Domenica delle Palme
di Roberto Pagani
Contrariamente
a quanto si può supporre, la celebrazione della domenica delle Palme all’inizio
della settimana santa non ha una origine gerosolimitana, dove veniva celebrata
durante l’ottava dell’epifania, ma nasce in ambiente costantinopolitano. Sono
almeno due gli elementi che depongono a favore di questa tesi, sostenuta dai
più insigni storici della liturgia: un sermone di san Giovanni Crisostomo e la
lettura evangelica giovannea che mette in sequenza l’episodio della
risurrezione di Lazzaro, l’ingresso di Gesù in Gerusalemme e la Pasqua. Già
dalle Costituzioni Apostoliche sappiamo che il sabato e la domenica precedenti
la Settimana Santa erano di carattere festivo e giungevano al termine del
cammino quaresimale, di cui comunque non facevano parte. Sono tanti gli
elementi che nella tradizione bizantina sono rimasti ancor oggi a testimoniare
questa visione. Il sabato di Lazzaro e la domenica delle Palme hanno un comune
tropario di congedo, che unisce i due eventi alla luce della Passione e,
soprattutto, della Risurrezione: “Per confermare prima della tua passione, la
fede nella comune risurrezione, dai morti hai risuscitato Lazzaro, o Cristo
nostro Dio. Per questo, come un tempo fecero i fanciulli portando i simboli
della vittoria, noi ti cantiamo come il vincitore della morte: Osanna,
nell’alto dei cieli, benedetto colui che viene nel nome del Signore!”. Dobbiamo
inoltre tenere presente che, come tutte le grandi feste dell’anno liturgico
bizantino che riguardano Gesù, l’ufficiatura della domenica delle Palme non si
aggiunge agli uffici di risurrezione propri di ogni domenica, ma li sostituisce
integralmente. Inoltre non segue nemmeno il ritmo degli otto toni: da questo
punto di vista può essere considerata come una domenica di discontinuità, dato
che è l’unica interruzione del ciclo che inizia con la Pasqua, prosegue con la
Pentecoste, e si svolge regolarmente durante tutto l’anno con la sequenza
ordinata degli otto toni musicali su cui vengono cantate tutte le parte variabili.
Questa
caratteristica offre la possibilità di percorrere l’ufficiatura dal vespero del
sabato a quello della domenica, evidenziandone le numerose particolarità. Gesù
entra in Gerusalemme per manifestare ancora una volta, prima della sua passione
e per chi vuole vedere e ascoltare, che in lui si compiono le profezie. Le
citazioni bibliche presenti nell’ufficiatura sono numerosissime: partendo da
Mosè, Davide, Isaia, Sofonia, Zaccaria, Osea e altri ancora, il Messia e il
Servo di Dio, Il Signore dell’universo e l’Agnello dal cui sangue verrà asperso
il popolo della nuova alleanza si manifestano in un uomo preciso, che nell’oggi
liturgico del memoriale entra a Gerusalemme seduto su un asino come sul trono
dei cherubini.
La prima
strofa che si canta al Lucernario dei Vesperi, traccia la prospettiva del
giorno: “Oggi la grazia dello Spirito Santo ci ha riuniti, e portando tutti la
tua croce diciamo: Benedetto colui che viene nel nome del Signore, osanna nel
più alto dei cieli”. Commentando proprio questo testo Constantin Andronikof, un
teologo russo della diaspora vissuto in Francia nel secolo scorso (è morto nel
1997), ha affermato: “Questa anticipazione della Pentecoste, connessa con
l’ingresso trionfale e con la crocifissione, ci fa pensare che, secondo
l’ordine delle energie trinitarie, se il Cristo compie la legge e i profeti, lo
Spirito Santo compie il vangelo. È lui che raduna in uno stesso spirito i
membri della Chiesa perché ne abbiano l’intelligenza; è lui che fa di essi il
Corpo di Cristo. Sarà questo il compimento del mistero pasquale, nella
Pentecoste”. L’apparenza di Gesù lascia sconcertati, così che l’innografo,
citando Isaia, ci fa cantare: “Colui che ha per trono i cieli e per sgabello la
terra, il Verbo di Dio Padre, il Figlio a lui coeterno, viene oggi a Betania
modestamente seduto su un puledro senza ragione”. Nel contesto
