Menologio di Basilio II, i 20.000 martiri di Nicomedia
Post-festa della Natività
I Santi 20.000 Martiri di Nicomedia
tra i quali Glicherio, Zeno, Teofilo, Doroteo, Mardonio, Migdonio, Indysos,
Gorgonio, Pietro, Eutimio, e le vergini Agape, Domna, Teofila e molti altri
28 dicembre (10
gennaio)
I testi sono a cura di E. M.
Noi teniamo
Dio non nei templi ma nei cuori: tutto ciò che è fatto dalle mani degli uomini
è soggetto a distruzione[1]; la Chiesa è il vero
tempio di Dio non costruito da muri ma nel cuore degli uomini che credono e che
perciò sono chiamati fedeli…[2]
Lucio Cecilio Firmiano Lattanzio
Precisazioni storiche
Il martirio
dei 20.000 cristiani di Nicomedia è fissato da una tradizione al Natale del
302, quando, secondo una passio e vari
Martirologi e Menologi, numerosi cristiani perirono nell’incendio della chiesa
mentre erano lì radunati per la festa.
Nicomedia era
un’antica città dell’Asia minore che Diocleziano aveva elevato a capitale della
parte orientale dell’impero. Il 23 febbraio del 303, lo stesso Diocleziano istigato
da Galerio ordinò che la chiesa cristiana di Nicomedia, che si ergeva su una
collina di fronte il palazzo imperiale, fosse rasa al suolo, i suoi libri bruciati
e i suoi tesori confiscati. Essendo il 23 febbraio la festa dei Terminalia, dedicata
a Terminus, il dio dei confini, si voleva in questo giorno mettere termine al
cristianesimo; Diocleziano e Galerio assistettero al sacrilegio affacciati dall’ultimo
piano del palazzo[3]. Il giorno successivo fu
emanato e pubblicato un primo editto contro i cristiani[4], che
venne audacemente stracciato da Evezio[5], un cristiano
che ricopriva una alta carica, il quale pagò il suo gesto con crudeli torture
ed una lenta morte sul fuoco[6]. È il
primo di una lunga serie di cristiani che verranno arsi vivi a Nicomedia. A
distanza di poco tempo, a seguito dell’incendio del palazzo imperiale fatto
dolosamente appiccare da Galerio, vengono ingiustamente accusati i cristiani, e
si ha una recrudescenza della persecuzione, che a poco a poco si estende a
tutti, cominciando dagli eunuchi e i servitori della corte, parte dei quali
erano cristiani[7], tra questi Eusebio di
Cesarea ricorda il martire Pietro che muore bruciato, e i santi Doroteo e
Gorgonio morti strangolati. Lattanzio, prezioso testimone oculare di queste
vicende, in quanto si trovava a Nicomedia come insegnante di retorica presso la
scuola imperiale (ingaggiato proprio da Diocleziano) così ci riferisce: “Alcuni eunuchi che fino allora avevano
avuto un grande potere e sui quali poggiava tutta l’amministrazione della casa
furono arrestati e messi a morte. Sacerdoti e diaconi, senza alcuna imputazione
o processo, senza prova alcuna della loro colpevolezza, furono condannati a
morte con tutti i loro familiari e servi. Cristiani di ogni condizione, senza
distinzione di sesso o di età, furono presi e bruciati vivi, e non uno per
volta, ma in massa, giacché il loro numero era troppo grande. Le case venivano
circondate e date alle fiamme dove tutti perivano. I domestici erano gettati in
mare con una pietra al collo e affogati”[8]. E
ancora Eusebio così ci racconta: “In quel
tempo fu decapitato per la sua testimonianza a Cristo Antimo[9], che era a capo della
Chiesa di Nicomedia. A lui si aggiunse una folta schiera di martiri, poiché
proprio in quei giorni, nel palazzo imperiale di Nicomedia, si era sviluppato,
non so come, un incendio, e correva voce, per un falso sospetto, che fosse
opera dei nostri. Per ordine imperiale i devoti del luogo, senza distinzione e
in massa, parte furono trucidati con la spada, e parte bruciati sul rogo, e si
dice che allora uomini e donne si precipitarono sul rogo con slancio indicibile
e divino; i carnefici ne legarono poi un’altra schiera su barche e li
inabissarono in fondo al mare”[10].
