San Matteo - Scuola Lombarda
Il santo apostolo ed evangelista Matteo
16 (29) Novembre
Lettura del santo Evangelo secondo Matteo
9, 9-13
Poi Gesù,
partito di là, passando, vide un uomo chiamato Matteo, che sedeva al banco
delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli, alzatosi, lo seguì. Mentre Gesù
era a tavola in casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e si misero a
tavola con Gesù e con i suoi discepoli. I farisei, veduto ciò, dicevano ai suoi
discepoli: «Perché il vostro maestro mangia con i pubblicani e con i peccatori?».
Ma Gesù, avendoli uditi, disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico,
ma i malati. Ora andate e imparate che cosa significhi: "Voglio
misericordia e non sacrificio"; poiché io non sono venuto a chiamare dei
giusti, ma dei peccatori».
Dalle Memorie Apostoliche di
Abdia primo vescovo di Babilonia
LIBRO VII
Gesta del beato Matteo apostolo ed
evangelista
[1] Matteo,
soprannominato Levi, figlio di Alfeo, apparteneva alla classe dei pubblicani. Chiamato
al suo servizio dal Signore nostro Gesù Cristo, entrò nel numero dei suoi
discepoli e da ultimo ebbe il supremo ufficio dell’apostolato. Prima dell’Ascensione
del Signore al cielo, non fece nulla di più di tutti gli altri compagni dell’ufficio
apostolico. Dopo aver ricevuto insieme agli altri lo Spirito santo
illuminatore, si volse a predicare il Vangelo nel mondo, e nella ripartizione gli
toccò la provincia dell’Etiopia. E quivi andò.
Mentre
dimorava nella grande città di Naddaver, ove era re Eglippo, vi si trovavano
anche i due maghi Zaroen e Arfaxat. Con forme strane costoro si burlavano del
re affinché egli credesse che essi erano dèi. E il re credeva loro in ogni
cosa, e con lui tutto il popolo della città; e dalle regioni lontane dell’Etiopia
ogni giorno veniva gente per adorarli. A loro piacimento, facevano infatti
arrestare subito i piedi degli uomini rendendoli immobili; impedivano la vista
e l’udito degli uomini; comandavano ai serpenti di mordere, cosa che sono
soliti fare pure i Marsi, e curavano molti con l’incantesimo. Come suol dirsi,
si dimostra più rispetto ai cattivi per timore, che ai buoni per amore; così
anche quelli erano venerati presso gli Etiopi, e tenuti a lungo in gran conto.
[2] Però, come
spesso è detto, Dio, poiché ha cura degli uomini, mandò contro costoro l’apostolo
Matteo, il quale entrato in città cominciò a smascherare la loro fallacia.
Tutti quelli che costoro imprigionavano egli li liberava in nome di Gesù
Cristo; rendeva la vista a coloro che da essi ne erano stati privati, e rendeva
l’udito a coloro ai quali quelli l’avevano tolto; anche i serpenti che essi
istigavano a mordere gli uomini, egli li faceva addormentare, e ne guariva
totalmente le morsicature con un segno del Signore.
Avendolo visto
un Etiope, eunuco di nome Candace, che era stato battezzato dall’apostolo diacono
Filippo, si fece avanti ai suoi piedi ed in atto di adorazione, disse:
"Ciò è avvenuto perché Dio ha rivolto il suo sguardo su questa città, per
liberarla dal potere dei due maghi, che uomini stolti credono dèi". Costui
accolse l’apostolo nella sua casa; andavano da lui tutti quelli che erano amici
dell’eunuco Candace, ascoltavano le parole di vita, e credevano nel Signore Gesù
Cristo. Ogni giorno venivano battezzati molti, vedendo che tutto ciò che i
maghi compivano a danno degli uomini, il discepolo di Dio lo annullava. Quelli
causavano ferite a quanti potevano, affinché i colpiti li chiamassero per
guarirli: tutti erano portati a credere che quelli li curavano, perché
cessavano dal malanno.
L’apostolo di
Cristo, Matteo, curava non solo coloro ai quali quelli avevano fatto del male,
ma anche tutti coloro che gli erano portati, affetti da qualsiasi infermità, e
predicava al popolo la verità di Dio, sicché tutti restavano meravigliati dalla
sua eloquenza.
