Pinacoteca Ambrosiana
Dalle Istruzioni spirituali di san Colombano
Fratelli
carissimi, ascoltate attentamente. Vi parlerò della inesauribile sorgente
divina. Però, per quanto sembri paradossale, vi dirò: Non estinguete mai la
vostra sete. Così potrete continuare a bere alla sorgente della vita, senza
smettere mai di desiderarla. È la stessa sorgente, la fontana dell’acqua viva
che vi chiama a sé e vi dice: «Chi ha sete venga a me e beva» (Gv 7,37).
Bisogna capire bene quello che si deve bere. Ve lo dice lo stesso profeta
Geremia, ve lo dice la sorgente stessa: «Hanno abbandonato me, sorgente di
acqua viva, dice il Signore» (Ger 2,13). È dunque il Signore, il nostro Dio
Gesù Cristo, questa sorgente di vita che ci invita a sé, perché di lui beviamo.
Beve di lui chi lo ama. Beve di lui chi si disseta della Parola di Dio… Beviamo
dunque alla sorgente che altri hanno abbandonata».
Affinché
mangiamo di questo pane, e beviamo a questa sorgente… egli dice essere il «pane
vivo che dà la vita al mondo (Gv 6,51.33) e che dobbiamo mangiare… Osservate
bene da dove scaturisce questa fonte; poiché quello stesso che è il pane è
anche la fonte, cioè il Figlio unico, il nostro Dio Cristo Signore, di cui
dobbiamo aver sempre fame.
È vero che
amandolo lo mangiamo e desiderandolo lo introduciamo in noi; tuttavia dobbiamo
sempre desiderarlo come degli affamati. Con tutta la forza del nostro amore
beviamo di lui che è la nostra sorgente; attingiamo da lui con tutta l’intensità
del nostro cuore e gustiamo la dolcezza del suo amore. Il Signore infatti è dolce
e soave: sebbene lo mangiamo e lo beviamo, dobbiamo tuttavia averne sempre fame
e sete, perché è nostro cibo e nostra bevanda. Nessuno potrà mai mangiarlo e
berlo interamente, perché mangiandolo e bevendolo non si esaurisce, né si
consuma. Questo nostro pane è eterno, questa nostra sorgente è perenne. (Istr. 13, 2, 3)
* * *
Mosé ha
scritto nella legge: Dio creò l’uomo a sua immagine e somiglianza (cfr. Gn 1,
27. 26). Considerate, vi prego, la grandezza di questa espressione Dio
onnipotente, invisibile, incomprensibile, ineffabile, inestimabile, plasmò l’uomo
dal fango della terra e lo nobilitò con la dignità della sua immagine. Che cosa
vi può essere di comune tra l’uomo e Dio, tra il fango e lo spirito? “Dio”,
infatti, “è spirito” (Gv 4, 24). Quale grande degnazione è stata questa, che
Dio abbia dato all’uomo l’immagine della sua eternità e la somiglianza del suo
divino operare! Grande dignità deriva dall’uomo da questa somiglianza con Dio,
purché sappia conservarla. Gravissimo titolo di condanna è invece per lui la
profanazione di quella immagine. Se l’uomo userà rettamente di quella facoltà
che Dio ha concesso alla sua anima, allora sarà simile a Dio. Ricordiamoci che
gli dobbiamo restituire tutti quei doni che egli ha depositato in noi quando
eravamo nella condizione originaria. Ce ne ha insegnato il modo con i suoi
comandamenti.
Il primo di
essi è quello di amare il Signore nostro con tutto il cuore, perché egli per
primo ci ha amati, fin dall’inizio dei tempi, prima ancora che noi venissimo
alla luce di questo mondo. L’amore di Dio è la rinnovazione della sua immagine.
Ama veramente Dio chi osserva i suoi comandamenti, poiché egli ha detto: “Se mi
amate, osserverete i miei comandamenti” (Gv 14, 15). Il suo comandamento è l’amore
reciproco. Così è stato detto: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli
uni gli altri, come io vi ho amati” (Gv 15, 12). Il vero amore però non si
dimostra con le sole parole “ma coi fatti e nella verità” (1 Gv 3, 18).
Dobbiamo quindi restituire al Dio e Padre nostro la sua immagine non deformata,
ma conservata integra mediante la santità della vita, perché egli è santo.
