Dall’Ad
Ecclesiam di Salviano di Marsiglia
(Eccl,
1,5,24.26-27; 3,1,3-5; 4,4,19-22)
Nessun
uomo degno di questo nome – ritengo – dubita che tutti i beni siano un dono
elargito da Dio a tutti (…). Se Dio dispensa dunque tutto a noi, non v’è dubbio
che dobbiamo rapportare al suo culto quanto ricevuto in dono da lui, mettere al
suo servizio quanto ottenuto dalla sua generosità (…). Noi siamo solo
usufruttuari delle cose che abbiamo: le usiamo come beni datici in prestito dal
Signore, costituendone – per così dire – i proprietari momentanei. A conti
fatti, quando usciremo da questo mondo, dovremo lasciare, volenti o nolenti,
tutto qui. Perché, dunque, essendo usufruttuari, tentiamo di sottrarre, di
alienare al Signore la proprietà di ciò che non potremo portare con noi? (…)
Cosa
c’è di più giusto, di più onesto, che un bene, una volta separato dal suo
usufruttuario, ritorni in possesso di chi gliene aveva concesso l’uso? Questo,
d’altronde, ci ordina tramite le parole delle Sacre Scritture la voce stessa di
Dio, che dice a ciascuno di noi: Onora il
Signore con i tuoi averi (Prov 3, 9). E altrove: Paga il tuo debito (Sir 4, 8). (…)
(…)
Il Salvatore afferma nel Vangelo che Dio dà in prestito agli uomini ricchezze e
denaro perché gli vengano restituiti col cumulo degli interessi. Dice al
debitore avaro: Servo malvagio e
infingardo, sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho
sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando,
avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento e datelo a
chi ha dieci talenti (Mt 25, 26-28). E poco dopo: E il servo fannullone gettatelo fuori nelle tenebre: là sarà pianto e
stridore di denti (Mt 25, 30). Questo passo, benché possa riferirsi a un
tema diverso, tuttavia si adatta salutarmente al presente argomento. Poiché è
corretto intendere che i poveri e gli indigenti siano i banchieri del Salvatore
– in quanto il denaro elargito è destinato a moltiplicarsi –, è fuor di dubbio
che quanto si dispensa agli indigenti viene reso a Dio con gli interessi.
Perciò in un altro passo scritturistico ben chiaramente il Signore stesso
ordina ai ricchi di distribuire i beni di questo mondo e di farsi delle borse che non invecchino (Lc 12, 33). Ma
anche attraverso Paolo, il vaso d’elezione
(Atti 9, 15), egli ci insegna che i ricchi ricevono da Dio le ricchezze
perché si arricchiscano di opere buone (cf. 1Tim 6, 17s). Pertanto (…) ritengo
che il primo e più salutare dovere religioso per un cristiano ricco è di
dispensare, vita natural durante, i beni di questo mondo nel nome e in onore di
Dio; il suo secondo dovere è di elargire tutto almeno in punto di morte, se per
caso ne è stato impedito da timore, da malattie, o da qualche altra necessità.
“Ma
Dio”, dici tu, “non ha bisogno del nostro rimborso!”. Niente di meno vero! (…)
Egli non ne ha certo bisogno in se stesso, ma ne ha bisogno in molti uomini
(…). Cosa dice Dio a quanti donano con pia generosità? Venite benedetti, possedete il regno del Padre mio preparato per voi
sin dalla fondazione del mondo. Poiché ho avuto fame e mi avete dato da
mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere (Mt 25, 34s). (…) E perché tali parole non sembrino forse
inadeguate all’argomento che sto trattando, egli presenta, in aggiunta, la
situazione opposta, e dice agli avari e ai miscredenti: Andate, maledetti, nel fuoco eterno preparato dal Padre mio per il
diavolo e per i suoi angeli. Poiché ho avuto fame e non mi avete dato da
mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere (Mt 25, 41s).
Dove
sono quelli che replicano che il Signore Gesù Cristo non ha bisogno dei nostri
doni? Egli stesso afferma di avere fame, e sete, e freddo. Mi dica uno
qualsiasi di loro se non è bisognoso chi si lamenta di avere fame, se non è bisognoso
chi si lamenta di avere sete. Quanto a me, dirò di più: Cristo non soltanto è
bisognoso come gli altri, ma è bisognoso più degli altri. Nella massa dei
poveri la povertà presenta aspetti differenti da caso a caso: alcuni non hanno
di che coprirsi, pur avendo di che nutrirsi; molti non hanno dove ricoverarsi,
anche se hanno di che vestirsi; molti non hanno casa, ma hanno di che
sostentarsi (…) Cristo solo è assolutamente privo di ciò che non manca nell’intero
genere umano. Se uno dei suoi servi è esiliato, o è intormentito dal freddo perché
nudo, Cristo soffre con lui. Egli è il solo ad essere affamato con chi ha fame,
assetato con chi ha sete. Pertanto, riferendoci alla sua pietà, il Signore è
più indigente di tutti gli altri. Chi è nel bisogno soffre per sé soltanto e in
se stesso: solo il Cristo è colui che mendica in tutti i poveri.
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