[3] Allora l’eunuco
Candace, che lo aveva accolto con ogni riguardo, lo interrogò dicendo: "Ti
scongiuro di spiegarmi come tu, Ebreo, hai imparato a parlare greco, egiziano
ed etiopico così bene da superare quelli stessi che in queste regioni sono
nati". Rispose l’apostolo: "Tutti sanno che il mondo aveva un solo
linguaggio per tutti gli uomini. Ma sopraggiunse in tutti una presunzione e li
spinse ad innalzare una torre così alta che la sua cima raggiungesse il cielo. Ma
il Dio onnipotente frustrò questa presunzione facendo in modo che mentre uno parlava
l’altro non fosse capace di intenderlo. Sorsero poi molti generi di lingue e
quell’unione che traspariva anche dall’unica lingua fu divisa. Buona, in
verità, fu l’intenzione che si facesse una torre che raggiungesse il cielo, ma
cattiva la presunzione che voleva andare verso le cose sante con mezzi non
santi.
Venendo poi il
Figlio di Dio onnipotente, volle mostrare in qual modo dovevano costruire per
potere pervenire al cielo a noi, suoi dodici apostoli, mandò dal cielo lo
Spirito santo mentre stavamo riuniti in un unico luogo; venne sopra ciascuno di
noi, e fummo infiammati come il ferro è infiammato dal fuoco. Dopo questo fatto
scomparve da noi il timore e lo splendore, cominciammo a parlare ai gentili in
varie lingue, e ad annunciare le meraviglie della nascita di Cristo: come sia
nato quale unigenito Figlio di Dio, colui la cui origine eterna nessuno
conosce; ci annunciò poi e ci convinse che nacque dal seno di Maria vergine,
che fu allattato dalla Vergine integra, fu nutrito e istruito, fu battezzato e
tentato, patì e morì, fu sepolto e al terzo giorno risuscitò, ascese al cielo e
si sedette alla destra di Dio onnipotente, donde ha da venire a giudicare tutte
le generazioni per mezzo del fuoco. Non sappiamo solo queste quattro lingue,
come tu pensi, ma sappiamo anche le lingue di tutte le genti (noi che siamo
discepoli di Gesù Crocifisso) e non mediocremente, ma bene; presso qualsiasi
popolo giungeremo, vi arriveremo sapendo già bene la sua lingua. Ora non si
edifica più una torre con pietre, ma con le virtù di Cristo, da parte di tutti
quelli che sono stati battezzati nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito
santo: a costoro è aperta la torre innalzata da Cristo; ed edificandola salgono
fino a raggiungere il regno dei cieli".
[4] Mentre l’apostolo
trattava queste cose e molte altre simili con discorso mistico, arrivò una persona
dicendo che i famosi maghi se ne venivano ciascuno con un drago; questi erano armati,
il loro respiro lanciava fiotti ignei e dalle narici emettevano miasmi
sulfurei, il cui odore uccideva gli uomini. Ciò udito, Matteo si segnò e con
calma si avviò incontro a loro. Ma gli si oppose l’eunuco Candace il quale
chiuse la porta dicendo: "Piuttosto parla loro dalla finestra, se lo
giudichi opportuno". L’apostolo gli rispose: "Tu aprimi, aprimi!
Dalla finestra starai tu per vedere l’ardire di questi maghi".
Aperta la
porta, l’apostolo uscì, ed ecco i due maghi farsi avanti ognuno con il suo
drago; ma allorché si furono avvicinati, tutti e due i draghi si addormentarono
ai piedi dell’apostolo, il quale disse ai maghi: "Dov’è la vostra abilità?
Se ne avete il potere, svegliateli. Se io non pregavo il mio Signore Gesù
Cristo, questi avrebbero rivolto contro di voi tutta la furia che voi avete
acceso contro di me; fino a che il popolo non verrà qui, essi dormiranno.
Poiché nessuno ha osato avvicinarsi, li sveglierò e comanderò loro di ritornare
mansueti ai propri luoghi".
Zaroen ed
Arfaxat, con le loro arti magiche tentavano di svegliarli, ma non potevano far
aprire loro gli occhi, né farli muovere neppure un poco. Il popolo invece
supplicava l’apostolo dicendo: "Ti scongiuriamo, signore, affinché tu
liberi il popolo e la città da queste bestie". E l’apostolo: "Non
temete, disse; io farò sì che queste bestie se ne vadano tutte mansuete".
