La chiesa di “san Michele al pozzo
bianco”
Le prime prove
documentate dell’esistenza di questa chiesa risalgono al 774 e si trovano nel
famoso “testamento di Taidone”, nel quale sono riportati tutti i lasciti che
questo personaggio longobardo destinò alle varie chiese della città, tra le
quali la “Basilica di S. Arcangelo Michele fuori le mura della città di
Bergamo”. Essa, quindi, esisteva certamente prima di quella data, cosa che fa
di questa stupenda, piccola chiesa una tra le più antiche di Bergamo, se non la
più antica in assoluto. Il ritrovamento nella zona di una lapide dedicata a
Vulcano porrebbe far pensare a un preesistente tempio pagano, sul quale forse
fu edificata la chiesa originaria, che corrisponderebbe all’attuale cripta o
“scurolo”. Pare ormai certo che la consacrazione della chiesa sia avvenuta
nell’801 ad opera del Vescovo di Reims. In alcuni documenti del 905 troviamo,
per la prima volta, l’appellativo “del Pozzo Bianco”, del quale sono state
molte ipotetiche spiegazioni, ovviamente tutte legate alla presenza dell’acqua
nelle vicinanze.
Una pietra
circolare posta alla base del sagrato indica il luogo dove sorgeva l’antico
pozzo, detto “Bianco” per il colore dell’anello di pietra che ne circondava la
bocca. Prima della costruzione delle mura venete, questa chiesa era a capo di
una “vicinia” che si estendeva oltre l’attuale tracciato delle mura; fu parrocchia per
molti anni e solo nel 1805 venne definitivamente annessa alla Parrocchia di
Sant’Andrea Apostolo. L’attuale struttura non è quella originale, di cui
rimangono probabilmente solo parte della cripta, del muro esterno ad archetti
romanici e poco altro, ma risale al quattrocento e ha subito nei secoli
numerose modifiche: nel 1901 furono eliminate alcune aggiunte di epoca barocca,
tra cui un altare posto nella seconda campata di destra, mentre nel 1915 venne
eseguita la facciata in pietra viva, in stile lombardo, che vediamo ancora
oggi. Nel 1928 furono restaurati gli affreschi di Lorenzo Lotto posti nella
cappella di sinistra mentre i lavori eseguiti negli anni 1941-42 portarono alla
luce molti altri dipinti, sia nella Chiesa che nella Cripta. La facciata, così
come si presenta ora, risale agli inizi di questo secolo. Precedentemente il
suo aspetto, come quello del caratteristico sagrato in pendenza, era molto
diverso. A fianco della chiesa si trova la “Casa del Vicario”, nella quale
aveva sede la Corporazione di San Michele. Gli affreschi cinquecenteschi che si
vedono sulla facciata sono molto deteriorati, nonostante i numerosi interventi di
restauro ai quali sono stati sottoposti nell’ultimo secolo. Si può ancora
vedere una Madonna in trono, molto bella, che denota un accurato studio della
prospettiva, cosa che ha fatto pensare a qualche studioso ad un’influenza
bramantesca; ancora in parte visibile è un San Cristoforo, mentre a fatica si
possono identificare San Martino che divide il mantello col povero e S. Carlo
che dà l’Eucaristia a S. Luigi Gonzaga. La presenza della figura di San
Cristoforo sulle pareti esterne delle chiese, soprattutto di quelle poste su
grandi vie di comunicazione, era molto frequente, essendo il santo protettore
dei viandanti. La casa, di proprietà della famiglia Bonghi, nella quale abitò
intorno al 1520 Lorenzo Lotto, autore di stupendi lavori in questa chiesa, era
situata nel vicoletto a destra della scaletta ed è ora in parte inglobata nel
vicino pensionato delle suore Orsoline di Gandino. I lavori di abbattimento
della scaletta e di chiusura del vicolo ebbero inizio il 17 maggio 1909. Alla
chiesa si accede attraverso un androne, all’interno del quale si può notare,
sistemato in un’edicola, un affresco quattrocentesco raffigurante una Madonna
col Bambino. La chiesa è a pianta rettangolare, con un perimetro non
perfettamente regolare; la navata è divisa in tre campate da due ampi arconi