L’editto di Nicomedia, emanato dall’ipocrita Galerio nel 311, che concedeva ai cristiani
la libertà di culto e la facoltà di ricostruire le chiese distrutte, può
aiutarci a fare ulteriore luce sulla memoria che oggi celebriamo. Il termine conventicula, ivi adoperato in riferimento alle chiese,
infatti, indicava sia “l’assemblea” che il “luogo dell’assemblea”. È chiaro
dunque come, col tempo, la memoria delle sofferenze della Chiesa di Nicomedia,
che aveva avuto innumerevoli martiri[11],
molti dei quali arsi vivi in massa, si sia fusa o sia stata confusa con l’atto
iniziale della persecuzione, che era stato la distruzione dell’edificio sacro
della comunità.
Se il numero
20.000 deve quindi considerarsi simbolico dell’insieme dei cristiani morti per
la fede in Nicomedia, e succedutisi in tempi e modi diversi, non si può certamente
dubitare della loro storicità.
La Chiesa
ortodossa celebra la memoria dei Santi 20.000 martiri di Nicomedia il 28
dicembre, lo stesso giorno in cui li ricorda l’antico Martirologio Romano: Die 28 Decembris. Quinto Kalendas
Januarii. Nicomediae sanctorum Martyrum Indis eunuchi, Domnae et Agapis ac
Theophilae Virginum, et Sociorum; qui, in persecutione Diocletiani, post longa
certamina, diverso mortis genere coronam martyrii sunt assecuti.
Un succinto racconto della passione[12]
All’inizio del
secolo IV l’imperatore Massimiano[13]
diede ordine di distruggere le chiese cristiane, di bruciare i libri sacri e di
privare i cristiani di tutti i diritti, degli uffici e della cittadinanza. In
quel periodo era vescovo della città di Nicomedia san Cirillo, che con la sua
predicazione e l’esempio della sua vita aveva contribuito alla diffusione della
fede cristiana, di modo che molti dei dignitari dell’imperatore erano
segretamente divenuti anch’essi cristiani.
Alla corte
dell’imperatore in Nicomedia viveva una sacerdotessa pagana di nome Domna, che aveva
ottenuto una copia degli Atti degli Apostoli e delle Epistole dell’apostolo
Paolo. Il suo cuore ardeva dal desiderio di conoscere meglio la dottrina
cristiana. Con l’aiuto di alcuni giovani cristiani, Domna si recò di nascosto
dal vescovo Cirillo, in compagnia di un fedele servitore, l’eunuco Indysos. San
Cirillo li catechizzò, e poi entrambi furono battezzati. Domna cominciò ad
aiutare i poveri: distribuì quanto aveva di valore con l’aiuto di Indysos, e
distribuì anche il cibo dalla cucina imperiale. Quando il capo degli eunuchi -
che era preposto alle provvigioni della famiglia imperiale - scoprì che Domna e
Indysos non mangiavano il cibo li scacciò dalla tavola dell’imperatore. Li fece
anche battere per scoprire perché non prendevano cibo, ma essi rimasero in
silenzio. Un altro eunuco lo informò che i santi stavano distribuendo tutti i
doni dell’imperatore ai poveri. Egli li rinchiuse in prigione per estenuarli
con la fame, ma essi furono sostenuti da un angelo e non soffrirono. Infine, per
non vivere più in mezzo ai pagani, santa Domna finse la pazzia. Quindi lei e
Indysos riuscirono a lasciare la corte, e si recarono al monastero femminile
dell’igumena Agazia. Prontamente l’igumena rivestì Domna con abiti maschili, le
tagliò i capelli e la rimandò fuori dal monastero.