veterotestamentario, l’asino era anche utilizzato per umili lavori, ma era
anche, in tempo di pace, la cavalcatura di principi e re, Davide e Salomone,
così come nel libro dei Numeri diviene uno strumento di cui il Signore si serve
nei confronti del profeta Balaam. La terza strofa cantata al Lucernario cita il
passo del profeta Zaccaria che verrà letto successivamente: “Anche noi oggi,
tutto il nuovo Israele, la Chiesa delle genti, esclamiamo con il profeta
Zaccaria: Gioisci grandemente, figlia di Sion, da’ l’annuncio, figlia di
Gerusalemme: ecco, il tuo re viene a te, mite e per salvare, montato su un
puledro d’asina, figlio di bestia da soma”. La successiva strofa riunisce la
risurrezione di Lazzaro con l’ingresso in Gerusalemme, e nella sua seconda
parte cita una passo di Baruc così come un versetto del salmo 8: “Prefigurando
per noi la tua augusta risurrezione, col tuo comando hai risuscitato un morto,
il tuo amico Lazzaro, oramai senza respiro, traendolo dal sepolcro già
maleodorante, dopo quattro giorni, o buono; così pure sei salito su un puledro
come su un cocchio, per dare un segno alle genti, o Salvatore; e così il
diletto Israele ti offre una lode, dalla bocca di lattanti e di bimbi innocenti
che ti vedono entrare, o Cristo, nella città santa, sei giorni prima della
pasqua”. I sei giorni prima della pasqua sono elemento tipico della lettura
giovannea, che pone la morte del Signore la vigilia della pasqua di quell’anno,
a differenza dei sinottici per i quali la morte di Gesù avviene proprio nel
giorno di pasqua. Con audacia ermeneutica, l’ultima strofa del Lucernario
integra la lettura dell’ingresso in Gerusalemme di Giovanni (il brano
evangelico che si legge nella Divina Liturgia) con quella di Marco (il brano
evangelico che si legge nel Mattutino al posto di quello risurrezionale): “Sei
giorni prima della pasqua Gesù venne a Betania, e gli si avvicinarono i suoi
discepoli per dirgli: “Signore, dove vuoi che ti prepariamo per mangiare la
pasqua? Ed egli li mandò: Andate nel villaggio di fronte e troverete un uomo
che porta una brocca d’acqua; seguitelo, e dite al padrone di casa: il Maestro
dice: da te farò la pasqua insieme ai miei discepoli”.
È così che
l’ingresso in Gerusalemme di Gesù, che per chi lo sa vedere e accogliere ha un
carattere trionfale mentre per chi ha il cuore indurito è scandaloso e
addirittura ridicolo, oltre all’intronizzazione del Re simboleggia la
preparazione dell’Agnello per l’immolazione, come si evince da due delle tre
letture che si leggono al Vespero. Nella prima (Gn 49, 1-2; 8-12) Giacobbe
raduna attorno a sé i suoi figli e dice loro: “…Non sarà tolto lo scettro da Giuda né il bastone del comando tra i
suoi piedi, finché verrà colui al quale esso appartiene e a cui è dovuta
l’obbedienza dei popoli. Egli lega alla vite il suo asinello e a scelta vite il
figlio della sua asina, lava nel vino la veste e nel sangue dell’uva il manto;
lucidi ha gli occhi per il vino e bianchi i denti per il latte….”. La
seconda lettura (So. 3, 14-20) è un canto di gioia per il ritorno degli
esiliati, per la consolazione del piccolo resto di Israele, un annuncio della
imminente vittoria sul male, la celebrazione del Salvatore: “Gioisci, figlia di Sion, esulta, Israele, e
rallegrati con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme! Il Signore ha revocato la
tua condanna, ha disperso il tuo nemico. Re d’Israele è il Signore in mezzo a
te, tu non vedrai più la sventura. In quel giorno si dirà a Gerusalemme: «Non
temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia! Il Signore tuo Dio in mezzo a te
è un salvatore potente. Esulterà di gioia per te, ti rinnoverà con il suo
amore, si rallegrerà per te con grida di gioia, come nei giorni di festa».
… La terza lettura (Zc 9, 9-15) è una profezia messianica: “Esulta grandemente figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme!
Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un
asino, un puledro figlio d’asina. Farà sparire i carri da Efraim e i cavalli da
Gerusalemme, l’arco di guerra sarà spezzato, annunzierà la pace alle genti, il
suo dominio sarà da mare a mare e dal fiume ai confini della terra. Quanto a
te, per il sangue dell’alleanza con te, estrarrò i tuoi prigionieri dal pozzo
senz’acqua...”. Durante la processione rogazionale, mentre i celebranti e i
fedeli si portano nel luogo convenuto, si cantano alcune strofe, nella prima
delle quali “lo Spirito Santo, come insegnò agli apostoli a parlare lingue
sconosciute, così ispira i fanciulli a cantare: Osanna nel più alto dei cieli,
benedetto colui che viene come Re di Israele!”. Una strofa successiva considera
l’incomprensibilità dell’economia divina: “Il Figlio e Verbo di Dio, colui che
condivide l’eternità col Padre, oggi viene seduto su un asino senza ragione nella
città di Gerusalemme; colui che i Cherubini non osano guardare, è celebrato da
fanciulli con rami di palma”. In una duplice antinomia, Dio si fa incontro
all’uomo, non esita a cavalcare una bestia senza ragione, simbolo della
razionalità che vince l’irrazionale idolatria delle nazioni pagane, e colui che
suscita rispetto e timore nelle schiere angeliche si lascia festeggiare dai
bambini, che nella società del tempo erano davvero i meno considerati. D’altra
parte le palme prefigurano la vittoria della risurrezione, mentre “il Signore
entra nella città santa, affrettandosi a camminare verso la sua passione, per
compiere la Legge e i Profeti”. Ora la divina economia si rivela in tutta la
sua cruda realtà, e il fine è la nostra salvezza: “Gloria a te, o Cristo, che
siedi nel più alto dei cieli e ora sei atteso con la tua venerabile Croce; la
figlia di Sion si rallegra, i popoli della terra esultano di gioia, i fanciulli
impugnano rami di palme, i discepoli stendono i loro mantelli, e tutto
l’universo impara a cantare: Benedetto sei tu, o Salvatore, abbi pietà di noi”.
Nelle strofe che si cantano alla conclusione del Vespero si riprende la
profezia di Zaccaria: “Gioisci e rallegrati, città di Sion, tripudia ed esulta,
chiesa di Dio”, ma anche quella di Isaia: “tu che cavalchi i cherubini e sei
celebrato dai serafini, sei montato su un asinello alla maniera di Davide, o
buono” e si ribadisce che “sedendo su un asinello, prefiguravi il passaggio
delle genti indomabili dall’incredulità alla fede”. Oggi c’è un secondo
tropario, in aggiunta a quello già riportato in precedenza, che conclude
l’ufficio del Vespero, e che unisce il tema della risurrezione a quello
battesimale (durante la divina liturgia celebrata il sabato, commemorando la
risurrezione di Lazzaro, sono stati celebrati anche i battesimi): “consepolti
con te per il battesimo, o Cristo Dio nostro, per la tua risurrezione siamo
stati resi degni della vita immortale”.
Ragazzi copti nella Domenica delle palme
Al Mattutino,
dopo la prima lettura del Salterio, una strofa ricollega la festa oggi celebrata
al cammino di preparazione quaresimale e al compimento di tutto: “Con rami di
palme spirituali, con l’anima purificata, come i fanciulli esaltiamo con fede
Cristo, acclamando a gran voce il Sovrano: Benedetto tu, che sei venuto nel
mondo per salvare Adamo dall’antica maledizione, divenendo il nuovo Adamo
spirituale, o amico degli uomini, secondo il tuo beneplacito. O Verbo che tutto
disponi per il bene, gloria a te!”. Dopo il canto del Polyeleos (Salmi 134 e
135), l’icona della festa, posta al centro della chiesa, viene incensata e
venerata attraverso una danza rituale dei celebranti che, sincronicamente,
girano intorno all’icona spostandosi su ciascuno dei lati, mentre il coro canta
il Megalinario: “Noi ti magnifichiamo, o Cristo che doni la vita, e ti
cantiamo: Osanna nel più alto dei cieli, benedetto colui che viene nel nome del
Signore”, intercalato da un florilegio di versetti salmici che, per il loro
contenuto, sono legati alla festa. Il tropario che segue sembra quasi esprima
l’impazienza di giungere al compimento: “Affrèttati, Figlio di Davide, a
salvare coloro che hai plasmato, o Gesù benedetto! Per questo infatti sei
venuto, affinché conoscessimo la tua gloria”.
