Dal Commento
all’Evangelo di san Matteo
di san Giovanni Crisostomo
Discorso nono – Mt. 2, 16-23
Allora
Erode, vistosi deluso dai Magi, si adirò forte, e mandò a trucidare tutti i
bambini che erano in Betlemme e in tutto il suo territorio, dai due anni in
giù, secondo il tempo che aveva indagato dai Magi[1].
1. – Erode non avrebbe
dovuto lasciarsi dominare dalla collera. Avrebbe dovuto, al contrario, nutrire
timore, e riconoscere che stava per intraprendere azioni che non avrebbe potuto
portare a termine. Ma niente lo arrestò. Quando un’anima è divenuta empia e
malata senza speranza, rifiuta ogni rimedio che Dio le offre per guarirla.
Osservate questo sovrano che aggiunge crimini ai suoi precedenti delitti, che
allunga la catena dei suoi omicidi e si getta in un precipizio dopo l’altro. La
sua collera, la sua invidia sono come un demone che lo trasporta e lo
sconvolge, senza che nessuna ragione lo possa trattenere. Come un folle, si
pone contro la natura stessa: furioso per essere stato giocato dai Magi, scatena
la sua ira contro dei fanciulli innocenti. Sembra insomma che egli voglia
attuare, in Giudea, quello stesso delitto che il Faraone compì un tempo in
Egitto.
«Erode mandò – dice il l’Evangelo
– a trucidare tutti i bambini che erano in Betlemme e in tutto il suo
territorio, dai due anni in giù, secondo il tempo che aveva indagato dai Magi».
Prestatemi tutta la vostra attenzione. Molti parlano con leggerezza di questi
bambini e ritengono ingiusta la loro sorte. I più moderati tra questi critici
manifestano la loro perplessità; ma altri sono più arditi e adirati.
Ascoltatemi ora pazientemente, mentre per un momento mi trattengo su questo
argomento, allo scopo di liberare i primi dai loro dubbi e i secondi dalla loro
follia. Se infatti si osa accusare Dio di aver lasciato uccidere questi
bambini, si dovrebbe accusarlo anche della morte dei soldati che custodivano
Pietro: come nel primo caso quei bambini morirono al posto di Gesù, che si
salvò con la fuga mentre Erode voleva ucciderlo, così anche quando Pietro fu
liberato da un angelo dalle sue catene e dalla sua prigionia, il tiranno, che
assomigliava tanto al primo per il nome e la crudeltà, non avendolo trovato
fece morire al suo posto i soldati che lo custodivano[2]. Ma a
che serve – mi direte voi – questo esempio? Esso sembra aumentare le difficoltà
della questione, non eliminarle. Lo so bene, ma io l’ho deliberatamente citato
e, se esso aggiunge un nuovo problema al primo, l’ho fatto allo scopo di
rispondere nello stesso tempo a tutti e due. Ma qual è questa risposta e che
cosa possiamo dire di plausibile a tale proposito? La risposta è che Gesù
bambino non è affatto responsabile della morte di quei fanciulli, ma soltanto
la crudeltà del re Erode, così come non fu affatto Pietro responsabile della
morte delle sue guardie, ma la follia e la brutalità del tiranno.
Se avesse trovato le
porte della prigione aperte, o il muro sfondato, Erode avrebbe potuto avere una
giustificazione nel condannare la negligenza dei soldati che custodivano
l’apostolo. Ma, poiché trovò tutto intatto: le porte chiuse, le catene ancora
avvinte alle mani delle guardie (essi, infatti, erano in catene insieme a
Pietro), egli avrebbe dovuto concludere, se fosse stato capace di giudicare
obiettivamente i fatti, che la liberazione non era stata affatto la conseguenza
di una forza umana o di qualche tradimento, ma dell’intervento di una potenza
del tutto straordinaria e divina. Avrebbe dovuto adorare l’autore di un sì
grande miracolo, anziché far pagare dell’accaduto ai soldati. Dio, nel compiere
questo miracolo, aveva fatto quanto era necessario non soltanto per non esporre
le guardie alla morte, ma anche per condurre il re alla conoscenza della
verità. Se il tiranno persistette nella sua empietà, perché dare la colpa al
sapiente medico delle anime, che opera il bene in tutti i suoi atti, di un male
che si verifica per la follia del malato?
