Dai Duecento
Capitoli di san Massimo il Confessore
61. L’inizio
dell’ammaestramento degli uomini nella pietà si trova naturalmente nella carne;
infatti, nel nostro primo accostarci alla pietà, noi entriamo in contatto con
la lettera, non con lo spirito.
Progredendo
parzialmente nello Spirito e affinando lo spessore dei termini con
contemplazioni più sottili, veniamo a trovarci puramente nel puro Cristo, per
quanto possibile a uomini, così da poter dire, con il grande Apostolo: Se anche abbiamo conosciuto Cristo secondo
la carne, ora però non lo conosciamo più[1], a
causa cioè dell’accostamento semplice dell’intelletto al Verbo, senza i veli di
cui è coperto, progredendo dalla conoscenza del Verbo come carne, fino alla
gloria di lui, come Unigenito dal Padre[2].
62. Chi vive
la vita in Cristo, ha oltrepassato la legge e la natura. Voleva dir questo il
divino Apostolo scrivendo: In Cristo Gesù infatti non vi è né circoncisione né
prepuzio[3],
indicando con la circoncisione la giustizia secondo la legge, e alludendo con
il prepuzio all’uguaglianza della natura.
63. Alcuni
rinascono mediante acqua e Spirito[4];
altri ricevono il battesimo in Spirito santo e fuoco[5].
Ritengo questi quattro elementi, l’acqua e lo Spirito, il fuoco e lo Spirito
santo il medesimo e unico Spirito di Dio.
Per gli uni lo
Spirito santo è acqua, come ciò che deterge le macchie esteriori del corpo. Per
altri è Spirito in quanto produce i beni delle virtù. Per altri è fuoco in
quanto purifica le brutture interiori nelle profondità dell’anima. Per altri,
secondo il grande Daniele, è Spirito santo in quanto guida di sapienza e
conoscenza[6].
Poiché dalla diversa operazione riguardante il soggetto, il medesimo ed unico
Spirito assume diverse denominazioni.
64. La legge
ha dato il sabato, affinché - è detto - si riposi il tuo giumento e il tuo
servo[7].
Entrambi indicano in enigma il corpo. Il corpo di chi è dedito alla pratica,
infatti, è il giumento dell’intelletto; costretto per forza a portar pesi con i
comportamenti virtuosi, secondo la pratica. Esso è invece servo di chi è dedito
alla contemplazione, in quanto è già dotato di razionalità in forza delle
contemplazioni e capace di servire razionalmente agli ordini dell’intelletto
relativi alla conoscenza. E per entrambi il sabato è il termine dei beni che si
operano in loro tramite la pratica e la contemplazione, e offre così a ciascuno
il riposo adeguato.
65. Chi
raggiunge la virtù con la conoscenza adeguata, ha il corpo come giumento, e lo
spinge con la ragione ad operare ciò che conviene fare. Ha come servo il
costume virtuoso della pratica, cioè quel costume grazie al quale ha naturale
sussistenza la virtù, costume acquisito - quasi come con denaro - per mezzo di
pensieri dotati di discernimento.
Il sabato poi
è lo stato impassibile e pacifico dell’anima e del corpo conforme a virtù, cioè
uno stato di immutabilità.
66. La parola
di Dio, per quelli che ancora si preoccupano soprattutto degli aspetti
corporali della virtù, diventa paglia ed erba e nutre la parte passionale della
loro anima, al servizio delle virtù. Per coloro invece che si sono elevati alla
contemplazione della vera comprensione delle realtà divine, è pane che nutre la
parte intelligente della loro anima orientandola a una perfezione simile a
quella divina. Per questo troviamo che i patriarchi, nei loro viaggi,
provvedono se stessi di pani e i loro asini di foraggio[8]. E
nel libro dei Giudici, il levita dice al vecchio che lo ha ospitato a Gabaa: Ci
sono pani per noi e paglia per i nostri asini, e per i tuoi servi non manca
nulla[9].