Rivolto ai
draghi, disse: "In nome del mio Signore Gesù Cristo, che fu concepito per
opera dello Spirito santo e nacque da Maria vergine, che Giuda tradì
consegnandolo ai farisei i quali lo crocifissero, che fu deposto dalla croce e
fu sepolto, che risorse dai morti il terzo giorno, che si trattenne con noi per
quaranta giorni, che ci diede le prove di quanto ci aveva insegnato prima della
passione, e ci ricordò tutto ciò che ci aveva detto, che dopo quaranta giorni
se ne ascese al cielo sotto il nostro sguardo, ed ora siede alla destra di Dio
Padre, donde ha da venire a giudicare i vivi e i morti, nel suo nome, dico, e
per la sua potenza, destatevi. E chiamo a testimone te, o Spirito, affinché tu
li faccia ritornare al loro luogo, tutti mansueti, senza toccare e ledere
alcuno, sia uomo che bestia o uccello". A questa voce i serpenti
sollevando la testa cominciarono ad andarsene e aperte le porte se ne uscirono
pubblicamente e sotto lo sguardo di tutti, né mai più ricomparvero.
[5] Ciò fatto,
l’apostolo così parlò al popolo: "Ascoltate, fratelli e figli, e voi tutti
che volete liberare le vostre anime dal
vero drago che è il demonio. Dio mi mandò a voi per la vostra salvezza,
affinché, abbandonata la falsità degli idoli, vi convertiate a colui che vi ha
creato.
Quando Dio
fece il primo uomo, lo pose in un paradiso di delizie, con la sua donna, che
aveva tratto dalla costola di lui. Il paradiso di delizie è al di sopra di
tutti i monti e vicino al cielo e non ha in sé cosa alcuna che possa nuocere
alla salvezza dell’uomo! Gli uccelli quivi non sono spaventati dalla voce e
dall’aspetto dell’uomo, non vi spuntano spine o triboli, le rose e i gigli non
vi marciscono, nessun fiore appassisce; l’uomo non era soggetto a sforzi, alla
sanità non succedeva la malattia, per la tristezza, per il pianto e per la
morte non v’era posto alcuno; l’aura che vi spirava più che un soffio era una
carezza e conferiva una vita perpetua. Come il fumo dell’incenso elimina gli
odori sgradevoli, così le narici inspiravano la vita perpetua, la quale faceva
sì che l’uomo non incorresse né nella stanchezza, né nel dolore, ma si conservasse
sempre eguale, sempre giovane, sempre lieto, sempre vigoroso; vi risuonavano melodie
angeliche e dolcissime voci giungevano all’udito; non v’era posto per i
serpenti, per gli scorpioni, per il falangio, né v’era alcuna mosca nociva alla
salute dell’uomo. Ivi i leoni, le tigri e i leopardi servivano gli uomini;
qualunque cosa l’uomo comandava agli uccelli o alle fiere, subito eseguivano
riverenti il suo comando sapendo che era carissimo a Dio e da lui amato. Di lì
partivano anche quattro fiumi: il primo si chiama Geon, il secondo Fison, il
terzo Tigri, il quarto Eufrate, che abbondano di ogni genere di pesci. Non Vi
erano latrati di cani, né ruggiti di leoni: tutto era grazioso, mansueto,
calmo. La volta del cielo non si oscurava mai con le nubi, non vi rosseggiavano
mai le folgori, non rintronavano mai i tuoni, v’era solo una gioia senza fine e
una festa senza termine.
[6] Il motivo
per cui, poco prima ho ricordato che ivi non v’era posto per il serpente, è
perché l’angelo manifestò per mezzo di esso la propria invidia; fu perciò
maledetto da Dio e non poté più rimanere, maledetto, in un luogo benedetto.
Nell’angelo l’invidia nacque allorché vide che nell’uomo c’era l’immagine di
Dio, ed anche per il fatto che all’uomo era possibile parlare in tale regione
beata con tutti gli uomini. Per questo l’angelo concepì in se stesso l’invidia,
entrò nel serpente con la sua potenza angelica, persuase la moglie di Adamo a
mangiare del frutto dell’albero, che Dio aveva proibito sotto pena di morte; e
dopo ciò la moglie, avendo errato, sedusse il marito. Avendo prevaricato tutti
e due furono mandati qui su questa terra, arida e deserta, in esilio, lungi
dalla regione della vita in quella della morte; l’autore della colpa, identificato
nel serpente, ricevette una eterna maledizione.
