Santo monaco Paisij Veličkovskij
(1722-1794)
15 (28) Novembre
Autobiografia di uno Starets è il titolo
di un libro tradotto in italiano nel 1988 [1], in cui Paisij Veličkovskij
racconta la sua vita e la giovanile ricerca di un monastero rispondente alle
sue esigenze spirituali, senza però darci l’esperienza degli anni della
maturità, quando numerose comunità si formarono attorno a lui in diversi paesi
europei.
Nato a
Poltava, in Ucraina, il 21 dicembre 1722, da un arciprete sposato a Irina, che
nei suoi ultimi anni fu monaca, undicesimo di dodici fratelli, tutti morti
prima della sua maggiore età, Pietro (suo nome di battesimo, Paisij essendo
quello monastico) rimase orfano del padre a quattro anni. Si prevedeva che,
come il padre, sarebbe divenuto arciprete della chiesa della Dormizione della
Madre di Dio a Poltava, tanto più che del 1735 al 1739 frequentò brillantemente
l’Accademia ecclesiastica a Kiev, ma il giovane si sentiva attratto dalla vita
monastica e il suo direttore spirituale l’incoraggiava a questo, nonostante
l’opposizione della madre. Iniziò il suo pellegrinaggio in vari monasteri, da
quello di Lubeč e poi di Medvedovo (zona dell’Ucraina nel regno polacco). Fu
nel monastero delle Grotte Pecerskij a Kiev, dove però notò l’influenza della
politica religiosa degli zar, e preferì trasferirsi all’estero, in Moldavia,
dapprima a Traisteni, e in seguito nello skit [2] di Čircul; da lì passò al
monte Athos per attingere alle fonti della spiritualità monastica antica e vi
risiedette dal 1746 al 1763. Anche lì non mancarono delusioni per la decadenza
di alcune comunità, e non trovando un buon direttore spirituale visse per tre
anni in solitudine guidandosi con le opere dei santi Padri, finché giunse
all’Athos un santo starez che aveva conosciuto in Moldavia, il quale gli
consigliò di vivere con due o tre fratelli, e nel 1750 lo ammise, all’età di 28
anni, alla professione monastica con il nome di Paisij. Presto attorno a lui si
formò una comunità di dodici fratelli romeni e slavi, e anche per la loro insistenza
a 36 anni accettò di essere ordinato sacerdote. Trasferitosi nella kellia di
sant’Elia, più ampia, iniziò a ricercare e a tradurre in slavo testi patristici
greci, facendosi aiutare anche dai suoi discepoli. Se le precedenti migrazioni
erano state scelte da Pietro- Paisij, nel 1763 iniziarono quelle determinate
dalle circostanze: con 64 monaci in tale anno rientrò in Moldavia, dove venne
messo a sua disposizione dalle locali autorità ecclesiastiche e civili l’ampio,
vuoto monastero dello Spirito Santo a Dragomirna; e in tre anni il numero dei
fratelli si triplicò. Per loro Paisij scrisse un Ustav [Regola] secondo le
norme già date da san Basilio il Grande, da san Feodosij di Kiev e da san
Teodoro Studita, verificate nell’esperienza di diversi anni e che venivano
diligentemente osservate dai monaci. Introdusse anche l’uso di conferenze
spirituali alla comunità, che nei mesi invernali si riuniva fino alla Settimana
Santa (una sera il gruppo di lingua moldava e l’altra di lingua slava) per
ascoltare gli insegnamenti di Giovanni Climaco, dell’abate Doroteo, di Simeone
il Nuovo Teologo e di altri Padri. S’intensificava pure il lavoro di traduzione
delle loro opere, il cui frutto più prezioso sarà la Dobrotoljubie [Amore del
bene], traduzione della Filocali di Nicodemo e Macario preparata in greco al
monte Athos.
In
seguito alla conclusione della guerra russo-turca, una parte della Moldavia
settentrionale, dove si trovava Dragomirna, fu ceduta all’Austria e, temendo le
vessazioni degli Asburgo, Paisij si spostò coi suoi 350 monaci a Secu nel 1775.
