconosciuti hanno ceduto obbedienti, essi dovranno abbandonare tutto
senza recriminazioni.
Allorché Gesù
entra in Gerusalemme cavalcando un’asina, ci insegna l’umiltà e la moderazione.
Egli non viene solo a compiere le profezie e a seminare la parola di verità, ma
anche a istituire un modello di vita che si limiti al necessario e si ispiri ad
un comportamento onesto.
Ecco perché,
quando nasce, non cerca un magnifico palazzo, e neppure una madre ricca e
illustre, ma si contenta dell’umile sposa di un carpentiere; nasce in una
grotta e viene deposto in una mangiatoia. Per discepoli non sceglie né retori e
dotti, né ricchi e nobili ma povera gente di modesta estrazione, del tutto
sconosciuta.
Al momento del
pasto, a volte si ciba di pane d’orzo, altre volte di quello che manda i
discepoli a comprare in piazza, e l’erba gli serve da tavola. Si veste
poveramente, come usa la gente del popolo, e non ha neppure una casa. Quando
deve spostarsi da un luogo all’altro, fa i viaggi a piedi, tanto da esserne
affaticato.
Gesù non ha
nessun trono per sedersi né cuscino per posare il capo. Che sia sulla montagna
o presso un pozzo - come quando era solo a parlare con la Samaritana - si mette
semplicemente a sedere per terra.
Ci dà l’esempio
della misura anche nei nostri dolori e nella nostra tristezza: quando piange,
versa poche lagrime, in modo che indica i limiti da non oltrepassare e l’equilibrio,
da mantenere.
Ecco un altro
esempio di semplicità: prevedendo che molti, deboli fisicamente, non potranno
sempre viaggiare a piedi, insegna con il suo esempio la moderazione: non è
necessario andare a cavallo, non c’è bisogno di muli aggiogati, ma basta un’asina,
e così non si eccede oltre il necessario.
Ma vediamo più
da vicino questa profezia che si realizza in parole e in atti. Quale è dunque? Dite alla figlia di Sion: Ecco, il tuo re
viene a te, mite, seduto su un’asina, con un puledro figlio di bestia da soma
(Cf Zc 9, 9). Gesù non guida carri da guerra, come gli altri re; non impone
tributi, non avanza sconvolgente scortato da un corpo di guardia, ma presenta d’ora
in poi il modello della mitezza e della moderazione.
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