In questo stesso
periodo l’imperatore fece ritorno dalla guerra e diede ordine di cercare in
tutto il paese l’ex-sacerdotessa pagana Domna. I soldati inviati a questo scopo
occuparono il monastero e lo distrussero. Le monache furono gettate in
prigione, sottoposte a torture e abusi, ma nessuna di loro subì violazione. Una
di esse, santa Teofila, che era stata inviata presso una casa di iniquità, con
l’aiuto di un angelo del Signore preservò la sua verginità: l’Angelo la liberò
dal postribolo e la condusse alla chiesa.
Frattanto l’imperatore
aveva disposto che nella piazza della città si offrisse un sacrificio agli dei
pagani. Quando si cominciò ad aspergere la folla con il sangue degli animali
sacrificali, i cristiani iniziarono a lasciare la piazza. Vedendo questo, l’imperatore
si infuriò, ma non diede sfogo alla sua rabbia poiché nel bel mezzo delle sue
farneticazioni sortì una grande tempesta. Le persone fuggirono in preda al
panico, e l’imperatore dovette ritirarsi al palazzo per la propria incolumità.
Qualche tempo dopo Massimiano scortato dai suoi soldati si recò alla chiesa e
disse ai cristiani che potevano sfuggire al castigo se rinunciavano a Cristo.
In caso contrario, minacciò di bruciare la chiesa e uccidere quanti vi erano.
Il presbitero Glicherio gli disse che i cristiani non avrebbero mai rinunciato
alla loro fede, neanche sotto minaccia di tortura. Celando la sua rabbia, l’imperatore
uscì dalla chiesa, e pochi giorni dopo ordinò che il presbitero Glicherio venisse
arrestato per essere processato. I carnefici torturarono il martire, che non
cessò di pregare e invocare il nome del Signore. Non essendo in grado di
strappare un’abiura a san Glicherio, Massimiano ordinò che fosse bruciato vivo.
Nella festa
della Natività di Cristo nell’anno 302, quando circa 20.000 cristiani si erano
riuniti nella chiesa cattedrale di Nicomedia, l’imperatore inviò nella chiesa
un araldo che comunicò ai cristiani che i soldati avevano circondato l’edificio,
e che chiunque avesse voluto lasciarlo avrebbe dovuto offrire sacrifici agli
dei pagani. Mentre chi avesse sfidato l’imperatore sarebbe morto una volta
appiccato il fuoco alla chiesa. Ma tutti i presenti rifiutarono di adorare gli
idoli. Mentre i pagani si apprestavano a dar fuoco alla chiesa, il vescovo Antimo
(successore di san Cirillo), dopo aver completato gli uffici Divini, battezzò tutti
i catecumeni e comunicò tutti con i santi Misteri. Tutti i 20.000 morirono nel
fuoco mentre pregavano. Tra di loro c’erano anche l’igumena Agazia e santa Teofila.
Mentre il vescovo Antimo miracolosamente riuscì a sfuggire al fuoco.
Massimiano pensava
di aver sterminato tutti i cristiani di Nicomedia. Ma ben presto apprese che ve
ne erano molti di più, e che tutti come i primi avrebbero confessato la loro
fede e sarebbero stati pronti a morire per Cristo. L’imperatore studiò il da
farsi. Ordinò che venisse arrestato Zeno comandante dei soldati, che
apertamente davanti al popolo aveva criticato l’imperatore per l’empietà e la crudeltà.
Zeno fu picchiato ferocemente e infine decapitato. Fece poi recludere l’eunuco
Indysos, un tempo sacerdote degli idoli, per essersi rifiutato di partecipare a
una festa pagana.