Ebbene, possiamo dire
qui la stessa cosa. Perché, Erode, ti lasci trascinare dalla furiosa collera
quando ti ritieni ingannato dai Magi? Non sai dunque che questa nascita è
divina? Non hai appunto riunito i gran sacerdoti e gli scribi? Non ti hanno
essi dimostrato che il profeta aveva da gran tempo preannunziato questa
nascita? Non ti sei reso conto dell’ammirabile connessione tra il passato e il
presente? Non hai sentito dire che una stella è servita loro da guida ? Non ti
sei sentito arrossire dallo zelo dimostrato da quegli stranieri? E non hai
ammirato il coraggio e la franchezza con cui i Magi ti hanno parlato? Non sei
stato colto dal fremito di fronte alla verità annunziata dal profeta ? Non hai
dedotto dai fatti antecedenti anche le successive conseguenze? Come mai non sei
stato capace di giudicare il futuro basandoti sul passato? Perché, dunque,
tutte queste cose non ti hanno fatto giungere alla conclusione che non era
l’inganno dei Magi, ma la potenza di Dio che guidava lo svolgersi di tutti gli
eventi con mirabile sapienza? E, infine, quand’anche tu fossi stato realmente
giocato dai Magi, perché agire in quel modo con quei bambini che non ti avevano
fatto niente di male?
2. – D’accordo – voi
direte – tu hai dimostrato in modo indiscutibile che Erode era un uomo
sanguinario e che la sua crudeltà non ha giustificazioni: ma non hai risposto
alla nostra obiezione relativa all’ingiustizia dell’uccisione dei bambini. Sì,
fu Erode a commettere quell’ingiustizia, ma – voi mi chiederete – perché Dio
permise che egli la commettesse? Che cosa posso rispondervi se non quanto sono
solito ripetervi, nella chiesa e dovunque, e che vi prego di meditare con
diligenza? Si tratta infatti di una norma indispensabile per risolvere altre
analoghe difficoltà. Ma di quale norma si tratta? – mi direte.
Ecco cosa vi rispondo.
Sono molte le persone che fanno del male agli altri; ma io sostengo che non c’è
nessun uomo che sia realmente colpito e danneggiato dal male. Per non tenervi
sulle spine vi dico subito che, chiunque sia tra gli uomini ad offenderci, Dio
volge il male che ci vien fatto a nostro vantaggio e se ne serve o per
perdonarci le nostre colpe o per aumentare la ricompensa che ci prepara. Vi
darò un esempio per chiarire meglio quanto vi dico. Supponiamo che un servo sia
debitore di una considerevole somma al suo padrone e che questo servo sia
aggredito dai ladroni, i quali lo derubano di una parte di ciò che possiede.
Se, allora, il padrone, che pur poteva impedire questa rapina oppure era in
grado di obbligare i ladri a restituire
al servo il maltolto, non interviene per impedire la rapina, ma tien conto del
furto che il servo ha subito e diminuisce il debito che egli ha verso di lui,
possiamo forse dire che il servo è stato danneggiato? Nessuno potrebbe
evidentemente dirlo. Al contrario, se il padrone gli condona più di quanto gli
è stato rubato, ebbene, il servo realizza un guadagno da questa vicenda,
anziché una perdita. È evidente che le cose stanno così. Teniamo presente
quest’esempio, quando siamo ingiustamente colpiti da qualche sciagura. E siamo
di conseguenza certi che le tribolazioni di cui siamo afflitti ci otterranno la
remissione di tutti i nostri peccati, oppure, se i nostri peccati sono
inferiori alle tribolazioni che ingiustamente soffriamo, esse ci faranno
meritare una più splendida corona. Dice infatti Paolo a proposito di quell’uomo
che era caduto nel peccato di fornicazione: «Venga dato un tale uomo in mano a
Satana a perdizione della carne, affinché ne vada salvo lo spirito nel giorno
del Signore»[3]. Potreste replicare
dicendo che, qui, si tratta di tribolazioni che i nostri nemici ci fanno
ingiustamente soffrire e non di correzioni che i maestri ci impongono per farci
migliorare. Ma, se considerate con cura le une e le altre, non ci troverete
alcuna differenza. E, d’altra parte, il nostro problema consisteva nel sapere
se le tribolazioni di cui siamo afflitti sono veramente un male per noi che le
subiamo.
