Monaci Irlandesi
Del prof. Enzo Farinella
La storia del
monachesimo irlandese, da San Patrizio e San Declan, gli iniziatori di questo
movimento, agli “itineranti” per Cristo, è quanto mai affascinante. Nel VI
secolo d.C., l’abate di Iona (Scozia), Adamnam (624-704), in De locis sanctis
3, 6, 1-3, scrive come il monaco Arculf, di passaggio da Catania, abbia visto
il fuoco del vulcano e sia rimasto colpito dal borbottare dell’Etna, che faceva
tremare tutta la Sicilia. Troviamo monaci irlandesi dappertutto nel mondo
allora conosciuto, in Inghilterra, Scozia, Francia, Svizzera, Belgio, Italia,
Ungheria, Russia, Islanda, Groenlandia e America. Le loro qualità, soprattutto
la conoscenza della lettura e dell’editoria, permisero loro di divenire
consiglieri in grandi posti di responsabilità, come alla Corte di Carlo Magno,
fondatori di monasteri, università (insegnanti ed educatori) e città, editori e
molto rispettati in altri campi.
Sembrerebbe
che dal IV secolo, l’area dell’Irlanda meridionale di Wexford e Waterford
soprattutto, sia stata un rifugio per cristiani, trovandosi così vicina al
confine intereuropeo. Non sappiamo esattamente quando i primi cristiani siano
arrivati in Irlanda. È più che probabile che commercianti o missionari vi
abbiano introdotto il messaggio di Cristo. Documenti vescovili e l’insediamento
monastico di Ardmore, fondato da San Declan, minimo un secolo prima della
venuta di San Patrizio, lo dimostrerebbero.
Secondo la
tradizione, il cristianesimo poteva essere abbastanza consolidato in Irlanda
nel 431, quando, come scrive nelle sue cronache romane Prospero d’Aquinate,
Palladius, ordinato vescovo da Papa Celestino, è stato mandato agli “irlandesi
che credevano in Cristo” per proteggerli dall’eresia o dall’umanismo di
Pelagio. Quest’ultimo non teneva in molta considerazione il peccato originale e
sosteneva che il proprio destino stava nella libertà personale e nel potere
dell’uomo. Egli credeva che la natura umana era essenzialmente buona, anche se
concepita in qualche modo nel peccato. La sua ottimistica credenza in un Dio
amante e benevolo gli propiziò molti seguaci. Comunque egli venne attaccato
furiosamente da S. Geronimo nelle sue lettere (415-416), come asserito nei suoi
Commentari alle Lettere di San Paolo.
Un anno dopo
Palladio, San Patrizio è approdato in Irlanda, prima come pastorello-schiavo
sulle colline di Antrim, nel Nord Irlanda, poi come il grande Santo che tutti
conosciamo. Assoggettato da un uomo rude e senza scrupoli, chiamato Miliucc,
Patrizio visse per sei anni nella solitudine delle montagne, a contatto con la
natura che poco a poco lo riportò a Dio. Una notte in sogno sentì una voce che
lo invitava a partire, fuggendo dal giogo di quell’uomo rude. La seguì.
Raggiunse la sua famiglia in Inghilterra, dove di nuovo in un altro sogno si
sentì chiamare a divenire l’apostolo degli irlandesi. Si recò allora all’isola
di Lering, vicino Cannes, e studiò per oltre 30 anni a Auxerre, prima di essere
ordinato vescovo e di tornare in Ilanda, predicando la libertà per tutti e
l’abolizione della schiavitù. Patrizio convertì anche il suo antico rude
padrone e la maggior parte della popolazione dell’isola, spodestando i Druidi.
Il suo lavoro portò grandi frutti. Il monachesimo fiorì nell’isola.
Così, subito
dopo il crollo dell’Impero Romano, 476 d.C., in un’Europa confusa e sconvolta
da decadenza di valori morali, invasioni barbariche e carestie, dall’Irlanda
parte, con i suoi monaci, un’ondata di rienvangelizzazione e rinascita morale e
culturale, che diventerà presto un’opera di unificazione spirituale e civile
dell’intera Europa. Sotto la guida dei monaci le popolazioni europee
ritornarono a lavorare, a coltivare la terra, a leggere e scrivere. Il
monastero diventa luogo di fede e di incontro tra la gente.
Il movimento
monastico irlandese, pari a quello di San Benedetto, segnò il corso della
storia, della cultura, dell’arte, fornendo un contributo determinante per la
rinascita della civiltà europea. I monaci irlandesi come San Colombano o San
Cataldo, che portarono in Italia uno stile irlandese di cristianesimo - ebbero
un importante ruolo nel preservare il patrimonio culturale indigeno e nello
svilupparlo durante l’assopimento dell’Europa medioevale.