La
persecuzione contro i cristiani continuò. Doroteo, Mardonio, il diacono Migdonio
ed altri furono gettati in prigione. Il vescovo Antimo li incoraggiava con l’invio
di lettere. Uno dei messaggeri, il diacono Teofilo, venne catturato e sottoposto
a tortura, per poter apprendere dove il vescovo si nascondesse. Il santo
martire sopportò tutto, non rivelando nulla. Allora lo uccisero insieme a coloro
a cui il vescovo si era rivolto nella sua lettera. Anche se uccisi in modi
diversi, tutti mostrarono lo stesso coraggio e ricevettero da Dio le loro
corone.
Per settimane,
santa Domna si nascose all’interno di una grotta sostentandosi da sola e nutrendosi
di piante. Quando tornò in città, pianse a lungo sulle rovine della chiesa,
deplorando il fatto che lei non era stata trovata degna di morire con gli
altri. Quella notte andata in riva al mare, vide che i pescatori tiravano a
riva nelle loro reti i corpi dei martiri Indysos, Gorgonio e Pietro.
Santa Domna
era ancora vestita con abiti maschili, e aiutò i pescatori a tirare le loro
reti, i quali su sua richiesta le lasciarono i corpi dei martiri. Con riverenza
compose i sacri resti e pianse su di loro, in particolare, sul corpo del suo fratello
spirituale, il martire Indysos. Dopo aver dato loro degna sepoltura, non si
allontanò dalle loro tombe tanto care al suo cuore, ma ogni giorno bruciava
incenso davanti a loro, cospargendole di essenze profumate. Quando l’imperatore
fu informato in merito a un giovane sconosciuto che offriva incenso sulle tombe
dei cristiani giustiziati, ordinò che venisse decapito. Insieme a Domna fu
ucciso anche il martire Eutimio.
Tropario, tono 2
Beata è la terra che ha ricevuto
il vostro sangue, o vittoriosi, che avete sofferto la passione del Signore, e
sante le dimore che hanno accolto i vostri spiriti. Avete trionfato nello
stadio sul nemico e con audacia avete annunciato Cristo. Poiché Egli è buono,
vi preghiamo di imploralo per la salvezza delle anime nostre.
Kontakion, tono 1
Con le anime fortificate dalla
fede, i ventimila martiri accettarono la loro sofferenza attraverso il fuoco e
gridarono a Te, che sei nato della Vergine: “Come oro, mirra ed incenso, i doni
dei re Persiani, ricevi il nostro olocausto, o Dio Eterno”.
Per le preghiere dei tuoi
Martiri, o Cristo Dio, abbi pietà di noi!
[1] De ira Dei, 24.
[2] De divinis institutionibus, IV, 13.
[3] Cfr. Lattanzio,
De Mortibus Persecutorum, XII.
[4] Ib, XIII.
[5] Ricordato al 24 febbraio
dal Martirologio Siriaco.
[6] Ib.; cfr. Eusebio di Cesarea, Historia Ecclesiatica, VIII, 5.
[7] Cfr. Lattanzio, o. c., XIV-XV;
[8] Cfr. Lattanzio, o. c., XV.
[9] La memoria di sant’Antimo
viene celebrata il 3 settembre.
[10] Eusebio, o. c., VIII, 6.
[11] Il 5
gennaio si ricordano il vescovo di Nicomedia Teotempto e l’ex mago Theonas, e il
7 febbraio si celebra la memoria dei 1.003 martiri di Nicomedia, tutti uccisi
nella stessa persecuzione di Diocleziano.
[12] Testo tradotto dai siti: http://oca.org/FSlives.asp e http://www.holytrinityorthodox.com/calendar/index.htm
[13] Il
testo della passio greca dei santi Domna
e Indysos, da cui è stata stesa la sintesi, cita erroneamente Massimiano, la
cui sede era però Milano, per quanto non vi risedesse stabilmente a causa delle
continue campagne militari, mentre Nicomedia era sede di Diocleziano, come già
evidenziato in precedenza in merito a questi fatti anche dagli storici
Lattanzio ed Eusebio.
Nessun commento:
Posta un commento