ogivali quattrocenteschi aggiunti a strutture preesistenti, che sostengono il
tetto a capanna a travi di legno; la pavimentazione è in cotto. Ci sono tre
cappelle di testa di cui quella centrale, con volta a crociera, ha dimensioni doppie
rispetto alle due laterali; tutte e tre sono rialzate rispetto al pavimento e
chiuse da inferriate seicentesche. A quella principale si accede attraverso tre
gradini e da due finestrelle poste lateralmente a questi si può intravedere
l’interno della cripta sottostante raggiungibile tramite una scala posta nella
seconda campata di sinistra. Una scala parallela, ora scomparsa, collegava alla
cripta anche la seconda campata di destra, dove fino al 1901 si trovava
l’altare barocco ora nello scurolo. La porta che si trova nella terza campata
di sinistra immette nella sagrestia, composta da tre vani che corrono paralleli
alla parete sinistra della chiesa. La porta difronte conduce a un locale
longitudinale adibito a ripostiglio. L’altare rivolto al popolo e posto alla
base della cappella centrale reca sul fronte un paliotto barocco di legno
dorato dello stesso stile dell’altare principale. Questa chiesa è un vero e
proprio scrigno: contiene alcuni tra gli affreschi più antichi della nostra
provincia e altre opere d’arte. Gli amanti dell’arte la considerano
un’eccezionale lezione di storia della pittura nella nostra città, dai
primissimi anni del ‘200 fino alla fine del ‘500. Nel lato inferiore l’affresco
è delimitato da un fregio composto da festoni di frutta e figure di angeli
musicanti, tipicamente rinascimentali. Il quadro di destra mostra una
raffigurazione inconsueta, che vede la presenza contemporanea della Madonna in
trono col Bambino e del Crocifisso; a destra c’è la figura di S. Antonio da
Padova. Scendendo la scala che si trova nella seconda campata di sinistra si
accede allo scurolo dedicato a San Cristoforo, che veniva solennemente
festeggiato, fino ai primi anni del ‘900, il 7 gennaio di ogni anno.
Alcune parti
dello scurolo appartengono con ogni probabilità all’antica originaria chiesa
che ha subito molti rimaneggiamenti nel corso dei secoli, come dimostrano il
vano che si intravede da una piccola apertura a destra della scala e la colonna
con capitello, che sono parte della struttura più antica. A sinistra della scala si
trova un vano rettangolare con un unico affresco, del tardo Quattrocento, con
tre figure femminili: si tratta di S. Margherita, S. Apollonia e S. Lucia. Non
se ne conosce con certezza l’autore, anche se alcuni studiosi ipotizzano possa
trattarsi dello stesso artista che dipinse nel 1496 il San Donnino sul primo
pilastro di sinistra della chiesa superiore e nel 1499 il grande trittico sulla
parete di fondo del vano centrale di questo scurolo. In fondo al corridoio,
all’ingresso della scala chiusa intorno al 1798 per dare spazio all’altare in
onore della Madonna del Buon Consiglio, é stato creato un “sacrario” in pietra,
dove veniva smaltita l’acqua benedetta. Il vano minore, detto “nicchione”, è un
vano a nicchia con volta a botte rimaneggiato nel 1400 su una struttura
preesistente, di cui rimane qualche traccia. La Madonna in trono col Bambino
che vediamo sulla parete di fondo, a sinistra della finestra murata, e il San
Cristoforo posto a destra della stessa finestra, affreschi degli inizi del ‘200
attribuiti al Maestro di Sant’Anna Metterza, sono certamente tra le più antiche
opere presenti sul territorio della bergamasca. Caratteristica è la posizione
del Bambino, che siede a gambe incrociate, cosa inconsueta nell’iconografia del
tempo. Troviamo la stessa posizione del Bambino nella chiesa di S. Giorgio ad
Almenno, proprio nell’immagine conosciuta come “Santa Anna Metterza”. Il
secondo affresco raffigura San Cristoforo che cammina nell’acqua reggendo sulla
spalla il Bambino. Il Santo è riccamente vestito, ha una corona in testa e