Ebbe pietà di
questo fatto e di questa condizione degli uomini lo stesso Figlio di Dio, il
quale aveva creato l’uomo conformemente all’ordine del Padre suo, e, di fronte
alla nostra debolezza, si degnò di assumere la forma umana, senza perdere la
sua divinità. Questo è l’uomo Gesù Cristo che riscattò l’uomo e vinse il
diavolo soffrendo il patibolo della croce; sopportò derisioni e insulti, e vinse
la morte con la sua morte, per riaprire il Paradiso risorgendo. Affinché nessuno
ne dubitasse, Cristo fece sì che vi entrassero tutti quanti credono in lui, e
per primo lo stesso ladrone, al quale, dal legno della croce, scrollò di dosso
il legno della prevaricazione, e a tutte le altre anime sante, che escono da
questo corpo, aprì il Paradiso; infine, a quelli che risorgono nell’ultimo
giorno aprì anche i regni dei cieli affinché vi possano entrare. Così dunque,
purché lo si voglia, è possibile correre alla vita e al Paradiso, donde il
nostro padre carnale Adamo fu scacciato e perciò ci generò tutti in questo
esilio, mentre il Signore nostro Gesù Cristo ci aprì le porte del Paradiso
affinché ritorniamo a quella patria nella quale non v’è posto per la morte e
nella quale regna eterna la gioia".
[7] Mentre l’apostolo
parlava di queste cose, si verificò un fatto luttuoso: si piangeva per la morte
del figlio del re. Al suo funerale partecipavano i maghi, i quali non potendolo
risuscitare cercavano di persuadere il re che il figlio era stato rapito dagli
dèi nel loro numero, per essere uno degli dèi, al quale era dunque doveroso
innalzare una statua e un tempio.
Udito ciò, l’eunuco
Candace, entrato dalla regina, le disse: "Comandate che siano fermati questi
maghi! Prego che venga da noi l’apostolo di Dio, Matteo. Se egli lo
risusciterà, farai in modo che costoro siano arsi vivi, perché tutti i mali
nella nostra città accadono appunto a causa loro".
Allora per
ordine di Candace, uomo onorato presso il re, furono inviati alcuni i quali
pregarono l’apostolo e lo introdussero con onori dal re. Mentre Matteo entrava,
gli si prostrò ai piedi Eufenissa, regina dell’Etiopia, dicendo:
"Riconosco che tu sei l’apostolo mandato da Dio per la salvezza degli
uomini e che sei discepolo di colui che risuscitava i morti e allontanava dagli
uomini tutte le malattie con un suo comando. Or dunque vieni ed invoca il suo
nome sul defunto mio figlio: credo infatti che se così farai, egli
rivivrà". E l’apostolo a lei: "Tu, finora, non hai udito dalla mia
bocca la predicazione del mio Signore Gesù Cristo, e come puoi dire: "Credo"?
Sappi comunque che tuo figlio ritornerà a te".
Entrato, alzò
le mani al cielo, dicendo: "Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe,
tu che hai mandato il tuo Figlio Unigenito dal cielo sulla terra per la nostra
restaurazione, per allontanarci dall’errore e per mostrarci che tu sei il vero
Dio, ricordati delle parole del Signore Gesù Cristo Figlio tuo: "In verità
vi dico che tutto ciò che chiederete nel mio nome, al Padre mio, egli ve lo
concederà". Affinché dunque le genti conoscano che all’infuori di te non v’è
altro onnipotente, e sia dimostrata vera questa asserzione della mia bocca,
questo fanciullo riviva".
E presa la
mano del defunto disse: "In nome del Signore mio crocifisso, sorgi
Eufranore". E il fanciullo subito risorse.
A questa vista
il cuore del re si spaventò; comandò che gli si portassero corone e porpora, mandò
araldi per la città e per le diverse province dell’Etiopia, dicendo:
"Venite nella città a vedere Dio nascosto nella apparenza di un
uomo".
[8] Essendo
affluita tutta una moltitudine con ceri, pietre, incenso e tutto il necessario
per il sacrificio, l’apostolo del Signore, Matteo, si rivolse a tutti con
queste parole: "Io non sono Dio, ma servo del Signore mio Gesù Cristo,
Figlio di Dio onnipotente, il quale mi mandò a voi, affinché abbandoniate il
falso culto dei vostri dèi, e vi convertiate al vero Dio. Ché se voi mi credete
Dio, pur essendo io uomo simile a voi, quanto più dovete credere Dio colui al
quale mi professo servo e nel cui nome ho risuscitato questo figlio del re. Voi
tutti che avete compreso l’evidentissimo motivo di tutto ciò, allontanate dalla
mia vista oro, corone d’oro e argento; vendeteli, innalzate un tempio al
Signore e vi riunirete colà per ascoltare la parola del Signore".
A queste
parole si riunirono undicimila uomini, lavorarono per trenta giorni, portarono
a termine il sacro tempio, che Matteo chiamò "chiesa della
Risurrezione", poiché l’occasione dell’erezione era stata una
risurrezione.