Al posto del
vangelo risurrezionale (che si legge dall’altare), oggi si legge dal centro
della chiesa, davanti all’icona della festa, la versione di Matteo (Mt 21,
1-17) dell’ingresso di Gesù in Gerusalemme:
Quando furono vicini a Gerusalemme e
giunsero presso Bètfage, verso il monte degli Ulivi, Gesù mandò due dei suoi
discepoli dicendo loro: “Andate nel villaggio che vi sta di fronte: subito
troverete un’asina legata e con essa un puledro. Scioglieteli e conduceteli a
me. Se qualcuno poi vi dirà qualche cosa, risponderete: Il Signore ne ha
bisogno, ma li rimanderà subito”. Ora questo avvenne perché si adempisse ciò
che era stato annunziato dal profeta: Dite alla figlia di Sion: Ecco, il tuo re
viene a te mite, seduto su un’asina, con un puledro figlio di bestia da soma. I
discepoli andarono e fecero quello che aveva ordinato loro Gesù: condussero
l’asina e il puledro, misero su di essi i mantelli ed egli vi si pose a sedere.
La folla numerosissima stese i suoi mantelli sulla strada mentre altri
tagliavano rami dagli alberi e li stendevano sulla via. La folla che andava
innanzi e quella che veniva dietro, gridava: Osanna al figlio di Davide!
Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nel più alto dei cieli!
Entrato Gesù in Gerusalemme, tutta la città fu in agitazione e la gente si
chiedeva: “Chi è costui?”. E la folla rispondeva: “Questi è il profeta Gesù, da
Nazaret di Galilea”. Gesù entrò poi nel tempio e scacciò tutti quelli che vi
trovò a comprare e a vendere; rovesciò i tavoli dei cambiavalute e le sedie dei
venditori di colombe e disse loro: “La Scrittura dice: La mia casa sarà
chiamata casa di preghiera ma voi ne fate una spelonca di ladri”. Gli si
avvicinarono ciechi e storpi nel tempio ed egli li guarì. Ma i sommi sacerdoti
e gli scribi, vedendo le meraviglie che faceva e i fanciulli che acclamavano
nel tempio: “Osanna al figlio di Davide”, si sdegnarono e gli dissero: “Non
senti quello che dicono?”. Gesù rispose loro: “Sì, non avete mai letto: Dalla
bocca dei bambini e dei lattanti ti sei procurata una lode?”. E, lasciatili,
uscì fuori dalla città, verso Betània, e là trascorse la notte”.
Dopo la
proclamazione del brano evangelico, il celebrante recita la preghiera per la
benedizione delle palme da distribuire. L’eucologio Barberini gr. 336, il più
antico testimone delle preghiere della liturgia bizantina risalente all’VIII
secolo, contiene due varianti di questa preghiera, la prima delle quali è
grossomodo quella rimasta nell’uso comune: “Signore nostro Dio, assiso sui
cherubini, che hai risvegliato la tua potenza e hai mandato il tuo unigenito
Figlio e nostro Signore Gesù Cristo per salvare il mondo per mezzo della croce,
della sepoltura e della risurrezione; venuto egli a Gerusalemme per la
volontaria passione, il popolo che abitava nelle tenebre e nell’ombra di morte,
prendendo rami di alberi di palme, simboli di risurrezione, annunciava la
risurrezione. Tu stesso, Signore, proteggi anche noi che imitandoli, in questo
giorno che inaugura le festività pasquali, rechiamo nelle mani palme e rami di
alberi, e, allo stesso modo di quella folla e di quei bambini, a te offriamo
l’Osanna, così che con salmi, inni e cantici spirituali, siamo fatti degni
della vivificante risurrezione il terzo giorno”. Interessante anche la variante
di questa preghiera, forse meno sviluppata teologicamente ma con un maggior
numero di riferimenti biblici: “ Signore nostro Dio, onnipotente, al tempo del
giusto Noè tu hai reso l’arca simbolo della Chiesa, e nella colomba che recava
un ramoscello di ulivo hai prefigurato la venuta dello Spirito Santo. I bambini
ebrei hanno dato compimento a questo passo, e ti vennero incontro con rami di
ulivo e di palma, gridando e dicendo: “Osanna nell’alto dei cieli, benedetto
colui che viene nel Nome del Signore, osanna nell’alto dei cieli! Anche noi,
tuoi servi, gridiamo ed esclamiamo: Osanna! Benedetto colui che viene e che di
nuovo verrà a giudicare con giustizia, con il Padre e lo Spirito Santo, ora e
sempre, e nei secoli dei secoli”. A questo punto, come ogni domenica, i fedeli
