sabato 27 aprile 2013

Dal Discorso IX sulle Palme di sant’Andrea vescovo di Creta



Dal Discorso IX sulle Palme
di sant’Andrea vescovo di Creta

PG 97, 990-994

 
 

Venite, e saliamo insieme sul monte degli Ulivi, e andiamo incontro a Cristo che oggi ritorna da Betània e si avvicina spontaneamente alla venerabile e beata passione, per compiere il mistero della nostra salvezza.

Viene di sua spontanea volontà verso Gerusalemme. È disceso dal cielo, per farci salire con sé lassù al di sopra di ogni principato e autorità, di ogni potenza e dominazione e di ogni altro nome che si possa nominare (Ef 1, 21). Venne non per conquistare la gloria, non nello sfarzo e nella spettacolarità, Non contenderà, dice, né griderà, né si udrà sulle piazze la sua voce (Mt 12, 19). Sarà mansueto e umile, ed entrerà con un vestito dimesso e in condizione di povertà.

Corriamo anche noi insieme a colui che si affretta verso la passione, e imitiamo coloro che gli andarono incontro. Non però per stendere davanti a lui lungo il suo cammino rami d’olivo o di palme, tappeti o altre cose del genere, ma come per stendere in umile prostrazione e in profonda adorazione dinanzi ai suoi piedi le nostre persone. Accogliamo così il Verbo di Dio che si avanza e riceviamo in noi stessi quel Dio che nessun luogo può contenere. Egli, che è la mansuetudine stessa, gode di venire a noi mansueto. Sale, per così dire, sopra il crepuscolo del nostro orgoglio, o meglio entra nell’ombra della nostra infinita bassezza, si fa nostro intimo, diventa uno di noi per sollevarci e ricondurci a sé.

Egli salì verso oriente sopra i cieli dei cieli (cfr. Sal 67, 34) cioè al culmine della gloria e del suo trionfo divino, come principio e anticipazione della nostra condizione futura. Tuttavia non abbandona il genere umano perché lo ama, perché vuole sublimare con sé la natura umana, innalzandola dalle bassezze della terra verso la gloria. Stendiamo, dunque, umilmente innanzi a Cristo noi stessi, piuttosto che le tuniche o i rami inanimati e le verdi fronde che rallegrano gli occhi solo per poche ore e sono destinate a perdere, con la linfa, anche il loro verde. Stendiamo noi stessi rivestiti della sua grazia, o meglio, di tutto lui stesso poiché quanti siamo stati battezzati in Cristo, ci siamo rivestiti di Cristo (cfr. Gal 3, 27) e prostriamoci ai suoi piedi come tuniche distese.

Per il peccato eravamo prima rossi come scarlatto, poi in virtù del lavacro battesimale della salvezza, siamo arrivati al candore della lana per poter offrire al vincitore della morte non più semplici rami di palma, ma trofei di vittoria. Agitando i rami spirituali dell’anima, anche noi ogni giorno, assieme ai fanciulli, acclamiamo santamente: Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele.

Diciamo anche a noi a Cristo, diciamogli: Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il Re d’Israele. Protendiamo verso di lui, a guisa di rami di palma, le ultime parole sulla croce. Seguiamolo in letizia non con i ramoscelli di ulivo, ma con la gioia fraterna che deriva dalla carità prestata a chi ne ha bisogno.

Stendiamo al suo passaggio a mo’ di mantelli i desideri del nostro cuore, perché volgendo i suoi passi verso la nostra dimora, diventi tutto nostro e gradisca l’offerta totale di noi e con noi rimanga. Ripetiamo a Sion quel messaggio profetico: Abbi fiducia, figlia di Sion, non temere: Ecco, a te viene il tuo re, umile, cavalca su un’asina (Zc 9, 9).

Viene colui che è presente in ogni luogo e riempie ogni realtà; viene, dico, per compiere in te la salvezza di tutti. Viene colui il quale non è venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori a convertirsi (cf Lc 5, 32), per richiamarli dalla vie del peccato. Non temere. Vi è Dio in mezzo a te: non potrai vacillare (cf Sal 45, 6) accogli con le braccia aperte lui che nelle sue mani ha segnato la linea delle tue mura. Accogli lui che con le sue mani ha fondato le tue stesse fondamenta. Accogli colui che in sé accolse tutto ciò che è proprio della natura umana, fuorché il peccato. Rallegrati, o città-madre, Sion; non temere. Celebra la tua festa (Na 2, 1). Glorifica per la sua misericordia colui che in te viene a noi.

Ma anche tu, figlia di Gerusalemme, gioisci vivamente. Sciogli il tuo canto, muovi il passo alla danza. Con le parole di Isaia, quel sacro vate, esclamiamo: Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria dei Signore brilla sopra di te (Is 60, 1).

Ma quale luce? Quella che illumina ogni uomo (Gv 1, 9) che viene nel mondo. Voglio dire la luce eterna, la luce senza tempo e donata nel tempo: la luce che si è manifestata nella carne mentre per natura è occulta; la luce che avvolse i pastori e ai Magi fu guida nel cammino; la luce che era nel mondo fin dal principio e per la quale è stato fatto il mondo; e tuttavia il mondo non la conobbe; la luce che venne in casa sua, ma i suoi non l’hanno accolta.

La gloria del Signore accogli: quale gloria? Senza dubbio, la croce sulla quale Cristo è stato glorificato; lui, dico, che è lo splendore della gloria paterna come egli stesso ebbe ad asserire nell’imminenza della sua Passione: Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e anche Dio è stato glorificato in lui e lo glorificherà subito (Gv 13, 31-32). Il Signore chiama qui gloria il suo innalzamento sulla croce. La croce di Cristo, infatti, è gloria, ed è la sua esaltazione. Ecco perché egli dice: Io, quando sarò elevato, attirerò tutti a me (Gv 12, 32).

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