Essi seguirono
nuove vie per la loro vita, lasciandosi dietro agi e piaceri della comune
società. Boschi, cime di montagne o isole solitarie sono divenuti la loro
dimora per studiare le Scritture e comunicare con Dio. Seguivano così l’esempio
degli anacoreti del deserto, che avevano intravisto una nuova forma di santità
vivendo in solitudine in eremitaggi isolati, facendo fronte a ogni genere di
avversità fisica e psicologica e imponendo su se stessi digiuni e penitenze
eroici - tutto questo per essere più vicini a Dio.
Ciò avveniva
alla fine del V secolo e all’inizio del VI, San Mancan, convertito da S.
Patrizio, ci ha lasciato una grafica descrizione di questo nuovo movimento,
elencando i bisogni dei monaci:
1. Un
eremitaggio solitario con accanto una “piccola fontana, dalle acque chiare,
dove tutti i peccati vengono purificati dalla grazia santificante”
2. “Un
boschetto piacevole”, ben protetto dai venti, “con un ruscello”, possibilmente
ricco di salmoni e trote
3. “un
orticello ben rasato con terra molto fertile, buona per ogni tipo di frutti”,
come porro, pollame, selvaggina e api.
Subito dopo
all’eremita tipico si aggiunsero altre persone, desiderose di sedere ai piedi
del maestro. 12 ne venivano ammesse in questo nuovo monastero, a imitazione dei
12 Apostoli di Cristo. Così l’umile eremita, che cominciò chiedendo tanto poco,
divenne l’abate di un monastero di uomini che vivevano in piccole capanne come
alveari, intorno a una chiesa convenzionale, “dove sulla pagina bianca del
Vangelo, brillano le candele del Vangelo”.
Questa
l’origine del monachesimo irlandese. I monaci vivevano da soli, ma si riunivano
per cantare Salmi ad ore precise, incluso alzandosi due volte ogni notte.
Durante il giorno essi studiavano, lavoravano la terra, pregavano e copiavano
libri. Dato che non esistevano città allora in Irlanda, questi centri monastici
sono divenuti presto i primi centri abitati, che si distinguevano per
prosperità, arte e insegnamento. In pratica i monaci costruirono quelle che
sarebbero divenute nel tempo cittadelle universitarie, vere oasi di pace e
preghiera, meditazione e contemplazione, apprendimento e insegnamento.
Studenti, provenienti dall’Irlanda e da varie parti d’Europa, vi hanno trovato
posto. Nessuno, che voleva saperne di più sulla bellezza e sacralità del mondo
o che voleva dedicarsi a una vita più austera, veniva rifiutato. Nobili e gente
comune hanno ricevuto il benvenuto, scrive il Venerabile Beda.
Così, mentre
l’Impero Romano andava in sfacelo, come Thomas Cahill ha scritto nel suo libro
How the Irish saved civilization - Come gli irlandesi hanno salvato la civiltà
- letteratura e cultura fiorivano in Irlanda in posti come Armagh, Inis More
(la più grande delle Isole Aran), Kildare (dove S. Brigide fondò due
monasteri), Clonard, Clonmacnoise, Bangor, Clonfert, Durrow, Derry, Glendalough
e Lismore. I monaci irlandesi crearono importanti centri di sapere e di
irradiazione culturale nella loro patria e anche all’estero. Installatisi in
posti di scuole druidiche o in centri di culto pagano, essi hanno facilitato
non poco il passaggio dal mondo pagano, di cui loro stessi erano un’espressione,
al nuovo mondo della fede cristiana. In quasi tutti i centri monastici
irlandesi è brillata, attraverso i secoli, ininterrottamente fino alle “Leggi
penali”, la fiamma di una candela, simbolo di fede e faro-guida per tutti.
I monaci non
solo pregarono, studiarono e insegnarono in simili centri, ma anche raccolsero
poemi epici, storie d’amore, elegie della vita giornaliera, trasmesse oralmente
per secoli, proprie della cultura indigena celtica, essenzialmente una cultura
pagana. Da questi posti l’Europa ha ricevuto di nuovo cultura e valori e questo
tramite i tanti studenti stranieri che frequentavano l’isola e anche tramite i
tanti monaci che stavano invadendo spiritualmente il mondo. Columcille si recò
a Lindsfarne (Northumbria/Scozia) e poi in Islanda; Brendan, il navigatore in
Groelandia e Nord America e molti altri come Colombano, Cataldo, Fredriano,
Donato e Gall si sono recati in Europa, dove fondarono monasteri che sarebbero
divenuti città, come Bobbio, Fiesole, Lucca, Lumièges, Auxerre, Laon, Luxeuil,
Liège, Trier, Wurzburg, Regensburg, Rheinau, Reichenau, Salzburg e Vienna. La
visione di S. Patrizio sull’importanza della cultura trasformò i primi
cristiani irlandesi nei primi letterati irlandesi.