Posso peraltro farvi un
secondo esempio, che si avvicina di più alla questione di cui ci occupiamo. Vi
ricordate che David, vedendosi insultato per la sua disgrazia, da quel Semei
che gli lanciava contro le più violente ingiurie, trattenne i suoi soldati che
volevano uccidere l’offensore, dicendo: «Insulti pure; è Dio che glielo ha
suggerito. Forse egli avrà riguardo alla mia afflizione e mi renderà grazie in
cambio degli insulti di oggi»[4]. E la
stessa cosa David canta nei suoi salmi: «Guarda i miei nemici come son
numerosi, e quanto è ingiusto l’odio che mi portano: rimetti tutti i miei
peccati»[5]. E
Lazzaro stesso guadagna il riposo eterno grazie alle infinite tribolazioni che
aveva sofferto in questa vita. Coloro, dunque, ai quali gli altri vogliono far del
male, in realtà non ne sono affatto danneggiati, se li sopportano con fortezza;
al contrario, riportano un guadagno ben più grande, sia che le tribolazioni
vengano da Dio, sia che il diavolo li perseguiti.
Ma quale delitto – voi
mi direte – dovevano espiare quei bambini da meritare una morte così terribile?
Ciò che tu dici – qualcuno potrebbe obiettare – va bene per persone già avanti
con l’età, che hanno commesso molti peccati; ma questi innocenti, colpiti da
morte immatura, quali peccati avevano commessi da dover essere lavati da sì
grave pena? Ricordatevi di quanto ho detto, cioè che se l’ingiustizia
inflittaci non trova in noi peccati, allora i mali che ci colpiscono procurano
a noi un aumento di ricompensa. Quale male reale è dunque toccato a quei bambini,
quando, morendo per quella causa, sono entrati immediatamente nel porto eterno
della pace? Ma essi avrebbero potuto realizzare molte grandi opere, se avessero
vissuto più a lungo – voi potreste ribattere. Ma credete, dunque, che la loro
ricompensa, per il fatto di essere stati uccisi al posto di Gesù Cristo, sia
stata mediocre? E, a questo punto, possiamo anche dire che, se Dio avesse
previsto che essi avrebbero raggiunto un giorno una elevata virtù, in tal caso
non avrebbe permesso che fossero uccisi da una morte prematura. Infatti, se
egli tollera con una pazienza infinita anche coloro che resteranno sempre nella
colpa, avrebbe a maggior ragione impedito la morte di quei bambini, se avesse
saputo, nella sua prescienza, che essi avrebbero compiuto grandi e meritevoli azioni.
3. – Ecco, dunque, che
cosa possiamo dire su questo argomento. Ma ci sono anche altre ragioni, ben più
segrete, che spiegano la condotta di Dio; ragioni che ben conosce colui che ha
regolato gli sviluppi di questa vicenda con grande provvidenza. Lasciamo,
dunque, a Dio la conoscenza esatta e completa di questi misteri; andiamo avanti
e impariamo, comunque, sull’esempio delle tribolazioni degli altri, a
sopportare con coraggio tutte quelle che possono colpire noi.
Allora si abbatté su
Betlemme una grave tragedia: si vedevano da ogni parte bambini strappati dal
seno della madre per essere uccisi con un’ingiusta strage! Ebbene, se voi siete
deboli e poco virtuosi per soffrire con pazienza senza lamentarvi, gettate lo
sguardo sulla morte di Erode che osò compiere quel misfatto e tirate un respiro
a quella vista. La giustizia di Dio fu velocissima a colpirlo e gli inflisse
una punizione proporzionata al suo delitto; la sua vita si chiuse con una morte
crudele, più terribile di quella che egli aveva inflitto agli innocenti e
accompagnata da mille altri mali, come sanno coloro che hanno letto la storia
di quei fatti scritta da Giuseppe[6]. Non
ritengo necessario riportarla qui per non dilungarmi e interrompere la
spiegazione dell’Evangelo.
Si
adempì allora ciò che era stato detto dal profeta Geremia: Un grido s’è udito
in Rama, un pianto e un lamento grande: è Rachele che piange i suoi figliuoli e
non ammette conforto perché essi non sono più[7]. Siccome l’evangelista ha ricolmato lo
spirito del lettore di spavento e di orrore, mostrandogli una strage così
violenta, ingiusta, crudele e barbara, subito lo consola dicendogli che essa
non era affatto accaduta per l’impotenza o per l’ignoranza di Dio, ma che, al
contrario, Dio sapeva da lungo tempo tutto questo e lo aveva, anzi,
preannunciato per bocca del suo profeta. Non abbiate più timore, dunque;
risollevate il vostro animo, ora che avete innanzi agli occhi l’ineffabile
provvidenza di Dio, che si manifesta sia nei suoi atti, sia in ciò che permette.
Gesù Cristo richiama ai suoi apostoli proprio questo, in un’altra occasione. Dopo
aver preannunziato che essi sarebbero stati trascinati davanti ai tribunali e
condotti al patibolo, che tutta la terra si sarebbe sollevata contro di loro e
avrebbe fatta ad essi una guerra senza quartiere, subito dopo aggiunge per consolarli
e rianimarli: «Non si vendono dunque due passerotti per un soldo? Eppure
nemmeno uno ne casca senza il volere del Padre vostro celeste»[8].
