“Nabucodonosor, il grande re, / Fortuna tale ebbe in sorte che poté / Arpacsàde
travolgere e finire, / Il cui dominio era tale da coprire / La terra fino al
confine del mare; / ma dopo volle come Dio regnare, / E in bestia si mutò, e fu
gran portento; /……./ Pochi son morti, oggi, domani e ieri, / Tranquillamente
sopra il proprio letto / Dei grandi che pur ebbero il diletto / Del potere, e
finirono ammazzati. / Attenti dunque, sovrani coronati: / Legati siete di Sorte
alla ruota! / E che la sposti Dio basta d’un iota, / Perché sia certa la vostra
caduta. / Iddio servite, e sia da voi temuta / La Sua ira tremenda, che potrà /
Accendersi a ogni istante, e crollerà / Il vostro impero, e travolti sarete. /
D’Ission la ruota mai ferma vedrete, / Ché ad ogni soffio si muove di vento. /
Beato chi al volere è di Dio attento! /…” . (Sebastian Brant, La nave dei folli)
Dal De
gubernatione Dei di Salviano di Marsiglia
(Gub., 4,6,30-31; 5,4,17-18; 5,7,28-29.31-32)
Moltissimi
sono i ricchi di cui i poveri pagano le imposte. Mi spiego: moltissimi sono i
ricchi le cui imposte uccidono i poveri. E quando dico «moltissimi» temo che -
ad onor del vero - dovrei dire «tutti». (...) Ecco a cosa hanno portato i
provvedimenti fiscali adottati recentemente in alcune città: a nient’altro che
ad esentare tutti i ricchi, e a far gravare il fardello delle imposte sui
miseri; a togliere agli uni vecchi canoni, e a caricarne sugli altri di nuovi;
ad arricchire gli uni con la diminuzione delle tasse - anche le più leggere - e
ad affliggere gli altri con l’aumento delle più pesanti. (...) Di qui
constatiamo che non c’è nulla di più scellerato del comportamento dei ricchi,
che con i loro provvedimenti fanno morire i poveri, e non c’è nulla di più
infelice della condizione dei poveri, che vengono uccisi da quello che è stato
adottato come provvedimento per tutti.
(...)
Moltissimi si vedono confiscati i beni dai pochi, che considerano l’esazione
pubblica delle imposte una preda di loro appartenenza e fanno dei titoli del
debito fiscale una personale fonte di lucro. A comportarsi così non sono
soltanto quanti si trovano alla sommità della gerarchia, ma anche gli ultimi
subalterni; non solo i giudici, ma anche i loro subordinati. Quali sono le
città e, persino, i municipi e i villaggi ove i curiales non sono tiranni pubblici? Eppure essi si compiacciono
probabilmente di tale appellativo, che sembra loro espressione di potenza e di
onore. (...) Qual è il luogo - dicevo - in cui i primi cittadini non divorano
le viscere delle vedove, degli orfani e, regolarmente, di tutti i santi? (...)
(...) L’unico
motivo per cui i miseri non ce la fanno a sopportare il carico delle imposte è
che esso supera ogni loro possibilità. (...) Chi potrebbe stimare una simile
ingiustizia? Essi pagano come fossero ricchi, e vivono nell’indigenza dei
mendichi. Ma c’è di più: i ricchi inventano talora imposte supplementari, e a
pagarle sono i poveri. (...) Dinanzi a voi ricchi, noi poveri cediamo alla
vostra volontà! Ma quel che voi - pochi - ordinate, paghiamolo tutti! Che ci
sarebbe di tanto giusto, di tanto umano? Con le vostre decisioni ci gravate di
nuovi debiti: fate almeno che tali debiti siano comuni a voi e a noi! Cosa può
esserci di più iniquo e di più indegno del fatto che ad essere esentati dal
pagarli siate soltanto voi, che rendete debitori tutti gli altri? E così i
poveri - miseri davvero - pagano tutto quello di cui ho detto, e non sanno
assolutamente la causa e la ragione per cui pagano!
Da:
G. BOSIO E. DAL COVOLO M. MARITANO, Introduzione
ai Padri della Chiesa. Secoli IV e V, Torino, 1995, 326-327.
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