Icona di Tironi E.
Dall’Adversus
haereses di sant’Ireneo vescovo di
Lione
Il Verbo s’identifica col Cristo.
III, 16,2 –
Che Giovanni abbia conosciuto un unico e identico Verbo di Dio, Unigenito e
incarnato per la nostra salvezza, Gesù Cristo Signore nostro, l’abbiamo dimostrato
sufficientemente con le sue stesse parole.
Anche Matteo
conosce un solo e medesimo Cristo Gesù, del quale narra la generazione umana
dalla Vergine, secondo la promessa fatta da Dio a Davide di suscitare dal
frutto del suo seno (cfr. Sal. 131, 11) un re eterno – lo stesso aveva promesso
molto tempo prima ad Abramo – dicendo: «Libro della generazione di Gesù Cristo,
figlio di Davide, figlio di Abramo» (Mt. 1, 1). Poi, per togliere ogni sospetto
riguardo a Giuseppe, continua: «La generazione di Cristo avvenne in questo
modo: la madre di lui, sposata a Giuseppe, si trovò incinta per opera dello
Spirito Santo prima che venissero ad abitare insieme» (ivi 18). Racconta poi
che, mentre Giuseppe stava pensando di rinviare Maria a motivo del suo stato,
gli si presentò un angelo di Dio e gli disse: «Non temere di prendere Maria per
tua moglie, poiché ciò che essa ha concepito è opera dello Spirito Santo; darà
alla luce un figlio al quale metterai nome Gesù, perché egli salverà il popolo
dai suoi peccati. Questo è avvenuto perché si adempisse la parola pronunziata
dal Signore per mezzo del profeta: Ecco una vergine concepirà e darà alla luce
un figlio e gli metteranno nome Emanuele, cioè Dio con noi» (ivi 19-23).
Con ciò
afferma chiaramente che si è realizzata la promessa fatta ai padri nella
nascita del Figlio di Dio dalla Vergine e che questo stesso è Cristo Salvatore
annunziato dai profeti, senza distinguere, come gli eretici, un Gesù nato da
Maria e un Cristo disceso dall’alto. Matteo avrebbe potuto dire diversamente:
«La generazione di Gesù avvenne in questo modo»; ma lo Spirito santo,
prevedendo questi perversi interpreti e premunendoci contro di loro, disse per
mezzo di Matteo: «La generazione di Cristo avvenne in questo modo»; e aggiunge
ch’egli è l’Emanuele, perché non lo ritenessimo semplice uomo, ma Verbo di Dio
fattosi carne per volontà di Dio e perché non potessimo minimamente distinguere
Gesù dal Cristo, confessandolo invece un’unica e identica persona[1].
III, 16,3 - Lo
stesso affermò Paolo scrivendo ai Romani: «Paolo, apostolo di Gesù Cristo,
destinato a predicare il vangelo di Dio promesso per mezzo dei suoi profeti
nelle sante Scritture, nella persona del Figlio suo che divenne uno della
progenie di Davide secondo la carne, che fu predestinato ad essere Figlio di
Dio per la sua potenza mediante lo Spirito di santità, in seguito alla
resurrezione dai morti, Gesù Cristo Signor nostro» (Rom. 1, 1-4). Nella stessa
lettera dice a proposito di Israele: «...ai quali appartennero i patriarchi e
Cristo secondo la carne, egli che è Dio superiore a tutti, benedetto per tutti
i secoli» (Rom. 9, 5). Egualmente nella lettera ai Galati: «Ma, quando giunse
la pienezza dei tempi, Dio mandò il Figlio suo, fatto dalla donna, sottoposto
alla Legge, affinché fossero liberati quelli che si trovavano sotto la Legge e
noi ricevessimo la figliazione adottiva» (Gal. 4, 4s). Afferma, dunque,
chiaramente ch’esiste un unico Dio il quale fece la promessa di mandare il
Figlio e un unico Gesù Cristo Signore nostro, che discendente di Davide in
quanto generato da Maria, fu predestinato a essere Figlio di Dio Gesù Cristo
per la sua potenza, mediante lo Spirito di santità, in seguito alla
resurrezione dai morti, per essere «primogenito dei morti» ( Col. 1, 18) come è
«primogenito di tutta la creazione» (ivi 15), Figlio di Dio divenuto figlio
dell’uomo perché noi ricevessimo la figliazione adottiva, in quanto l’uomo
contiene e abbraccia il Figlio di Dio.
Per questo
Marco dice: «Inizio del vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio come è scritto nei
profeti» (Mc. 1, 1). Egli riconosce un unico Figlio di Dio Gesù Cristo,
annunziato dai profeti, nato dal frutto del seno di Davide, Emmanuele,
messaggero del gran disegno del Padre (cfr. Is. 9, 5 sec. la traduzione greca),
per mezzo del quale fece spuntare l’Oriente, il Giusto sulla casa di Davide,
sollevò il corno della sua salvezza (cfr. Lc. 1, 78), suscitò una testimonianza
in Giacobbe (Sal. 77, 5). Davide da le ragioni della sua incarnazione: «Stabilì
una legge in Israele, perché fosse conosciuta dalla generazione successiva, dai
figli che nascerebbero da essi, e si pongano anche questi a raccontarla ai loro
figli e pongano in Dio la loro fiducia e seguano i suoi precetti» (Sal. 77,
5-7).