Parla così per far loro intendere che niente di ciò che accade gli è nascosto:
egli vede tutto, anche se non interviene sempre con la sua azione diretta. Non
temete, non turbatevi, - egli dice in sostanza. Colui che vi vede soffrire e
potrebbe impedirlo, vi mostra in questo modo che, se permette le vostre
sofferenze, è perché è previdente e sollecito del vostro bene. Con questo
pensiero e con questo sentimento noi dobbiamo perciò sopportare ogni
tribolazione, perché così troveremo in essa tutta la consolazione che possiamo
desiderare.
Ma qualcuno potrà dire:
Cosa c’è di comune tra Rachele e Betlemme? «Rachele» - dice l’Evangelo -
«piange i suoi figli». E ugualmente qualcun altro potrebbe chiedere: Cosa c’è
di comune tra Rama e Rachele? Rachele, fratelli miei, era la madre di Beniamino
e fu seppellita, dopo la sua morte, in un campo vicino a Betlemme. Siccome il
suo sepolcro era, appunto, vicino a Betlemme e il campo dove si trovava la
tomba era stato ceduto alla tribù di Beniamino cui apparteneva anche Rama,
ebbene l’Evangelo chiama questi innocenti uccisi «figli di Rachele», in
considerazione del capo della tribù e del luogo della sepoltura. E, per sottolineare
che quel dolore era crudele e incurabile, aggiunge: «e non ammette conforto
perché essi non sono più».
Da tutto questo noi
apprendiamo ancora una volta che non dobbiamo mai turbarci, quando ci capitano
cose apparentemente contrarie alle promesse che Dio ci ha fatte. È appena nato
colui che è venuto per salvare il suo popolo, o meglio tutta la terra: ebbene,
osservate quali sono gli inizi della sua opera. Sua madre deve fuggire, il suo
paese natio è colpito da una terribile sventura, è teatro della più atroce
strage e da ogni parte non si sentono che i pianti, i gemiti disperati, le
grida di dolore delle madri. Ma tuttavia – ripeto – non dovete turbarvi. Dio è
solito realizzare i suoi disegni per vie che, apparentemente, sembrano opposte
allo scopo che si prefigge e così ci offre una validissima prova della sua
onnipotenza. È a questa scuola che egli ha educato i suoi discepoli,
preparandoli ai loro grandi compiti con mezzi in apparenza contrari agli scopi,
in modo che il prodigio risultasse alla fine ancora più grande. Sopportando,
infatti, le flagellazioni, l’esilio e mille altre tribolazioni, essi ebbero il
sopravvento su quelli che avevano inflitto loro tante persecuzioni.
4. – Morto Erode, un angelo del Signore apparve
in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: «Levati e prendi il bambino e sua
madre e va’ in terra d’Israele» [9].
L’angelo non dice più «fuggi», ma «va’»; la calma fa seguito alla tempesta.
Perciò il pericolo tornerà nuovamente dopo la quiete. Infatti, lasciando quella
terra straniera e tornando nel suo paese, Giuseppe apprende la morte di quel
massacratore di quei bambini innocenti; ma non appena è arrivato in patria,
trova che il pericolo non è del tutto finito, perché vive e regna in Israele il
figlio del tiranno[10].
Ma in che modo Archelao
regnava in Giudea, dato che essa era governata da Ponzio Pilato? Sta di fatto
che Erode era morto da poco e il suo regno non era stato ancora diviso in varie
parti, come più tardi accadde. Per un certo tempo, infatti, Archelao regnò
sulla Giudea al posto di Erode, che l’evangelista chiama qui suo padre[11] per
distinguerlo dall’altro Erode, figlio anch’egli del re morto e fratello di
Archelao medesimo. Ma qualcuno dirà: Se Giuseppe temeva di andare in Giudea a
causa di Archelao, avrebbe dovuto temere anche la Galilea a causa di Erode, suo
fratello. Io credo che Giuseppe ritenne sufficiente, per essere al riparo dai
pericoli che temeva, cambiar regione dato che il furore del defunto Erode si
era scatenato su Betlemme e sui paesi circostanti. E Archelao credeva certo
che, compiuta ormai la strage, non ci fosse più niente di cui preoccuparsi e
che fosse stato certamente ucciso insieme agli altri quel bambino che suo padre
aveva tanto cercato; d’altra parte, avendo visto suo padre morire in quel
terribile modo, egli in seguito agì più moderatamente, avendo paura a rinnovare
i suoi crudeli eccessi.