67. La parola
di Dio è detta ‘rugiada’[10],
‘acqua’, ‘fonte’[11] e ‘fiume’[12],
come sta scritto, perché essa è e diviene tale, secondo la capacità esistente
in chi l’accoglie. Per gli uni, infatti, essa è ‘rugiada’, in quanto spegne
l’ardore dell’operazione esteriore delle passioni del corpo. È ‘acqua’ per
quelli che ardono nel profondo dell’anima a causa del veleno del male, e non
solo distrugge l’avversario con una passione opposta, ma comunica anche la
potenza vitale per l’essere-bene.
‘Fonte’ per
coloro nei quali perennemente zampilla l’abito della contemplazione, in quanto
provvede sapienza. ‘Fiume’ per quelli che a fiumi effondono un insegnamento
pio, retto e salutare, in quanto abbevera abbondantemente uomini, bestie, belve
e piante, affinché gli uomini vengano deificati, elevandosi con i concetti
inerenti alle parole; e quelli che sono divenuti come bestie a causa delle
passioni siano resi uomini mediante l’esatta dimostrazione dei costumi secondo
virtù e ricuperino la loro naturale razionalità; e quelli che sono diventati
come belve a motivo delle abitudini malvagie e delle male azioni, addomesticati
da un’esortazione blanda e delicata, ricuperino la mitezza naturale; e quelli
che, come le piante, sono insensibili ai beni, ammorbiditi dal passaggio della
Parola nel profondo, ricevano sensibilità per produrre frutti e, come potenza
che li nutre, il valore proprio della Parola.
68. Il Verbo
di Dio è ‘via’[13] per quelli che corrono
bene e con vigore nella pratica e nello stadio della virtù, senza volgersi a
destra con la vanagloria o a sinistra per l’inclinazione alle passioni, ma
dirigendo i loro passi secondo Dio. Per non aver osservato questo sino alla
fine è detto del re Asa che verso la vecchiaia era divenuto malato ai piedi[14],
perché si era indebolito nella corsa della vita secondo Dio.
69. Il Verbo
di Dio è detto ‘porta’[15]
perché introduce nella conoscenza quelli che hanno ben compiuto tutta la via
delle virtù, nella corsa irreprensibile della pratica. Ed è come una luce che
mostra gli splendidissimi tesori della sapienza.
Il Verbo è,
infatti, ad un tempo, via, porta, chiave[16] e
regno[17]:
‘via’, in quanto guida; ‘chiave’, perché apre e viene aperto per quelli che
sono degni delle cose divine; ‘porta’, perché introduce; ‘regno’, perché è dato
in eredità ed è presente in tutti per partecipazione.
70. Il Signore
è detto luce, vita, risurrezione e verità[18].
‘Luce’, perché è splendore delle anime, mette in fuga la tenebra
dell’ignoranza, illumina l’intelletto perché comprenda realtà ineffabili,
mostra i misteri visibili soltanto ai puri. ‘Vita’, perché provvede il
conveniente movimento nelle cose divine alle anime che amano il Signore.
‘Risurrezione’, perché fa risorgere l’intelletto dal morto attaccamento alle
cose materiali, rendendolo puro da qualsiasi forma di corruzione e mortalità.
‘Verità’, perché dona a quelli che ne sono degni l’immutabile possesso dei
beni.
71. Dio Verbo
di Dio Padre è misticamente presente in ciascuno dei suoi comandamenti. E Dio
Padre si trova per natura, tutto e indiviso, in tutto il suo Verbo.
Chi dunque accoglie
un comandamento divino e lo mette in pratica, accoglie il Verbo di Dio che in
esso si trova. Chi poi, mediante i comandamenti, ha accolto il Verbo, per mezzo
suo ha insieme accolto lo Spirito che in esso per natura si trova. È detto
infatti: In verità io vi dico: chi
accoglie colui che io manderò, accoglie me, e chi accoglie me, accoglie colui
che mi ha mandato[19]. Chi
dunque ha accolto un comandamento e lo ha messo in pratica, ha accolto e
possiede misticamente la santa Trinità.