intorno ai suoi piedi, immersi in un corso d’acqua di cui il pittore ha saputo
cogliere la trasparenza, vediamo addirittura nuotare i pesci. Gli altri
affreschi, della fine del ‘400 – inizio ‘500, sono in onore di San Girolamo,
dottore della Chiesa, che troneggia nella parete di fondo seduto in cattedra e
in abito cardinalizio, anche se il Santo rifiutò, in realtà, il titolo di
cardinale. La volta a botte è completamente affrescata; al centro vi é un
Cristo sul sepolcro e, alla base, gli altri tre grandi santi dottori, Ambrogio,
Agostino, Gregorio, con S. Nicola da Bari. Curioso l’atteggiamento di Ambrogio,
che si sta sistemando gli occhiali. Sulle pareti laterali troviamo, di diverso
autore, scene della vita di Girolamo: il santo nel deserto, una tentazione e
una religiosa inginocchiata davanti a un altare su cui è posto un quadro del
Santo. Ogni affresco del nicchione è delimitato da fasce riccamente decorate e
da finte lesene: sulla prima a sinistra è riportato lo stemma dei Carrara. Nel
vano centrale, l’attenzione è subito attratta dal grande trittico che occupa
tutta la parete di fondo, il cui autore potrebbe essere lo stesso che ha
dipinto le tre Sante nel vano rettangolare di questo scurolo e il San Donnino della
chiesa superiore. Al centro spicca un imponente San Cristoforo; ai lati San
Sebastiano e San Rocco. Cristoforo, come nell’affresco duecentesco del
nicchione, traghetta il Bambino Gesù ed è rappresentato, secondo la tradizione,
come un gigante, forte e possente, con la veste rimboccata nella cinta, mentre
trattiene per un piede il Bambino che stringe tra le mani il mondo. Un
cartiglio, ancora abbastanza leggibile, recita: “Ego sum lux mundi ... sum via,
veritas et vita”.
Completano
questo affresco tre tondi, nei quali vediamo Cristo benedicente nella parte
alta della finta ancona e, lateralmente, un’annunciazione, con l’angelo a
sinistra e Maria a destra. I numeri sopra i capitelli dei pilastri compongono
l’anno di esecuzione: 1499. Sulla parete di sinistra vediamo una “Madonna in
trono col Bambino e Santi”, di scuola lombarda. I Santi raffigurati sono, da
sinistra: Donnino (Defendente), Cristoforo, Sebastiano, Giuseppe, Caterina, la
Vergine col Bambino, una santa (Margherita), Rocco, Colombano e Martino che dà
il mantello al povero. Le aureole dei santi sono punteggiate in rilievo. La
data “l514” ritrovata incisa a destra dell’affresco, in basso, pare potersi
riferire a quest’opera. Sulla parete di destra troviamo un altro affresco, con
una Madonna in trono e i santi Rocco e Sebastiano. La figura di S. Antonio è
posteriore e certamente meno bella.
Un’altra
immagine di San Rocco è nascosta dietro l’altare. Nel pavimento sono
incastonate alcune pietre tombali.¹ Nell’anno 1941, quando il Vicario della
chiesa di S. Michele al Pozzo Bianco, Dott. Don G. Carrara, si accinse con
amore ed intelletto a fare col restauratore Cividini ricerche ed assaggi sulle
pareti e sulle volte per rintracciare antichi affreschi, non pensava che tali
ricerche avrebbero portato a risultati ben superiori a quanto si sperava. I
lavori condotti con molta cura e ottimo esito rivelarono infatti, anche se
talora frammentate, opere di vari artisti e di considerevole pregio; una
Annunciazione trecentesca, una Madonna con Santi del secolo XV, un Cristo
risorto con angeli di scuola quattrocentesca lombarda, un S. Michele che
trafigge il drago, gli Evangelisti nelle imposte della crociera del
presbiterio. Ma ad affermare con diretta conoscenza l’esistenza di una più
antica chiesa sotto l’ossatura della quattrocentesca chiesa attuale, gli
assaggi rivelarono la presenza di dipinti precedenti di oltre due secoli, di
netto carattere bizantino, riconfermando così, come appariva dalla cripta colla
scoperta di altri due affreschi di S. Cristoforo e della Vergine col Figlio
pure bizantini, la lontana origine del sacro edificio. Notizie storiche su S.