Giuseppe venne a
Nazareth sia per evitare il pericolo che aveva corso in Giudea, sia per
rivedere il paese che gli era tanto caro; d’altra parte egli ricevette un
avvertimento dall’angelo perché prendesse con sicurezza quella decisione. Luca
non precisa che egli andò là dietro comando dell’angelo, ma dice soltanto che,
compiuta la purificazione della Vergine, essi tornarono a Nazareth. Che cosa
diremo noi per conciliare le tesi dei due evangelisti? Diremo che il ritorno a
Nazareth, di cui parla Luca, precede la fuga in Egitto, in quanto Dio non
ordinò loro di fuggire in Egitto prima della purificazione, perché la legge non
fosse violata in qualche modo. Compiuta questa cerimonia, essi andarono a
Nazareth, ove li raggiunse l’ordine dell’angelo di fuggire in Egitto. E fu al
ritorno da questo esilio che l’angelo ordinò loro di andare di nuovo a
Nazareth. La prima volta, dopo la purificazione, non erano stati avvertiti
dall’angelo, ma di loro spontanea volontà erano ritornati nel loro paese:
infatti, essi erano venuti a Betlemme soltanto per ottemperare all’ordine
dell’imperatore, relativo al censimento, e in questo paese non avevano trovato
neppure un luogo ove alloggiare; compiute le modalità del censimento, dopo la
nascita del bambino, tornarono a Nazareth. Dunque l’angelo ordina loro, al
ritorno dall’Egitto, di andare a stabilirsi nel loro paese. Anche questo
accadde con un preciso disegno, cioè affinché
si adempisse – dice l’Evangelo – ciò
che era stato detto dai profeti: Egli sarà chiamato Nazareno[12].
Quale profeta ha fatto
questa predizione? Cercate di non essere a questo proposito né troppo curiosi
né troppo pignoli. Molte profezie sono andate perdute, come si può capire dal
libro dei Paralipomeni. La pigrizia dei giudei ha favorito la perdita di alcuni
libri sacri, così come la loro empietà ne ha bruciati e distrutti altri.
Proprio il profeta Geremia si lamenta della loro empietà, mentre la loro
trascuratezza è attestata nel quarto libro dei Re, ove si narra come, dopo
molto tempo, si riuscì a fatica a trovare il libro del deuteronomio, che era
stato sotterrato e i cui caratteri erano pressoché cancellati [13]. Se,
mentre il loro paese era in pace, lasciarono perire questi libri, quanti ne
saranno andati perduti nel corso delle numerose invasioni di popoli stranieri?
Del resto, proprio perché lo predissero i profeti, gli apostoli spesso
chiamarono Cristo «Nazareno» [14].
Questo fatto, allora,
rendeva oscura e non facilmente comprensibile la profezia relativa a Betlemme?
Niente affatto. Ché, proprio questo doveva, al contrario, stimolare la loro
curiosità e spingerli a indagare su quanto era stato detto di lui nelle
profezie. Come si sa, fu il nome di Nazareth che spinse Natanaele a informarsi
su Gesù Cristo, da cui si recò dopo aver detto: «E può venire qualcosa di buono
da Nazareth?»[15]. Nazareth era, infatti,
un villaggio di nessun conto, come del resto pochissima importanza aveva tutta
la regione della Galilea. Perciò i farisei dissero a Nicodemo: «Ricerca bene e
vedrai che non sorge profeta dalla Galilea»[16].
Tuttavia, Cristo non si vergognò di prender nome da questa patria, per
mostrarci che non aveva affatto bisogno di ciò che gli uomini ritengono
importante. Egli scelse i suoi apostoli proprio in Galilea, paese disprezzato
dai giudei, per togliere ogni scusa ai pigri e far loro vedere che non occorre
niente di tutto quanto è esteriore, se essi si applicano con zelo alla virtù.
Sempre per questo motivo il Figlio di Dio non volle affatto una casa sua: «Il
Figliolo dell’uomo non ha dove posare il capo», egli dice[17]. Per
questa ragione fugge quando Erode vuole ucciderlo; appena nato viene deposto in
una mangiatoia e rimane in una stalla; si sceglie anche una madre povera: ed ha
fatto tutto ciò per abituarci a non arrossire di queste cose, per insegnarci,
insomma, fin dal suo ingresso in questo mondo, a calpestare sotto i piedi il lusso
e l’orgoglio del mondo e a non ricercare altro che la virtù.