I fratelli aumentavano e quando per costruire nuove celle venne chiesto aiuto
al principe Costantino Moruzi questi, consigliato dal metropolita Gabriele, gli
ingiunse di trasferirsi a Neamt, distante pochi chilometri da Secu, nel più
grande monastero del paese. Ciò avvenne nel 1779: una parte dei monaci rimase a
Secu e Paisij fu superiore di entrambi i monasteri. «È l’ultima tappa della
vita del grande starets, quella che lascerà i segni più duraturi e di maggior risonanza
[…] Neamt in quegli anni era diventato il centro del monachesimo ortodosso,
scuola della vita esicasta e della cultura spirituale per tutto l’Oriente
ortodosso» [3]. Nel 1790 venne nominato archimandrita dall’arcivescovo russo
Amvrosij che lo visitò; e dell’incontro con lui avvenuto dieci anni prima, un
laico, il nobile greco Costantino Karagias, ci ha lasciato una vivida
desrizione: «Lo incontrai allora per la prima volta. Con i miei occhi vidi la
stessa virtù materializzata, un uomo libero dalle passioni e assolutamente
trasparente. La sua figura mi appariva dolcissima, il suo viso bianchissimo,
come esangue. La sua barba era tutta bianca e luccicante, pulitissima. Era
molto dolce nel conversare, senza alcuna finzione» [4].
Erano
ormai un migliaio i suoi monaci di diverse nazionalità (russi, romeni, serbi,
greci e bulgari) quando, dopo breve malattia, morì il 15 novembre 1794, alla
vigilia del suo sessentaduesimo compleanno. Venne sepolto nella chiesa
dell’Ascensione del Signore del monastero di Neamt. «La vita e l’opera dello
starets Paisij hanno influito nella storia di centinaia di monasteri russi»,
afferma il metropolita Juvenalij [5], vivente, e anche nel libro di Ivan
Kologrivov, Santi russi, un intero
capitolo è dedicato a «Paisij Veličkovskij e gli inizi della rinascita mistica»
[6].
Oltre
all’indefessa attività epistolare e di traduzione, Paisij ci ha lasciato alcuni
scritti, tra cui i Capitoli sulla
preghiera interiore, dove si vede quale importanza egli attribuisce alla
preghiera detta «di Gesù» o «del cuore», al cui formula conclude il Tropario
alla preghiera in onore del santo [7]. «Essa permette di restare interioremente
uniti a Gesù, perché questo ricordo purifica e santifica tutti i pensieri e i
sentimenti di colui che prega e orienta tutte le sue azioni verso l’adempimento
dei comandamenti di Cristo […] Invocare il suo Nome è già averlo in sé. La
potenza del Nome del Salvatore infiamma il cuore di un amore ineffabile e
divino» [8]. Nel Contacio invece, oltre a ricordare che il santo ha «nutrito le
nostre anime di scritti patristici», lo si esalta quale rinnovatore dello
starčestvo [«direzione, guida spirituale»] nella patria russa. I suoi
discepoli, e furono molti, lo diffusero poi in luoghi diversi, continuandolo
nel tempo, e il fenomeno venne studiato nelle biografie di Paisij o in appositi
studi [9]. Si capisce quindi perché ancor prima della canonizzazione ufficiale,
avvenuta nel 1988, durante le celebrazioni per il Millennio del Battesimo della
Rus’, egli fosse stimato, venerato, ricordato e proposto ad esempio. Basti
segnalare che le venti pagine su di lui nel citato volume di Kologrivov Santi russi furono pubblicate
inizialmente nel 1952 [10].
Tropario - Tono 2
Vissuto sulla terra come pellegrino, hai raggiunto la
celeste patria, santo monaco padre Paisij, dopo esserti esercitato nell’amore
della virtù; ai fedeli hai insegnato a elevare verso Dio la loro mente e a
invocarlo col cuore: Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me
peccatore.
Kontakion - Tono 8
Scelto zelatore della vita
monastica, come un’ape laboriosa hai nutrito le nostre anime di scritti
patristici, guidando ciascuno di noi sulla via della salvezza, per cui ti
cantiamo: rallegrati, saggio padre Paisij, rinnovatore dello starčestvo
[paternità spirituale] nella nostra patria.
Note
[1]
Curato dalla Comunità dei Fratelli Contemplativi di Gesù, è stato pubblicato
nel 1988 dall’Abbazia di Praglia (Pd). A. p. 48 dell’«Introduzione» si cerca di
spiegare l’incompletezza del testo. La trascrizione italiana di starez è spesso
data in modo diverso (ad es. starets).