Per questo è
stato detto: “Siate santi, perché Io sono santo” (Lv 11, 44). Dobbiamo
restituirgliela nella carità, perché egli è carità, secondo quanto dice
Giovanni: “Dio è carità” (1 Gv 4, 18). Dobbiamo restituirgliela nella bontà e
nella verità, perché egli è buono e verace. Non siamo dunque pittori di una
immagine diversa da questa. Dipinge in sé l’immagine di un tiranno chi è
violento, facile all’ira e superbo. Perché non avvenga che dipingiamo nel
nostro animo immagini tiranniche, intervenga Cristo stesso e tracci nel nostro
spirito i lineamenti precisi di Dio. Lo faccia proprio trasfondendo in noi la
sua pace, lui che ha detto: “Vi lascio la mia pace, vi do la mia pace” (Gv 14,
27). Che cosa tuttavia ci servirebbe sapere che la pace è in sé buona, se poi
non fossimo capaci di conservarla? In genere le cose migliori sono anche le più
fragili. Le cose più preziose poi esigono la vigilanza più cauta e diligente. È
troppo fragile quello che si spezza con una sola parola o che va in rovina per
la più piccola offesa al fratello. Nulla piace tanto agli uomini quanto parlare
delle cose altrui, darsi pensiero degli affari degli altri e passare il tempo
in inutili conversazioni, mormorando degli assenti.
Tacciano
quelli che non possono dire: “Il Signore mi ha dato una lingua da iniziati,
perché io sappia indirizzare allo sfiduciato una parola” (Is 50, 4) e, se
dicono qualcosa, sia una parola di pace. (Istr.
11, 1-2)
* * *
Quanto sono
beati, quanto sono felici “quei servi che il Signore, al suo ritorno, troverà
ancora svegli”! (Lc 12,37). Veglia veramente beata quella in cui si è in attesa
di Dio, creatore dell’universo, che tutto riempie e tutto trascende! Volesse il
cielo che il Signore [Gesù] si degnasse di scuotere anche me, meschino suo
servo, dal sonno della mia mediocrità e accendermi talmente della sua divina
carità da farmi divampare del suo amore sin sopra le stelle, sicché ardessi dal
desiderio di amarlo sempre più, né mai più in me questo fuoco si estinguesse!
Volesse il cielo che i miei meriti fossero così grandi che la mia lucerna
risplendesse continuamente di notte nel tempio del mio Dio, sì da poter
illuminare tutti quelli che entrano nella casa del mio Signore! O Dio Padre, ti
prego nel nome del tuo Figlio Gesù Cristo, donami quella carità che non viene
mai meno, perché la mia lucerna si mantenga sempre accesa, né mai si estingua;
arda per me, brilli per gli altri. Dégnati, o Cristo, dolcissimo nostro
Salvatore, di accendere le nostre lucerne: brillino continuamente nel tuo
tempio e siano alimentate sempre da te che sei la luce eterna; siano
rischiarati gli angoli oscuri del nostro spirito e fuggano da noi le tenebre
del mondo. Dona, dunque, o Gesù mio, la tua luce alla mia lucerna, perché al
suo splendore mi si apra il santuario celeste, il santo dei santi, che sotto le
sue volte maestose accoglie te, sacerdote eterno del sacrificio perenne. Fa’
che io guardi, contempli e desideri solo te; solo te ami e solo te attenda nel
più ardente desiderio. Nella visione dell’amore il mio desiderio si spenga in
te e al tuo cospetto la mia lucerna continuamente brilli e arda. Dégnati, amato
nostro Salvatore, di mostrarti a noi che bussiamo, perché, conoscendoti, amiamo
solo da te, te solo desideriamo, a te solo pensiamo continuamente, e meditiamo
giorno e notte le tue parole. Dégnati di infonderci un amore così grande, quale
si conviene a te che sei Dio e quale meriti che ti sia reso, perché il tuo
amore pervada tutto il nostro essere interiore e ci faccia completamente tuoi.
In questo modo non saremo capaci di amare altra cosa all’infuori di te, che sei
eterno, e la nostra carità non potrà essere estinta dalle molte acque di questo
cielo, di questa terra e di questo mare, come sta scritto: «Le grandi acque non
possono spegnere l’amore» (Ct 8, 7). Possa questo avverarsi per tua grazia,
anche per noi, o Signore nostro Gesù Cristo, a cui sia gloria nei secoli dei
secoli. Amen. (Istr. 12, 2-3)
Nessun commento:
Posta un commento