Michele del Pozzo Bianco risalgono ai tempi dell’Alto Medioevo. Il nome stesso
del Santo a cui la chiesa era dedicata, definisce la sua origine longobarda in
quanto quel popolo nordico era particolarmente devoto all’arcangelo Michele. La
conferma viene appunto dal fatto che un longobardo Taidone, come appare dal
testamento conservato in Biblioteca, lascia nell’anno 774 alcuni suoi beni a
questa chiesa. E se anche si può ammettere che la cripta rivolta ad oriente
possa essere nelle sue fondazioni parte della chiesa originaria, é da pensare
che l’attuale scurolo sia quello sorto nel secolo XII in unione alla chiesa
soprastante rinnovata poi nel secolo XV. Le pitture bizantineggianti qui
riprodotte e che decorano un tratto di muro interno laterale sinistro della
chiesa, con accanto una Madonna col Bambino purtroppo mutilata in parte e una
testa di S. Alberto, raffigurano la Maddalena coi capelli spioventi che interamente
la coprono e una Santa martire vestita di una lunga tunica ornata di bordi al
collo, alle maniche e al piede di riquadrature geometriche policrome a punti
bianchi caratteristiche dell’arte pittorica dei secoli XII e XIII. Ma mentre
nelle figure scoperte nell’anno 1937, tanto nella lunetta della chiesetta di S.
Antonio in Foris di Borgo Palazzo, quanto nei riquadri mistilinei dell’arcone
della Curia antestante alla facciata di S. Maria Maggiore, e ancor più nei
Santi Viatore e Narno affrescati sul fondo della bifora pure scoperta a lato
dell’arcone della Curia, opere queste attribuibili ad una data intorno al 1250,
si notano proporzioni normali, pure impreziosite da ornati decorativi di gusto
primitivo e un disegno d’insieme, pur conservando costante il carattere di
ieraticità, che preannuncia il Trecento, in queste figure di S. Michele al
Pozzo Bianco l’ingenuità della forma, l’accentuata lunghezza dei volti, delle
mani e dei corpi, la rudimentalità dell’impostazione degli atteggiamenti e
delle movenze, rivela un’origine di parecchio più antica. Altri esempi lombardi
analoghi e rappresentativi di quella decadenza della forma che, pur rievocando
il partito ornamentale degli esempi musivi ravennati, segnano la decadenza di
quelle splendide espressioni d’arte, pur mantenendo immutato il valore di
sincera ispirazione religiosa, possono far dedurre che queste pitture datino da
un’epoca che si aggira intorno alla metà del 1100. Se pertanto i tre Santi
della lunetta di S. Antonio in Foris possono essere assegnati, come a
documenti, ai primi anni del 1200 (vedasi cap. IX), si può con attendibilità
presumere che questi avanzi precedano quelli di parecchi decenni costituendo
così l’esempio più antico dell’arte pittorica medioevale cittadina.²
Tratto
da: ¹ Rosella Ferrari Giazzi (testi di), Visitiamo insieme S. Michele al Pozzo
Bianco, 1996. ² Luigi Angelini, “Affreschi bizantini nella chiesa di S. Michele
al Pozzo Bianco”, Cose belle di casa nostra: Testimonianze d’arte e di storia
in Bergamo, Stamperia Conti, Bergamo, 1955, pagg. da 72 a 74.
Dal sito: http://territorio.comune.bergamo.it/
Parrocchia
della diocesi di Bergamo. La prima notizia documentaria relativa a una cappella
nel suburbio di Bergamo dedicata a San Michele risale all’VIII secolo. Nel
testamento del gasindio regio Taido del 774 veniva nominata una "basilice
Beatissimi Sancti archangeli Michaelis foris muro civitate Bergomate"
(Pergamene archivi Bergamo 1988).
Si ha menzione
della chiesa di San Michele in altra fonte più tardiva, risalente al XIV
secolo. Nell’elenco dei rappresentanti delle chiese al sinodo del 1304 era
infatti nominato "presbiter Martinus Sancti Michaelis de puteo albo"
(Chiese di Bergamo sottoposte a censo).