Matteo
presiedette quella Chiesa per ventitré anni. Vi stabilì presbiteri e diaconi,
li distribuì per città e villaggi ed eresse in diverse località molte Chiese.
Furon battezzati anche il re Eglippo, la regina Eufenissa e il figlio
risuscitato, Eufranore; la figlia, Ifigenia, battezzata, rimase vergine di
Cristo.
Nel frattempo
i maghi, pieni di timore, fuggirono in Persia. Sarebbe troppo lungo raccontare
a quanti ciechi fu restituita la vista, quanti paralitici furono guariti, quanti
furon liberati dai demoni e quanti furono i morti risuscitati dall’apostolo.
Il re rimase
cristianissimo e così la onorevolissima sua consorte, e con essi l’esercito e
il popolo tutto dell’Etiopia. Sarebbe troppo lungo narrare come tutte le statue
e tutti i templi siano stati distrutti. Tralasciate tutte queste cose a motivo
del loro grande numero, narrerò in qual modo l’apostolo abbia consumato la sua
santa passione.
[9] Dopo non
molto tempo il re Eglippo, in buona vecchiaia, andò incontro al Signore. Il governo
del regno lo prese il re Irtaco, suo fratello. Costui voleva prendere in sposa
la figlia del defunto re, Ifigenia, che già era stata consacrata a Cristo,
aveva preso il sacro velo dalle mani dell’apostolo, ed era a capo di più di
duecento vergini; il re tuttavia sperava che per mezzo dell’apostolo avrebbe
potuto commuoverne l’animo. Perciò cominciò a trattare con san Matteo; gli
disse: "Ti concedo la metà del mio regno, a patto che tu mi permetta di
prendere in sposa Ifigenia". A lui il beato apostolo disse: "Secondo
una buona consuetudine del re tuo predecessore, ogni sabato si suole convenire
là ove predico la parola del Signore; comanda tu stesso che convengano lì tutte
le vergini che sono con Ifigenia. Udrai manifestamente quante lodi e quanto bene
io dica del matrimonio, e come siano accette a Dio le unioni sante".
Ciò udito,
Irtaco si rallegrò e comandò che a quella riunione fosse presente anche
Ifigenia, affinché ascoltasse dalla bocca dell’apostolo l’invito ad
acconsentire di diventare moglie di Irtaco.
[10] Fattosi
nella riunione un grande silenzio, l’apostolo aprì la bocca e disse:
"Ascoltate le mie parole, figli tutti della Chiesa, ascoltate e cercate di
capire tutto ciò che udite, e rimanga scolpito nei vostri cuori. Il vostro Dio
ha benedetto le nozze, ed egli stesso permise che l’amore dominasse nel corpo e
nei sensi della carne, affinché il marito ami sua moglie e la moglie ami suo
marito. Vediamo però che spesso la moglie odia suo marito fino a causarne la
morte con il veleno, la spada e il ripudio: così anche il marito trama spesso
contro la propria moglie, essendo tanta la passione della carne, da fare
galoppare la mente. Che cosa avverrebbe se nella carne non ci fosse lo stimolo
dell’amore? Quindi se questo stimolo svolge la sua funzione per amore a Dio, e
l’uomo prende moglie per desiderio di prole e così la donna prende marito, il
matrimonio è buono, non è contro il precetto di Dio; questo tuttavia a
condizione che la moglie non abbia a conoscere affatto altro uomo, e similmente
anche l’uomo abbia assolutamente in orrore la conoscenza di un’altra donna. Se
infatti il precetto di Dio viene custodito dai coniugi, esso li purifica da
ogni sordida unione. L’immondezza è proprietà del corpo, ed è lavata da Dio
attraverso le elemosine e le opere di misericordia; ma non così le colpe: esse
non sono lavate se non attraverso lacrime di penitenza. Il matrimonio dunque ha
l’immondezza dell’unione, ma non ha colpa. Inoltre in giorni determinati, nella
quaresima e nel tempo dei legittimi digiuni, se uno non si astiene sia dal
mangiar carne, sia dalla unione dei corpi, non solo incorre nell’immondezza ma
anche nella colpa. Non, in verità, perché il mangiare sia colpa; bensì perché
peccato e colpa è il mangiare non proporzionatamente. Infine se uno prima
mangia cibo carnale e poi, nello stesso giorno nel quale si è nutrito di cibo naturale,
indebitamente osa accostarsi al cibo spirituale, diventa reo di colpa, di
disonestà riguardo all’uno e all’altro cibo, non per il fatto che ha mangiato,
ma perché contro l’ordine, contro giustizia e contro la regola di Dio si è
nutrito prima nella carne. Quindi non è una qualunque azione degli uomini che
rende colpevoli, bensì è l’irrazionalità di quell’azione che condanna il suo
autore.