La letteratura
latina sarebbe andata sen’altro perduta senza l’opera dei monaci irlandesi. “Il
peso dell’influenza irlandese nel continente”, scrive James Westfall Thompson, “è
incalcolabile. La maggior parte dei commentari biblici tra il 650 e l’850 sono
stati scritti da irlandesi. Essi elaborarono autentici capolavori di
calligrafia, come il Libro di Kells, il manoscritto forse più bello del mondo,
prodotto tra l’VIII e il IX secolo. Eccelsero anche in altre arti, altamente
pregiate, come scultura, rilievi in metallo, croci, calici, casse dove conservare
libri, ecc. L’arte ornamentale raggiunse il culmine nell’Irlanda pagana e
cristiana con produzioni in metallo - l’oro compare nei gioielli e nella
placcatura delle armi e con esso l’argento e altri elementi pregiati. Oggi
Dublino può vantare in uno dei suoi musei la più ricca collezione di ornamenti
in oro, esistente in Europa, nonostante le razzie dei vichinghi”.
I monaci
divennero anche "vagabondi" per Cristo. Dalla fine del secolo VI in
poi l’Irlanda si predispose a restituire al mondo il dono della fede che aveva
ricevuto. I suoi monaci, seguendo l’ideale di Peregrinatio pro Christo,
cominciarono a diffondersi nell’Europa, devastata dalle varie invasioni di
Goti, Visigoti, Ostrogoti e a riconquistare intere regioni alla fede cristiana
come in Francia, Olanda, Baviera, Svizzera e anche nella nostra Italia. Il loro
zelo e la loro fede erano tali che essi vivevano per riportarli nelle altre
parti d’Europa. In molti hanno lasciato la loro terra senza sapere dove
andavano. Come San Paolo essi venivano spinti dall’amore per Cristo, pieni di
fiducia nella mano provvidenziale di Dio che li avrebbe guidati dove Lui
voleva. Tra questi Colombano, l’apostolo dell’asceticismo irlandese e fondatore
di Bobbio e considerato come uno dei più grandi europei dei suoi tempi, è una
figura monumentale. Killian ha lasciato Mullagh nella Contea di Cavan per
Wuerzburgh; Colomcille, Derry per Iona nella Scozia; Fursa, visionario, si recò
dall’Irlanda in Inghilterra, poi a Lagny, ad Est di Parigi, poi a Peronne,
conosciuta nel tempo come Peronna Scottorum, Peronne degli irlandesi e la
città. Cataldo, anch’egli figlio dell’Irlanda, ha lasciato Clogheen per
stabilirsi alla fine delle sue peregrinazioni e del suo viaggio in Terra Santa,
a Taranto, come vescovo. Ancora oggi è molto venerato in tutta l’Europa,
incluso 100 città d’Italia, soprattutto nel Meridione, e conosciuto come San
Cataldo. Dovremmo ricordare anche Brendano, un altro monaco irlandese, che,
sembra, abbia raggiunto l’America secoli prima di Cristoforo Colombo. Egli ispirò
con la sua Peregrinatio Brendani, il desiderio di nuove conquiste.
Le Isole Aran
furono sede anche di insediamenti monastici importanti. Allora il sogno più
grande per un monaco del VI, VII, VIII e IX secolo, era quello di diffondere la
fede fuori dell’Irlanda. Così Gall, un monaco con cui Colombano ha avuto un
bisticcio, ha fondato il monastero di S. Gall sulle Alpi. È divenuto la figura
centrale nella formazione della chiesa svizzera. Nel 615, mentre Colombano
moriva, qualcuno bussò alla sua porta - confratelli di Bobbio erano venuti
portandogli il pastorale abaziale di Colombano, quale sua scusa e
riconoscimento implicito che Gall, morto nel 645, era il migliore dei suoi
figli spirituali.