5. – Perché – egli
sembra dire – essere fieri della vostra patria, dato che, in qualunque luogo
della terra siate, io vi esorto a dimorarvi come stranieri e pellegrini e dato
che potreste diventare tanto grandi che il mondo intero non sarebbe degno di
voi? Queste cose sono così disprezzabili che neppure gli stessi filosofi pagani
le hanno considerate degne d’interesse, ma sono ritenute esteriorità e poste
all’ultimo gradino tra i beni del mondo. Tuttavia Paolo – voi potreste
obiettare – non ha respinto i vantaggi derivanti dalla discendenza e dai
natali, dicendo: «Quanto all’elezione, essi sono amati a causa dei padri loro»[18]. Ma
considerate, vi prego, in quale epoca parla, di chi parla e a chi si rivolge
l’Apostolo. Egli scrive a dei gentili che, divenuti fedeli, si inorgogliscono
della fede e trattano con disprezzo i giudei che avrebbero voluto escludere
dalle file dei credenti. Paolo si ripromette con queste parole di reprimere
l’orgoglio dei gentili e nello stesso tempo di stimolare i giudei alla fede,
incoraggiandoli ad avere lo stesso zelo. E quando parla di quei grandi e nobili
uomini dell’Antico Testamento ascoltate cosa dice: «Infatti quelli che così
parlano fanno sentire che cercano una patria; e se alludessero a quella donde
erano partiti, avevano tempo di ritornarvi: ma ora ne bramano una migliore»[19]. E
poco prima dice: «Nella fede morirono tutti questi senza ricevere i beni
promessi, ma vedendoli e salutandoli da lontano»[20].
Giovanni Battista, dal
canto suo, dice a coloro che vengono a lui: «Non dite: Abbiamo per padre
Abramo»[21];
mentre Paolo torna a ripetere: «Non tutti coloro che sono d’Israele sono
israeliti e i figli della carne non sono i figli di Dio»[22].
Quale vantaggio – ditemi – hanno tratto i figli di Samuele dalla nobiltà del
padre, dato che non ne hanno ereditato la virtù? A che cosa è servito ai figli
di Mosè averlo avuto per padre, dato che non hanno imitato il suo zelo? Per
questo essi non furono affatto i successori della sua autorità, contentandosi
di essere suoi figli solo di nome. Il governo del popolo passò nelle mani di un
altro che era suo figlio non per la nascita, ma per la virtù. E l’esser figlio
di un pagano ha forse nociuto alla virtù di Timoteo? Quale profitto ha tratto
dalla virtù del padre il figlio di Noè, che ha finito col diventare, da uomo
libero, schiavo? Ecco un illustre esempio, che mostra come la nobiltà del padre
non è sempre sufficiente a salvare i figli, in quanto la cattiva volontà
prevale spesso sulla legge della natura e non soltanto priva il figlio della
nobiltà del padre, ma lo priva anche della libertà. Esaù non era forse figlio
di Isacco e per di più particolarmente caro a suo padre? Isacco desiderava,
anzi voleva ardentemente partecipargli ogni benedizione: perciò Esaù eseguiva
tutto quanto suo padre gli comandava. Tuttavia ciò non gli giovò affatto,
poiché era malvagio. Sebbene la natura gli avesse donato la primogenitura e suo
padre volesse favorirlo in ogni cosa, egli perdette tutto, perché non aveva Dio
con sé. E, infine, per non parlare più di uomini singoli, ricordiamo che i
giudei sono stati figli di Dio e tuttavia questa gloriosa nobiltà è stata loro
inutile. Se, dunque, quegli stessi che divengono figli di Dio sono puniti ancor
più degli altri qualora non dimostrino una virtù degna di tale nobiltà, perché
voi vi vantate della nobiltà dei vostri padri e dei vostri antenati?
E quanto vi sto dicendo
sappiate che è accaduto non solo nel vecchio ma anche nel nuovo Testamento. «A
quanti lo ricevettero diede il potere di diventare figli di Dio», dice Giovanni
[23].
Eppure Paolo dichiara che questa divina adozione sarà inutile a molti figli,
quando dice: «Se vi fate circoncidere, Cristo non vi gioverà a nulla» [24]. Se
a coloro che non vegliano sulla propria anima non gioverà a nulla appartenere a
Gesù Cristo, a che cosa potrà servir loro l’essere nati da un uomo? Non siamo,
dunque, orgogliosi della nostra nobile nascita, né delle nostre ricchezze, e
disprezziamo, anzi, chi si vanta di queste cose. E neppure vergogniamoci di
essere poveri, ma cerchiamo quelle ricchezze che consistono nelle buone opere.