Spesso abbiamo
visto anche omicidi adorare statue e simulacri; certamente è omicida colui che uccide
un nemico della pace o un barbaro o un ladro, ma il fatto che un tale omicidio
sia buono, non significa proprio che sia buono l’omicidio di un innocente.
Spesso anche la bugia, pure essendo cattiva per natura, sembra che diventi
buona a seconda delle circostanze. Se infatti tu sei capace di nasconderti per
una qualunque ragione da un nemico che ha intenzione di colpirti, ed egli
chieda dove mai tu ti sia andato a nascondere, allora sei portato non solo a negare,
ma anche a spergiurare. Qui abbiamo due mali, la menzogna e lo spergiuro; e
tutti e due i mali tuttavia possono dar luogo ad un buon frutto. Dio non ha
stabilito precisi limiti al nostro operato quasi che si possa dire: ho avuto timore
di mentire a motivo del suo giudizio, perciò ho tradito quell’uomo; oppure: ho
temuto di perdere un soldo, perciò sono incorso nel danno di un’immensa
quantità d’oro.
Dunque non vi
sono azioni così cattive, che siano sempre cattive per natura, bensì solo per nostra
intemperanza. Se ardisce ricevere i misteri dei sacramenti uno che non è stato
inondato dall’acqua celeste, trasforma in crimine un atto buono, ed incorre
nello stato di eterna pena da quell’azione per la quale poteva essere liberato
dal reato di una pena eterna. Così è pure delle nozze: il matrimonio è
benedetto da Dio, è da Dio santificato, ed è consacrato con la speciale benedizione
di Dio data dai sacerdoti, ma qualcuno vede in esso una certa qual offesa alla Divinità".
[11] Mentre
san Matteo diceva queste cose, il re Irtaco e il suo seguito con somme lodi strepitavano
oltremodo innalzando lodi; egli, infatti, riteneva che l’apostolo dicesse
questo per piegare l’animo di Ifigenia al matrimonio. Ma dopo che cessò il
grande clamore delle lodi al suo indirizzo, l’apostolo riprese il discorso e,
fattosi silenzio, disse: "Vedete, fratelli e figli, fin dove il nostro
discorso sia arrivato, fino ad ammettere che si possa fare un omicidio buono.
Quando ad esempio si uccide uno che, se non fosse ucciso, avrebbe potuto
uccidere molti innocenti: così ad esempio furono uccisi Golia, Sisara, Aman,
così fu troncato il capo di Oloferne, e furono uccisi giustamente coloro che
erano nemici delle vostre sedi e del vostro regno. Così è anche dei matrimoni:
mentre vengono ratificati, splende in essi l’onestà di un’opera buona, purché siano
compiuti santamente, giustamente ed integralmente, irreprensibilmente e in modo
integerrimo. Se un servo dunque, osasse usurpare la sposa del re, è evidente
che non solo incorrerebbe in una offesa, ma in una colpa così grande che
giustamente sarebbe condannato a essere arso vivo, e non già perché prese
moglie, ma perché violò la sposa del suo re. Così, anche tu, o re Irtaco,
figlio dilettissimo, sapendo che Ifigenia, figlia del re, tuo predecessore, è diventata
sposa del re celeste, e consacrata con il sacro velo, come puoi prendere la
sposa di uno più potente di te, e unirtela in matrimonio?".
A queste
parole il re Irtaco, che aveva lodato ognuna delle esposizioni dell’apostolo,
si allontanò tutto infuriato.
[12] Ma l’apostolo
imperterrito, tranquillo e con maggiore franchezza, proseguì il discorso, dicendo:
"Ascoltatemi, voi che temete Dio. Si sa che un re terreno domina per poco
tempo; il re dei cieli, invece, regna eternamente; e mentre fa sì che abbiano
grandi gaudi quelli che mantengono la fede in lui, così avvolge con tormenti
inenarrabili coloro che rinunciano alla fede in lui ed alla santità. Se è da
temere l’ira di un re offeso, molto più in verità è da temere l’offesa del re
celeste! L’ira dell’uomo infatti, sia essa espressa con supplizi, fuoco o
ferro, ha il suo compimento in tormenti temporali; ma l’ira di Dio condanna i
peccatori alle eterne fiamme della Geenna. Perciò il Signore e Maestro, Gesù
Cristo, presago del futuro, disse: "Vi troverete davanti a re, i quali
oltre al flagellarvi e uccidervi, non avranno altro da fare". Per questo
vi dico: non temeteli! Temete invece colui che, dopo avervi uccisi, può
mandarvi in perdizione e farvi andare nella Geenna. È costui che dovete
temere".