Così pure l’angelo
dando la lieta notizia a Maria, dice: «Costui sarà grande e sarà chiamato
Figlio dell’Altissimo e il Signore gli darà il trono di Davide suo padre» (Lc.
1, 32) identificando il Figlio dell’Altissimo e il figlio di Davide.
III, 16,4 –
Anche Simeone, che «aveva ricevuto dal Signore l’oracolo che non sarebbe morto
prima di vedere il Cristo» Gesù, prendendo in mano il primogenito (Lc. 2, 7)
della Vergine benedisse Dio dicendo: «Ora lascia andare il tuo servo, o
Signore, secondo la tua parola, in pace, perché i miei occhi hanno visto il tuo
Salvatore, da te presentato davanti a tutti i popoli, luce rivelatrice ai
pagani e gloria al tuo popolo Israele» (Lc. 2, 26ss). Nel bambino che tiene in
braccio, Gesù nato da Maria, egli riconosce il Cristo, Figlio di Dio, luce
degli uomini e gloria dello stesso Israele, pace e refrigerio di coloro che si
riposano (nella morte).
Di fatti già
spogliava gli uomini, togliendo loro l’ignoranza e comunicando loro la sua
gnosi e divideva (distinguendoli dagli altri) coloro che lo conoscevano,
secondo la parola d’Isaia: «Mettigli nome: Veloce – depreda, rapido – dividi»
(8, 3); questa, infatti, è l’opera di Cristo.
Era dunque il
Cristo che Simeone portava benedicendo l’Altissimo, che i pastori videro e ne
glorificarono Dio, che Giovanni ancora nel ventre di sua madre salutò con allegrezza
riconoscendo il Signore ancora nel seno di Maria, che i Magi videro e adorarono
offrendo i doni che abbiam detto e rendendo omaggio all’eterno re, dopo di che
ritornarono per altra via, cioè più per quella di Assiri, perché «prima che il
fanciullo sappia dire papà o mamma avrà in mano la potenza di Damasco e le
spoglie di Samaria contro il re degli Assiri» (7s. 8, 4). Questo dimostra come
il Signore in modo misterioso, ma potente, trionfava di Amalec (cfr. Es. 17, 16
greco).
Per questa
ragione, ancora, rapiva i fortunati fanciulli della casa di Davide, nati in
quel tempo, per mandarli avanti nel suo regno. Essendo egli bambino si procurò
dei testimoni bambini; infatti, secondo la Scrittura, fu a causa di Cristo nato
in Betlemme di Giudea nella città di Davide che essi furano uccisi.
III. 16, 5 – È
ancora per questo motivo che il Signore diceva ai due discepoli dopo la sua
resurrezione: «O stolti, lenti di cuore a credere ciò che i profeti hanno detto!
Non era forse necessario che il Cristo patisse per entrare nella sua gloria?»
(Lc. 24, 25s). Ai discepoli dice ancora: «Queste sono le parole che vi ho detto
quando ero ancora con voi: è necessario che si compia tutto ciò che è scritto
nella Legge di Mosè, nei profeti e nei salmi a mio riguardo. Allora dischiuse
loro la mente perché comprendessero le Scritture e disse loro: Sta scritto che
il Cristo patirà e risorgerà da morte e sarà predicata nel suo nome la
remissione dei peccati a tutte le nazioni» (Lc. 24, 44-47). Si tratta
certamente di colui che è nato da Maria perché «è necessario che il figlio dell’uomo
patisca e sia condannato e crocifisso e risorga il terzo giorno» (Lc. 9. 22: Mc.
8, 31).
Il vangelo non
conosce, dunque, altro figlio dell’uomo che quello che nacque da Maria e patì e
non certo un Cristo che sarebbe volato via da Gesù prima della passione:
conosce solo Gesù Cristo, nato (da Maria), Figlio di Dio. il quale ancora
risorse dopo la sua passione.
Lo stesso
afferma pure Giovanni, discepolo del Signore, dicendo: «Queste cose sono state
scritte perché crediate che Gesù è il Figlio di Dio e credendo otteniate la
vita eterna nel suo nome» (Gv. 20, 31). Egli prevede in anticipo tali teorie
blasfeme che, quanto a loro, dividono il Signore dichiarandolo composto di
questa e quella sostanza. Contro costoro ci attesta nella sua lettera: «Figlioli,
è l’ultima ora e, come avete udito delle circostanze della venuta dell’Anticristo,
molti si sono fatti Anticristi: questo è il segno che siamo nell’ultima ora.
Uscirono dalle nostre file, ma non erano dei nostri, perché se fossero stati
dei nostri, sarebbero rimasti con noi; ma questo è appunto un segno che non
sono dei nostri. Sappiate che nessuna menzogna viene dalla verità e chi è
mendace se non chi nega che Gesù è il Cristo? Ecco l’Anticristo!» (I Gv. 2,
18-22).
S.
IRENEO DI LIONE, Contro le eresie, vol. I,
(P. Vittorino Dellagiacoma edd), Siena, 1968³, 296-301.
[1]
L’insegnamento di sant’Ireneo dovrebbe far riflettere un certo mondo teologico
protestante e cattolico che, col pretesto di un’indagine storico-esegetica più
scientifica, separa in modo nestoriano il “Gesù
di Nazareth, o Gesù terreno” dal “Cristo
della gloria”, scivolando (consapevolmente o inconsapevolmente?) non solo
nell’eresia ma in una vera e propria apostasia.
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