Fuggiamo quella povertà che ci spinge all’iniquità e che ridusse alla più
estrema indigenza il ricco dell’Evangelo, il quale non poté ottenere una sola
goccia d’acqua, sebbene la chiedesse con tanta insistenza e tante preghiere.
Quale uomo tra noi è povero come lo fu quel ricco, che non ebbe nemmeno un po’
d’acqua? Coloro che muoiono di fame hanno almeno una stilla d’acqua, insieme a
qualche altro sollievo. Invece, quel ricco è così povero che non riesce neanche
a trovare il conforto che è dato ai poveri. Perché, dunque, noi abbiamo tanta
avidità delle ricchezze, dato che esse non possono affatto introdurci in cielo?
Ditemi: se un re della terra dichiarasse che nessun ricco avrà onori nella sua
corte, né riceverà alcun incarico, voi tutti non disprezzereste forse e non
rinunziereste alle vostre ricchezze? E dunque? Il pericolo di essere male
accolti alla corte di un re della terra ci farebbe disprezzare le ricchezze,
mentre, quando il re dei cieli ci grida ogni giorno che è difficile per i
ricchi entrare negli atri celesti, noi esitiamo a rinunziare a ogni cosa per
entrare liberamente nel regno eterno!
6. – Di fronte a tutto
questo, come potremo essere scusati, se teniamo strette con tanto ardore quelle
ricchezze che ci chiudono le porte del cielo? E non ci limitiamo soltanto ad
accumulare il denaro nelle casseforti, ma lo nascondiamo anche sotto terra,
mentre potremmo donarlo a Dio che ce lo custodirebbe in cielo per l’altra vita.
Voi che agite così, non fate forse come quel contadino il quale, avendo
ricevuto il grano per seminarlo in una terra fertile, va a gettarlo tutto nel
lago, ove subito si perde senza che egli stesso ne possa ricavare alcun frutto?
Ma cosa rispondono queste persone che noi accusiamo di questi atti e alle quali
rivolgiamo i nostri rimproveri? È per noi una grossa consolazione – dicono –
vedere questi tesori al sicuro. Io dico loro, al contrario, che è una gran
consolazione saper di non dovere custodire tesori presso di sé. Infatti, se voi
con queste ricchezze non temete più la carestia, non potete, per il fatto
d’aver questo deposito, evitare altre sciagure più gravi, come la morte, le
guerre e le rapine. E se viene la carestia, il popolo, spinto dal bisogno,
verrà a mano armata a saccheggiare la vostra casa. Anzi, quando voi agite così,
contribuite con la vostra avarizia ad affamare tutta la città ed esponete, di
conseguenza, la vostra casa a un danno ben più grande di quello della fame. Io
non ho mai sentito dire, di questi tempi, che qualcuno sia morto d’improvviso
di fame. Si può infatti escogitare un’infinità di rimedi, e da ogni parte, a
sollievo di così gran male. Ma posso, invece, farvi i nomi di tante persone che
sono state uccise, sia in pubblico che di nascosto, per i loro denari e le loro
ricchezze o per motivi analoghi. Mille episodi di questo genere accadono
continuamente nelle piazze, nelle strade e anche nei luoghi ove si amministra
la giustizia: tutta la terra è piena di casi di questo genere. Ma che dico,
tutta la terra! Voi potete vedere il mare stesso rosso di sangue. Questa
tirannia del denaro, infatti, non ha invaso soltanto la terra, ma anche il
mare. Se uno va per mare in cerca d’oro, subito trova uno che l’uccide per togliergli
l’oro che ha trovato. Lo stesso desiderio delle ricchezze fa di un uomo un
mercante e dell’altro un pirata e un assassino.
C’è dunque qualcosa di
più infido del denaro, che spinge un sì gran numero di persone ad andarsene
lontanissimo in cerca d’oro, a correre gravissimi pericoli, quando non trascina
a una morte sanguinosa? «Chi ha compassione di un incantatore che vien morso
dal serpente?»[25]. Sarebbe augurabile che
la conoscenza che gli uomini hanno della crudele tirannia del denaro, li
aiutasse a non sottomettervisi come degli schiavi e a reprimere questa passione
così violenta e dannosa.
Ma come è possibile far
questo? – mi domanderete. Potrete farlo sostituendo all’amore dell’oro un altro
amore: il desiderio del cielo. Colui che sospira per questo regno, se ne ride
dell’avarizia. Il vero servo di Gesù Cristo non sarà mai schiavo, ma padrone
del denaro. Il denaro generalmente insegue chi lo fugge e fugge chi lo insegue.