Un altro
Monaco irlandese Dungalo, lavorò con Alcuino - che nel 782 divenne Presidente
della Scuola Palatina, la futura università di Parigi - alla corte di Carlo
Magno e si conquistò la stima e la fiducia del sovrano. Egli venne da questi
inviato a Pavia (la capitale dei Longobardi e poi dei Franchi in Italia) a dirigere
la locale Scuola Palatina. Scuola poi confermata dal re Lotario come la più
importante del Regno, alla quale dovevano accedere per gli studi superiori i
giovani di Milano, Bergamo, Brescia, Novara, Lodi, Asti, Tortona, ecc. – “In
Pavia conveniant ad Dungalum”, come stabiliva il Capitolare e presieduta da
Dungalo. L’odierna Università di Pavia continua a riconoscere le proprie
lontane origini ad ogni nuovo inizio di anno accademico. In questo senso si può
dire che un dotto irlandese si incontra ai primordi della sede universitaria
pavese e dell’istruzione superiore nel Regno d’Italia dell’alto medioevo. Un
aspetto molto interessante è che Dungalo, al termine della sua attività di
insegnamento, decise di ritirarsi a Bobbio presso il monastero del suo compatriota
San Colombano. Alla cui biblioteca lasciò morendo i suoi libri e sono stati
individuati una trentina di codici già appartenuti a Dungalo).
Prima della
fine dell’VIII secolo, monaci irlandesi raggiunsero Modra in Moravia adesso
nella Repubblica Slovacca, a 30 km a Nord di Bratislava. I ruderi di un vecchio
muro di un’antica chiesetta, accanto alla caserma della polizia di Modra e la
vicina piccola cittadina di Malacky sembramo parlare della presenza di monaci
irlandesi in questa parte dell’Europa centrale. Di essi esistono tracce anche a
Kiev. Un altro importante irlandese era John Scoto Eurigena. La cui figura è
stata a lungo ritratta sulle banconote delle cinque sterline irlandesi. Dominò
la scena filosofica europea dal IX secolo in poi e si impose come uno dei
migliori studiosi di autori greci e latini. Insieme a Sedulius Scotus, un altro
irlandese, egli fu una figura centrale nel grande rinascimento che ebbe luogo
in Francia sotto Carlo il Calvo. Eurigena parlava greco e latino. Fu poeta,
capace di scrivere versi anche in greco, pensatore originale, filosofo e
teologo.
Anche nell’XI
e XII secolo i monaci irlandesi hanno dominato. Dovunque essi andarono, hanno
portato con loro l’amore per la cultura, i loro libri, legati al dorso, e la
loro specializzazione nel creare libri. Nelle baie e nelle valli, essi
ristabilirono la cultura e iniettarono nuova vita nell’esausta cultura
letteraria dell’Europa. Essi divennero anche gli editori della nuova Europa.
Molti classici sarebbero andati perduti se non fosse stato per il paziente
lavoro di tali monaci nella loro patria e all’estero, come ha dimostrato il
Rinascimento. I codici di questi miniatori e il loro stile di scrivere
formarono il tesoro delle più importanti biblioteche europee, incluso l’Ambrosiana
di Milano. E così gli irlandesi hanno salvato la civiltà, come nel suo libro
scrive giustamente Thomas Cahill. Essi, con la loro opera, resero un grande
servizio alla storia e alla cultura europea in genere, affermandosi come i veri
protagonisti della cultura medioevale europea. Poggio Bracciolini, il principe
dell’umanesimo fiorentino, scoprì nelle biblioteche dei monasteri di Cluny e di
San Gallo, molte orazioni di Cicerone del tutto nuove, l’Argonautica di Flacco,
le Silvae di Stazio e un Quintiliano integro.
Anche donne
irlandesi si riversarono in Europa. Le chiese dedicate a S. Brigida in Francia,
Germania, Austria, Italia ne danno ampia evidenza. Ad Amay in Belgio è stato
anche scoperto nel 1977 un sarcofago, con ornamenti celtici, contenente il
corpo di una donna (misteriosamente chiamata S. Crodoara), con un pettorale
vescovile.
Nel marzo
1973, poche settimane dopo l’entrata dell’Irlanda nel MEC o Unione Europea, i
vescovi irlandesi scrissero in una Lettera pastorale: “Anche se la nostra è una
piccola nazione, noi non siamo mai andati in Europa mendicando con il berretto
in mano, ma vi siamo andati ai tempi di San Colombano e San Cataldo con la
testa alta, perché avevamo molto da dare e portare. L’Irlanda non è mai stata
una grande potenza europea politicamente o economicamente. Questo non è uno
svantaggio. Il fatto che non siamo mai stati una potenza coloniale ci rende
oggi accetti nelle varie parti del mondo dove forze dell’ONU vengono richieste
per missioni di pace. La nostra parte in Europa è stata sempre da un punto di
vista spirituale e culturale più che politico o economico: una voce che si leva
a favore di valori perenni e della speranza cristiana”.
Così i monaci
irlandesi furono veramente al centro della nuova vita cristiana dell’Irlanda e
dell’Europa. Il contributo dato dai monaci irlandesi alle varie nazioni europee
è enorme. Essi hanno portato valori perenni e speranza cristiana in un mondo
decadente e questo non è poco per una piccola nazione come l’Irlanda.
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