si recano al centro della chiesa per la venerazione dell’Evangeliario, dove ricevono,
al posto dell’unzione, un ramo di ulivo. Inizia quindi il canto del canone,
opera di san Cosma vescovo di Maiuma, città della Palestina, vissuto nella
prima metà dell’VIII secolo. Il testo, estremamente sintetico dal momento che
ogni ode ha solo dai tre ai quattro tropari, è quasi interamente costituito da
citazioni scritturistiche: sarebbe bello elencarle, ma il loro numero
renderebbe davvero improbo qualsiasi tentativo di lettura, dato che sono circa
100 in soli 28 tropari! Ci limiteremo quindi ad evidenziare solo alcuni temi
per poter assaporare la grande qualità della composizione. “Dalla bocca dei
bambini e dei lattanti hai fatto salire la lode dei tuoi servi, che ti sei
composta per abbattere l’avversario e riscattare, con la passione della Croce
la caduta dell’antico Adamo, e far risorgere, mediante un albero, Adamo che ti
canta l’inno di vittoria, o Signore”. “La chiesa dei tuoi santi ti offre una
lode, o Cristo che abiti in Sion; in te, suo Creatore, si rallegra Israele, e i
monti, figura delle genti dal cuore di pietra, al tuo cospetto hanno esultato”.
“Il popolo di Israele bevve alla dura roccia da cui sgorgava l’acqua per un tuo
comando: ma la roccia sei tu, o Cristo, e la vita, e su questa pietra è stata
consolidata la Chiesa”. “Il re dei secoli, il Signore, verrà rivestito di
potenza: in Sion è l’incomparabile bellezza del suo splendore e della sua
gloria”. Il Signore è qui, colui che ha misurato cielo e terra col palmo della
mano: egli infatti ha eletto Sion per abitare in essa, e ha scelto si regnare
sul popolo che acclama con fede: Gloria, Signore, alla tua potenza”. “Sali sul
monte, tu che rechi la buona novella a Sion, e tu che dai l’annuncio a
Gerusalemme, alza con forza la voce: cose gloriose sono state dette di te,
città di Dio. Pace su Israele e salvezza alle genti”. “Sion, monte santo di
Dio, leva intorno gli occhi e guarda, o Gerusalemme, e vedi i figli radunati in
te: ecco, sono venuti da lontano per adorare il tuo re”. “Gli spiriti dei
giusti gridarono di gioia: ora si conclude col mondo una nuova alleanza, il
popolo si rinnova con l’aspersione del sangue divino”. “Cavalcando un giovane
asinello, giunge a te il tuo re, o Sion, il Cristo. È venuto ad annientare
l’irrazionale seduzione degli idoli, e a domare l’indomabile impeto di tutte le
genti”. “Cristo giunge mite e per salvare, seduto su un asinello, il giusto
Redentore nostro, per abbattere la tracotanza equina del nemico”. “L’iniquo
sinedrio degli increduli è escluso dalla cinta divina, perché ha fatto della
casa di preghiera di Dio una spelonca di ladri, cacciando dal loro cuore il
Redentore”. “Egli è Dio, nessuno è pari a lui. Egli ha scrutato ogni via giusta
e l’ha data a Israele, suo diletto; poi ha vissuto con gli uomini e si è fatto
vedere”. “Perché, o ribelli, ponete inciampi sulla via? Sono veloci i vostri
piedi per versare il sangue del Sovrano! E tuttavia egli risorgerà, per salvare
quanti acclamano: Benedetto colui che viene nel nome del Signore, nostro
Salvatore”.
L’ipakoi, che
si canta dopo la terza ode, guarda con timore al peccato all’ingratitudine
dell’uomo: “Prima lo acclamano con le palme, poi lo catturano con i bastoni”,
ma prosegue con fiducia: “ma con fede immutabile gridiamo incessantemente:
Benedetto sei tu che vieni per richiamare Adamo dall’esilio”.
L’ikos che
segue il kontakion rilegge l’episodio della strage degli innocenti in chiave
pasquale: “I bambini ti esaltavano con palme, o Cristo, come vincitore perché
hai legato l’ade, o immortale, ucciso la morte e risuscitato il mondo. Essi
dicono: I bimbi non saranno più sgozzati per il bimbo di Maria, perché per
tutti, bimbi e vecchi, tu solo sarai crocifisso. La spada non si volgerà più
contro di noi, perché il tuo fianco sarà trafitto dalla lancia”. Il sinassario
si conclude dicendo: “nella tua ineffabile misericordia, o Cristo Dio nostro,
rendici vincitori delle passioni irrazionali, e facci degni di vedere la tua
splendida vittoria contro la morte, la tua luminosa e vivificante
risurrezione”.