Esso si prende gioco di chi gli corre dietro; non soltanto se ne prende gioco, ma
lo carica di mille catene. Spezziamo, dunque, queste catene così pesanti.
Perché volete asservire un’anima razionale a una materia irrazionale e che, per
di più, è madre di mille sciagure? Ma, fatto ridicolo e insensato, noi facciamo
guerra a parole contro l’avarizia, mentre essa ci fa guerra a fatti e ci
trascina ovunque come malviventi sottoposti alla frusta e come schiavi che ha
acquistato con il denaro. C’è qualcosa al mondo di più indegno e di più
vergognoso per dei cristiani?
Se non siamo capaci di sollevarci
al di sopra di una materia insensibile, come potremo vincere le potenze
spirituali che ci aggrediscono? Se non siamo capaci di disprezzare un po’ di
terra o qualche vile pietra, come riusciremo a dominare le potestà e le potenze
diaboliche? Come potremo praticare la castità, se non siamo capaci di resistere
all’avarizia? Se la lucentezza dell’oro ci affascina, come potremo resistere
all’attrattiva di un bel volto? Vi sono taluni, addirittura, talmente legati e
tiranneggiati dal denaro, che non possono guardarlo senza sentirsi trasportati
e che, compiacendosi, dicono che la vista dell’oro è la gioia per gli occhi. Ma
non scherzare, o uomo, con simili cose. Niente è più dannoso, infatti, per gli
occhi del corpo e dell’anima che la cupidigia delle ricchezze. È uno sguardo di
tal genere che ha spento le lampade delle vergini stolte e le ha tenute fuori
della sala delle nozze. La vista dell’oro che, secondo voi, sarebbe tanto
piacevole agli occhi non ha permesso al miserabile Giuda di ascoltare la voce del
Signore e lo ha, infine, portato ad impiccarsi e a far piombare il suo corpo
morto in terra e la sua anima all’inferno. C’è dunque qualcosa di più funesto
di questa passione, qualcosa di più pericoloso? Io non condanno la materia
stessa dell’oro, ma denunzio l’inopportuno e furioso desiderio che gli uomini
hanno di possederlo. Questo desiderio fa scorrere sovente sangue umano; questa
passione, più crudele di una belva feroce, riempie le città di morti violente.
Essa dilania tutti coloro che possiede e, ciò che è ancor più spaventoso, li
dilania senza che essi se ne rendano conto. Coloro che sono preda delle sue
violenze dovrebbero tendere la mano ai passanti, invocare il loro soccorso; ma,
al contrario, si ritengono felici delle ferite orribili di quella passione:
cosa questa che è davvero il colmo d’ogni sciagura. Riflettendo, pertanto, su
tutte queste cose, fuggiamo questa tremenda malattia; curiamo questi morsi
avvelenati, teniamoci ben lontani da una simile peste, allo scopo di condurre
in terra una vita serena, libera da ogni turbamento, e ottenere in cielo i
tesori eterni: voglia Dio che noi tutti riusciamo a conseguirli per la grazia e
la misericordia di nostro Signore Gesù Cristo, cui appartengono, insieme con il
Padre e lo Spirito Santo, la gloria, la potenza e l’onore ora e sempre per i
secoli dei secoli. Amen.
[1] Mt. 2, 16.
[2] Cf. At. 12, 19.
[3] 1 Cor. 5, 5.
[4] 2 Sam. 16, 11-12.
[5] Sal.
24, 18-19.
[6] Cf.
Giuseppe Flavio, Antichità giudaiche,
XXVI, 6, 5 ss.
[7] Mt.
2, 17-18.
[8] Mt.
10, 29.
[9] Mt.
2, 19-20.
[10] Cf.
Mt. 2, 21-22.
[11] Mt. 2, 22.
[12] Mt. 2, 23.
[13] Cf. Ger. 36; 2 Re, 22.
[14] In
Isaia (11, 1) si legge: «un ramoscello spunterà dal tronco di Jesse e dalle sue
radici crescerà un germoglio»; germoglio, in ebraico, si dice «nezer».
[15] Gv.
1, 46.
[16] Gv.
7, 52.
[17] Lc.
9, 58.
[18] Rm. 11, 28.
[19] Eb. 11, 14-16.
[20] Eb. 11, 13.
[21] Lc. 3, 8.
[22] Rm. 9, 6.
[23] Gv.
1, 12.
[24] Gal.
5, 2.
[25]
Eccli. (Sir.) 12, 13.
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