Ulteriore
attestazione della chiesa di San Michele al Pozzo Bianco in città si trova in
una serie di fascicoli che registrano, a partire dal 1360, le taglie e le
decime imposte al clero dai Visconti di Milano e dai papi. Tra di essi,
un’ordinanza di Bernabò Visconti riporta un indice generale ("nota
ecclesiarum") delle chiese e monasteri di Bergamo, per poi specificarne le
rendite e la tassa, nominando di ogni beneficio il titolare. In questa fonte la
chiesa di San Michele risulta "capela civitatis Bergomi".
Dall’attestazione del reddito, si ricava che vi erano censiti due benefici
(Nota ecclesiarum 1360).
In occasione
della visita apostolica dell’arcivescovo di Milano Carlo Borromeo, avvenuta il
23 settembre 1575, presso la parrocchia di San Michele al Pozzo Bianco risultavano
eretti la scuola del Santissimo Sacramento, il consorzio della Vergine e il
consorzio del Corpo di Cristo. Entro la circoscrizione parrocchiale era
compresa la chiesa annessa al monastero di Sant’Agostino, a cui era aggregato
il consorzio di Sant’Orsola. Esistevano inoltre i consorzi della vicinia di San
Michele, contiguo alla parrocchiale, e di San Nicola (Visita Borromeo 1575).
In occasione
della visita pastorale del vescovo Barbarigo, avvenuta tra il 1658 e il 1660,
la parrocchia cittadina di San Michele al Pozzo Bianco risultava godere di un
beneficio dal reddito pari a 80 scudi. In essa erano erette le scuole del
Santissimo Sacramento, dei disciplini e della Dottrina cristiana. Il clero era
costituito a quest’epoca dal solo parroco (Montanari 1997).
Nel Sommario
delle chiese della diocesi di Bergamo, redatto nel 1666 dal cancelliere
Marenzi, presso la parrocchiale cittadina sotto l’invocazione di San Michele
arcangelo, detta del Pozzo Bianco, risultavano erette le scuole del Santissimo
Sacramento e della Dottrina cristiana, oltre alla confraternita dei disciplini
militanti sotto il gonfalone di Santa Maria Maddalena di Bergamo. Entro la
circoscrizione parrocchiale era compreso un luogo pio detto Consorzio. Nei
confini della parrocchia si trovava la chiesa monastica di Sant’Agostino. A
quest’epoca la comunità contava 850 anime, di cui 500 comunicate. Il clero era
costituito dal un parroco, il cui reddito ammontava a 40 lire, e da un
cappellano (Marenzi 1666-1667).
In occasione
della visita pastorale del vescovo Dolfin, avvenuta nel 11 febbraio 1779,
risultavano eretti un luogo pio detto il Consorzio, presso l’altare
dell’Assunzione della Santissima Vergine, e la scuola del Santissimo
Sacramento, governati entrambi da "gentiluomini" della parrocchia.
Entro la circoscrizione parrocchiale era compreso l’oratorio pubblico di San
Giuseppe, governato e amministrato dalla "compagnia dei marengoni", e
l’oratorio di Maria Santissima "nominata delle Grazie". La comunità
di San Michele, retta da un parroco, sei cappellani, tre sacerdoti e quattro
canonici, contava a quest’epoca circa 603 anime, di cui 409 comunicate (Visita
Dolfin 1778-1781).
Secondo quanto
si desume dalla serie dei registri sullo Stato del clero della diocesi,
contenenti le relazioni dei vicari foranei a partire dall’anno 1734, la
parrocchia di San Michele al Pozzo Bianco risultava compresa nella vicaria
cittadina. Nel 1734 la comunità contava 568 anime di cui 480 comunicate (Stati
del clero 1734-1822).
Venne
soppressa nel 1805 e accorpata, in qualità di chiesa sussidiaria, alla
parrocchia di Sant’Andrea (decreto 22 giugno 1805). Le disposizioni governative
vennero recepite nel decreto promulgato dal vescovo Dolfin in data 10 gennaio
1806 (decreto 10 gennaio 1806).
Roberta Frigeni
Dal sito: http://www.lombardiabeniculturali.it/
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