[13] Allora
Ifigenia davanti a tutto il popolo si gettò ai piedi dell’apostolo e disse:
"Ti scongiuro per quegli stesso, del quale sei apostolo, di imporre, su di
me e su queste vergini, le mani,
affinché per la tua parola siamo
consacrate al Signore, e sfuggiamo le minacce di colui che, ancora vivente mio
padre e mia madre, ci lanciava molte minacce per intimorirci, e cercava di adescarci
con molti doni. E se osava fare ciò quando essi erano vivi, che cosa non farà
mai ora che è padrone del regno?".
L’apostolo,
fiducioso nel suo Signore, non temeva Irtaco; ed imponendo il velo sul capo di
lei e sul capo di tutte le altre vergini che erano con lei, pronunciò questa
benedizione: "Dio, plasmatore del corpo e soffiatore dell’anima, che non
disprezzi l’età, non riprovi il sesso, e nessuna condizione consideri indegna
della tua grazia, ma sei ugualmente creatore e redentore di tutti: tu che ti
sei degnato di scegliere, qual buon pastore, queste tue figlie da ogni ceto,
per conservare la corona della perpetua verginità e custodire la purezza dell’anima,
circondale con lo scudo della tua protezione: affinché queste, che tu hai
preparato al conseguimento di ogni virtù e gloria, sotto la guida della
sapienza, vincendo esse le lusinghe della carne e rinunciando ad un lecito
matrimonio, meritino l’indissolubile unione con il Figlio tuo, Signore nostro
Gesù Cristo. Ti chiediamo, Signore, di premunirle non con armi carnali ma con
la grande forza dello Spirito, affinché, proteggendo tu i loro sensi e le loro
membra, non possa dominare nei loro corpi il peccato. Su di esse che desiderano
vivere sotto la protezione della tua grazia, non prevalga mai colui che difende
il male o è nemico del bene, su di esse che sono ormai tanti vasi consacrati al
tuo nome. La pioggia benefica della tua grazia celeste estingua ogni naturale ardore,
ed accenda la fiamma della perpetua castità. Il loro volto pudico non soffra
scandali, né una loro disattenzione offra agli incauti l’occasione di peccare;
in esse la verginità sia cauta e splendente, armata di fede integra, di ferma
speranza, di carità sincera, affinché agli animi preparati alla continenza sia
offerta la forza necessaria per superare tutte le insidie del diavolo; e
disprezzando le cose presenti, perseguano le future, preferiscano i digiuni
alle orge carnali, antepongano le lezioni sacre alle gozzoviglie. Nutrite di
orazioni, complete nella dottrina, illuminate dalle veglie, esercitino l’attività
della grazia verginale. Fortifica queste che sono tue con le armi della virtù
internamente ed esternamente, e disponi loro un cammino verginale senza
ostacoli; affinché siano capaci di percorrerlo fino al termine, per i meriti
dello stesso Signore nostro Gesù Cristo, redentore delle anime nostre, al
quale, con Dio Padre e con lo Spirito santo, sia onore e gloria ora e sempre
per tutti i secoli dei secoli".
[14] Quelle
risposero: "Così sia!". Egli poi celebrò i misteri del Signore.
Congedata l’assemblea, egli si trattenne perché presso l’altare, dove era stato
da lui celebrato (il sacrificio del) corpo di Cristo, avesse il trionfo,
davanti a tutti, il martirio dell’apostolo. Pertanto non molto tempo dopo, un
sicario mandato da Irtaco, colpì di spalle l’apostolo che pregava a mani tese,
e così con un colpo di spada lo rese martire di Cristo.
Udito ciò,
tutto il popolo si diresse con il fuoco contro il palazzo; ma verso il popolo
infuriato corsero tutti i presbiteri, i diaconi e i chierici, insieme ai
discepoli del santo apostolo, dicendo: "Non vogliate agire contro il
precetto del Signore! Anche l’apostolo Pietro, impugnata la spada, portò via l’orecchio
di Malco, che con la turba aveva catturato il Signore, ma affinché non apparisse
che egli volesse vendicare il proprio arresto, ne ordinò la riparazione facendo
in modo che l’orecchio amputato fosse rimesso al suo posto; l’apostolo obbedì e
l’orecchio subito si rinsaldò. E allora il Signore disse a Pietro: "Forse
che il Padre mio, se io volessi, non potrebbe mettermi a disposizione più di
dodicimila legioni di angeli?". Celebriamo dunque tutti con gioia il
martirio dell’apostolo, e restiamo in attesa di quanto il Signore vorrà
disporre".
