Dalla Lettera XXVIII a Flaviano patriarca di Costantinopoli
di san Leone Magno papa di Roma antica
La maestà
divina ha fatto propria la debolezza umana; la onnipotenza ha fatto propria la
fragilità dell’uomo; e quanto è eterno ha preso su di sé quanto è mortale. Per
scontare il debito della nostra colpa d’origine piombata nella condizione
terrena, la natura divina che non soffre variazioni di sorta, s’è voluta unire
alla nostra che è passibile. Per fare quanto era congruente a portare rimedio
al nostro essere, l’unico e medesimo mediatore tra Dio e gli uomini, l’uomo
Gesù Cristo, fece sì che, per un verso, potesse morire, e, per un altro, morire
non potesse. Dio vero è nato nella natura integra di un uomo vero e completo
nella sua natura umana; con tutto ciò che gli appartiene in quanto Dio; con
tutto ciò che ci appartiene in quanto uomo.
Quando diciamo
«nostra», intendiamo riferirci a tutte le realtà create da Dio fin dall’inizio
dell’esistenza dell’uomo, ossia tutto ciò che il Verbo assunse su di sé per restaurare
la natura umana. Ma quanto lo spirito ingannatore immise nell’uomo, e quanto
l’uomo ingannato perse, di tutto ciò non vi fu traccia alcuna nel nostro
Salvatore. E poiché per rendersi in tutto simile a noi ha preso su di sé tutto
quanto è nostro, non perciò diciamo che egli si sia reso partecipe delle nostre
colpe. Ha assunto la forma di servo, ma senza la macchia di peccato che è
nell’uomo; ha potenziato la natura umana senza però portare danno alla divina,
in quanto l’abbassamento mediante il quale da invisibile che era si è reso
visibile, e da Creatore e Signore di tutte le realtà volle anch’egli essere uno
tra i mortali, fu per la condiscendenza della sua misericordia, non per il
venire meno della sua onnipotenza. Pertanto, colui che rimanendo Dio, si è
insieme fatto anche uomo nella forma di schiavo, è lui che aveva creato l’uomo.
Conserva la proprietà che gli appartiene, senza nulla perdere, dell’una o
dell’altra natura; e come la forma di schiavo non toglie nulla alla forma di
Dio, allo stesso modo la forma dello schiavo nulla tolse alla forma che
appartiene alla divinità.
E, dato che il
diavolo menava vanto d’avere soggiogato ingannevolmente l’uomo e d’averlo
spogliato dei doni avuti da Dio, d’averlo sottomesso alla dura condizione di
morte, dopo che l’aveva depredato del dono dell’immortalità, così – il diavolo
– in qualche modo, trovava un sollievo per avere compagno di sventura qualcuno
e, in certo modo, uno compartecipe della sua prevaricazione. Si poteva
rallegrare, in un certo senso, il diavolo, che Dio – dato che lo esigeva la
ragionevolezza della giustizia – avesse cambiato atteggiamento nei confronti
dell’uomo, creato all’inizio dei tempi ad un livello di così alta dignità. Era
necessario un nuovo piano di salvezza voluto da Dio, perché colui che è
immutabile per natura e la cui volontà salvifica non può essere smentita, che
si instaurasse una misteriosa disposizione della sua misericordia nei nostri
confronti, così da completare l’antico progetto con un intervento
straordinario; così si restaurava l’antico piano misericordioso: il diavolo,
con la sua ingannevole astuzia, aveva cercato di spingere l’uomo contro Dio; ma
l’uomo non poteva perire.
Il
Figlio di Dio entra perciò all’interno delle realtà più umili di questo mondo,
scendendo dal trono della gloria celeste, ma senza abbandonare la gloria che ha
in comune con il Padre, generato in un nuovo ordine e nato con una generazione
nuova. Nuovo è l’ordine, in quanto, da invisibile che era nella sua natura, si
è reso visibile nella nostra; da incomprensibile che era, ha voluto essere
racchiuso entro termini limitati; e mentre esisteva prima del tempo, ha
cominciato ad esistere nel tempo; occultata in qualche modo l’immensità della
sua maestà divina, il Signore di tutto si è degnato di assumere la forma di servo;
Dio impassibile, non ha disdegnato di divenire passibile uomo, e, da immortale,
si è sottomesso a tutte le leggi di morte. È una nuova generazione quella nella
quale il Figlio di Dio si è manifestato nascendo, perché l’integra e inviolata
verginità di Maria non ha conosciuto concupiscenza alcuna, mentre ella ha
fornito ciò che è proprio della carne, ossia la materia corporea. La natura umana
viene al Signore dal corpo della madre sua, ma senza colpa di sorta: Gesù
Cristo ha preso dalla madre la natura umana. E tuttavia non ne segue che la
natura del Cristo sia differente dalla nostra, anche se la sua è straordinaria,
perché generato nel seno di una vergine.
Infatti colui
che è vero Dio è anche vero uomo; nell’unione dell’elemento divino con quello
umano non c’è falsità di sorta, perché sono in reciproco rapporto sia l’umiltà
in quanto uomo, e l’altezza in quanto Dio. Poiché come Dio non muta per il
fatto che usa misericordia, così l’uomo non è assorbito dalla dignità divina. Reciprocamente
le due nature operano in unione vicendevole, secondo la loro propria natura: il
Verbo opera secondo la natura di Verbo per ciò che gli è proprio; e la carne in
quanto opera per il fatto di essere carne. Il primo elemento, quello divino,
brilla per i miracoli; il secondo, l’umano, soggiace alle offese. E come il
Verbo non si allontana dalla gloria che ha in comune con il Padre, così la
carne non abbandona ciò che le appartiene per essere solidale con il nostro genere.
Il Figlio di Dio rimane sempre uno solo e sempre il medesimo – è affermazione
che occorre ripetere spesso –, ma è anche e sempre allo stesso modo figlio dell’uomo.
È Dio, per ciò che si legge nell’evangelista: In principio esisteva il Verbo,
il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio; ma anche uomo, come si ha dal
seguito del testo evangelico: Il Verbo si è fatto uomo ed è venuto a porre le
sue tende in mezzo a noi. Era Dio, per il fatto che ogni realtà creata è stata
creata per mezzo del Verbo, e senza il Verbo nulla è stato creato; ma uomo per
il fatto che è nato da donna, nato sotto la legge. La nascita nella carne è
chiara prova della natura umana; il parto da una vergine è prova della divina
potenza. Il neonato si rende manifesto nell’umiltà del presepio, ma la
sublimità dell’Altissimo trova testimonianza nelle voce degli angeli.
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