Bergamo, Accademia Carrara, il Cristo Sposo della Chiesa
In una strofa
delle Lodi si sottolinea il tema dello Sposo (sarà quello dominante nei primi
giorni della Settimana Santa): “Uscite, genti, uscite, popoli, contemplate oggi
il Re dei cieli che si avvicina a Gerusalemme su un povero asinello come su un
trono eccelso. Generazione adultera e incredula dei giudei, vieni e contempla
colui che vide Isaia, venuto per noi nella carne. Vedi come egli sposa la nuova
Sion quale sposa casta, e respinge la sinagoga riprovata. Come a nozze senza
macchia né corruzione, accorrono acclamanti i fanciulli senza macchia e ignari
del male: con loro anche noi acclamiamo, cantando l’inno angelico: Osanna nel
più alto dei cieli, a colui che possiede la grande misericordia”.
La pericope
evangelica cantata durante la Divina Liturgia è Gv 12, 1 -18:
Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a
Betània, dove si trovava Lazzaro, che egli aveva risuscitato dai morti. E qui
gli fecero una cena: Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali. Maria
allora, presa una libbra di olio profumato di vero nardo, assai prezioso,
cosparse i piedi di Gesù e li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si
riempì del profumo dell’unguento. Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi
discepoli, che doveva poi tradirlo, disse: “Perché quest’olio profumato non si
è venduto per trecento denari per poi darli ai poveri?”. Questo egli disse non
perché gl’importasse dei poveri, ma perché era ladro e, siccome teneva la
cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro. Gesù allora disse: “Lasciala
fare, perché lo conservi per il giorno della mia sepoltura. I poveri infatti li
avete sempre con voi, ma non sempre avete me”. Intanto la gran folla di Giudei
venne a sapere che Gesù si trovava là, e accorse non solo per Gesù, ma anche
per vedere Lazzaro che egli aveva risuscitato dai morti. I sommi sacerdoti
allora deliberarono di uccidere anche Lazzaro, perché molti Giudei se ne
andavano a causa di lui e credevano in Gesù. Il giorno seguente, la gran folla
che era venuta per la festa, udito che Gesù veniva a Gerusalemme, prese dei
rami di palme e uscì incontro a lui gridando: Osanna! Benedetto colui che viene
nel nome del Signore, il re d’Israele! Gesù, trovato un asinello, vi montò
sopra, come sta scritto: Non temere, figlia di Sion! Ecco, il tuo re viene,
seduto sopra un puledro d’asina. Sul momento i suoi discepoli non compresero
queste cose; ma quando Gesù fu glorificato, si ricordarono che questo era stato
scritto di lui e questo gli avevano fatto. Intanto la gente che era stata con
lui quando chiamò Lazzaro fuori dal sepolcro e lo risuscitò dai morti, gli
rendeva testimonianza. Anche per questo la folla gli andò incontro, perché
aveva udito che aveva compiuto quel segno”.
La domenica
sera, durante il Vespero, viene ripreso il tema del Cristo Sposo, citando il
profeta Osea: “Sinagoga malvagia e adultera che non hai serbato fedeltà al tuo
sposo, perché tieni un testamento di cui non sei l’erede? Perché ti vanti nel
Padre, tu che hai disonorato il Figlio? Non hai accettato i profeti che hanno
annunciato il Figlio; ma allora vergognati, sentendo i tuoi figli acclamare:
Osanna al figlio di Davide, benedetto colui che viene nel nome del Signore”.
Ora siamo
proprio sulla soglia: la settimana santa sta per iniziare, siamo portati a
contemplare la manifestazione più profonda dell’amore folle di Dio: “Dalle
palme e dai rami, quasi passando da una festa divina all’altra, corriamo, o
fedeli, alla venerabile solennità salvifica dei patimenti del Signore:
contempliamolo mentre volontariamente si assoggetta per noi alla passione e dà
la sua vita in riscatto di tutto l’universo. Cantiamogli grati un inno
melodioso, acclamando: O fonte di misericordia e porto di salvezza, Signore,
gloria a te!”.
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