[15] Frattanto
Ifigenia, la santissima vergine di Cristo, elargì ai sacerdoti e al clero tutto
ciò che possedeva in oro, in argento e in pietre preziose, dicendo:
"Innalzate una chiesa degna dell’apostolo di Cristo; quanto supererà,
distribuitelo ai poveri; è necessario che io sostenga la lotta con
Irtaco".
Dopo queste
cose si verificò un secondo fatto a proposito di Ifigenia: il re Irtaco,
lusingandosi di potere giungere ad ottenere il suo consenso, le mandò le mogli
di tutti i nobili. Ma questo non gli fu possibile; convocò allora i maghi,
affinché la rapissero con l’aiuto dei demoni. Poiché non potevano compiere ciò
neppure essi, fece appiccare il fuoco all’edificio nel quale Ifigenia, rimanendo
con le vergini di Cristo, conversava col suo Signore giorno e notte.
Ma mentre
intorno ardeva il fuoco, apparve un angelo del Signore insieme all’apostolo
Matteo, dicendo: "Ifigenia, sta calma e non spaventarti tra queste fiamme;
esse ritorneranno a colui dal quale sono state suscitate". Mentre le
fiamme crepitavano intorno al pretorio ove era la santa Ifigenia, Dio fece
levare un vento fortissimo e cambiò la direzione di quell’incendio dalla dimora
della sua vergine, dirigendolo verso il palazzo di Irtaco che fu distrutto al
punto che in pratica non si salvò nulla di quanto v’era. Irtaco riuscì ad
uscire con il suo unico figlio, ma sarebbe stato meglio se fosse perito.
In suo figlio
entrò un demone violentissimo: con una corsa pazza lo portò al sepolcro dell’apostolo
Matteo; le mani legate dietro la schiena dallo stesso diavolo, fu costretto a confessare
i crimini del padre. I segni della elefantiasi colpirono lo stesso Irtaco da
capo a piedi; non potendo i medici curare tale malattia, egli impugnò la spada
contro di sé: si trafisse, compiendo così un degno supplizio; la spada con la
quale aveva colpito alle spalle l’apostolo del Signore, gli trapassò lo
stomaco.
Dopo ciò,
tutto il popolo saltò di gioia per la di lui morte; a capo di tutto l’esercito
fu posto il
fratello di Ifigenia, di nome
Beor, il quale, per merito di Ifigenia, aveva ricevuto la grazia del Signore
dalla mano di Matteo. Costui pertanto all’età di venticinque anni cominciò a
regnare in Etiopia e mantenne il regno per sessantatre anni. La sua vita giunse
agli ottantotto anni.
Mentre era
ancora vivo, mise a capo dell’esercito il primo dei suoi figli, e il secondo lo
nominò re; vide i figli dei suoi figli, fino alla quarta generazione; ebbe una
saldissima pace con i Romani ed i Persiani. Inoltre tutte le province dell’Etiopia
furono piene di chiese cattoliche, fino al giorno d’oggi, per merito di
Ifigenia.
Quivi accadono
cose meravigliose allorché si celebra il beato apostolo. Egli fu il primo a scrivere,
in ebraico, il Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo che, con il Padre e lo
Spirito santo, vive e regna nei secoli dei secoli.
Tropario - Tono 3
Con
zelo, hai seguito Cristo Maestro, che nella sua bontà, è apparso sulla terra
per l’umanità. Chiamandoti dal banco
delle imposte, Egli ti ha rivelato come un apostolo scelto: l’annunciatore dell’Evangelo
per il mondo intero! Perciò, Matteo divinamente eloquente, onoriamo la tua memoria
preziosa! Prega Dio misericordioso che conceda la remissione alle nostre anime peccatrici.
Kontakion - Tono 4
Gettato
via il giogo del banco di pubblicano, ti sei sottoposto al giogo della
giustizia, e sei divenuto ottimo mercante, che si è acquistato come ricchezza
la sapienza dall’alto: hai così annunciato la parola della verità e hai destato
le anime degli indolenti, descrivendo l’ora del giudizio.
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