[2]
Così viene tuttora chiamata nell’Oriente bizantino una comunità monastica
piccola, intermedia tra l’eremo e il cenobio.
[3]
P. VELIČKOVSKIJ, Autobiografia di uno
Starets, cit., 22, n. 1.
[4]
Cfr. ivi, 13, in cui si riporta la
testimonianza da un libro in greco, edito a Salonicco nel 1963.
[5]
Il metropolita Juvenalij lo scrive nel «Rapporto» presentato al Sinodo della
Chiesa russa (6-9 giugno 1988) per le Canonizzazioni, cit., 104.
[6]
Op. cit., 397-416.
[7]
Segue il Contacio, cui si fa riferimento nelle righe successive.
[8]
L. C. ALTISSIMO, I nuovi santi nella
Chiesa russa, in «Studi ecumenici», 4 (ott-dic. 1989), 409. presentando
Paisij Veličkovskij.
[9]
A. PIOVANO, Santità e monachesimo in
Russia, La Casa di Matriona, Milano 1990; a. p. 146ss. dà un elenco di
sette pagine di starzi discepoli di Paisij. Cfr. anche P. VELIČKOVSKIJ, op. cit., 9-12.
[10]
Pubblicato col titolo saggio sulla
santità in Russia, da Queriniana, Brescia 1955, ma nella Prefazione l’A.
mette la data del 1952 e riferisce che si tratta essenzialmente delle lezioni
da lui tenute al Pontificio Istituto Orientale di Roma dal 1947 in poi.
Da:
M. DONADEO, Preghiere a S. Andreij
Rubliov e ad altri santi russi canonizzati dal Patriarcato di Mosca dal 1977 al
1993, 47-52.
I due tipi di preghiera
di san Paisij Veličkovskij
Bisogna sapere
che secondo gli scritti dei santi padri ci sono due tipi di preghiere
spirituali: uno per i principianti, che può essere paragonato all’azione (prâxis), e l’altro per i perfetti, che
corrisponde alla contemplazione (theorìa).
La prima è l’inizio, la seconda il punto di arrivo, poiché “agire” significa
innalzarsi per “contemplare”. Proprio in questo sta infatti ogni sforzo
ascetico quando si lotta con l’aiuto di Dio: si combatte per l’amore di Dio e
del prossimo, per la dolcezza, la pazienza e l’umiltà e per adempiere tutte le
altre leggi di Dio e dei padri; si combatte per la perfetta obbedienza dell’anima
e del corpo, per i digiuni, le veglie, la contrizione, le genuflessioni e tutte
le altre mortificazioni della carne, per l’esatta osservanza delle prescrizioni
riguardanti l’ufficio divino e la preghiera in cella, per l’esercizio
spirituale della preghiera privata, per le lacrime e la meditazione sulla
morte. Tutto questo è lotta fintanto che la nostra ragione umana è preda dei
nostri capricci e della nostra testardaggine. Tutto questo, lo si sa bene, può
essere chiamato “agire”, “azione”, prâxis.
Ma “vedere” e “contemplare”, tutto ciò ancora non lo è.
Quando però,
con l’aiuto di Dio, attraverso questo combattimento e soprattutto in grande
umiltà, l’uomo è arrivato a lavare la sua anima e il suo cuore da ogni impurità
spirituale e dai godimenti della carne, allora interviene la grazia divina,
nostra comune madre: essa illumina la nostra ragione, la prende per mano come
la madre fa con il suo bambino, la fa salire gradino per gradino e le rivela, a
seconda del grado della sua purezza, i misteri indicibili e insondabili di Dio.
Questa è la vera visione, la contemplazione (theorìa).
Preghiera contemplativa
- la “preghiera pura” di Isacco il Siro - sguardo rispettoso su Dio stesso:
ecco cos’è. Che nessuno abbia ad avventurarsi in questa contemplazione con le
sue proprie forze o di testa propria, senza che Dio lo visiti e lo guidi con la
sua grazia. “Se, ciò nonostante, qualcuno avesse la pretesa di innalzarvisi
senza la luce della grazia divina, sappia che, dice san Gregorio il Sinaita, le
sue visioni sono solo chimere proiettate in lui dall’inganno del maligno”.
Da: P. VELIČKOVSKIJ, Autobiografia
di uno Starec, Magnano (BI), 1998, 201-202.
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