72. Glorifica
Dio in se stesso non chi lo onora soltanto a parole, ma chi per Dio, a motivo
della virtù, sopporta di patire pene. Costui è a sua volta glorificato da Dio
con la gloria che è in Dio, ricevendo per partecipazione la grazia
dell’impassibilità quale premio della virtù.
Chiunque
infatti glorifica Dio in se stesso mediante i patimenti che incontra per la
virtù, nella pratica, è a sua volta glorificato in Dio, mediante le impassibili
illuminazioni divine nella contemplazione.
Dice infatti
il Signore, giungendo alla sua passione: Ora
è stato glorificato il Figlio dell’uomo, e Dio è stato glorificato in lui; ...e
anche Dio lo glorificherà in se stesso, e subito lo glorificherà[20]. E
da ciò è evidente come i divini carismi facciano seguito ai patimenti per la
virtù.
73. Finché noi
vediamo la parola di Dio nella lettera della sacra Scrittura, divenuta corpo in
vari modi mediante gli enigmi, non abbiamo ancora contemplato spiritualmente il
Padre incorporeo, semplice, eterno e uno, come egli è nell’incorporeo,
semplice, eterno e unico Figlio, secondo la parola: Chi ha visto me ha visto il Padre[21], e: Io sono nel Padre e il Padre è in me[22].
C’è dunque
bisogno di grande scienza, affinché, dopo aver prima penetrato i velami dei
termini della Parola, si possa contemplare con nudo intelletto il puro Verbo
sussistente in se stesso, che chiaramente, per quanto possibile a uomini,
mostra in se stesso il Padre.
È perciò
necessario che chi cerca piamente Dio, non sia trattenuto da alcun termine,
perché, senza accorgersene, non colga in luogo di Dio ciò che è intorno a Dio,
amando cioè pericolosamente i termini scritturistici al posto della Parola,
mentre la Parola sfugge al suo intelletto, che crede di tenere la Parola
incorporea per mezzo dei suoi rivestimenti, come l’egiziana che non aveva afferrato
Giuseppe stesso ma gli abiti di lui[23], e
gli antichi uomini che, arrestandosi alla sola bellezza delle cose visibili,
non si accorsero di servire alla creatura anziché al Creatore[24].
74. La parola
della sacra Scrittura, una volta deposto l’insieme dei termini che sono su di
essa dandole forma corporea, in forza dei concetti più elevati, come con voce
di aura lieve[25] si mostra all’intelletto
più chiaroveggente che, mediante il più estremo abbandono delle operazioni
naturali, ha potuto afferrare la sola percezione della semplicità, che in
qualche modo rivela la Parola, come il grande Elia che fu fatto degno di questa
visione nella grotta dell’Oreb. Oreb significa infatti ‘terreno nuovo’, ed è il
possesso delle virtù nello spirito nuovo della grazia. La ‘grotta’ è il luogo
segreto della sapienza dell’intelletto: ivi, colui che vi giunge percepisce
misticamente quella conoscenza che è al di là della percezione sensibile, e
nella quale il testo dice che si trova Dio.
Chi dunque,
come il grande Elia, cerca veramente Dio, non arriverà soltanto all’Oreb, cioè
in possesso delle virtù, come operante nella pratica, ma anche dentro alla
grotta che è sull’Oreb, cioè - come contemplativo - nel luogo segreto della
sapienza, che si trova soltanto nel possesso delle virtù.
75. Quando
l’intelletto avrà rigettato le sue molte opinioni intorno agli esseri, allora
la Parola della verità gli si manifesterà chiaramente dandogli gli insegnamenti
della vera conoscenza, eliminando come squame dagli occhi i preconcetti di
prima, come avvenne al divino e grande apostolo Paolo[26].
‘Squame’ realmente sono le nozioni della Scrittura attinenti soltanto alla
lettera e le contemplazioni passionali delle cose visibili tramite la
percezione sensibile: sovrapposte alla facoltà visiva dell’anima impediscono il
passaggio della schietta Parola della verità.
76. Il divino
apostolo Paolo disse di avere una conoscenza parziale del Verbo[27]. Il
grande evangelista Giovanni dice invece di aver contemplato la sua gloria. Dice
infatti: Abbiamo contemplato la sua
gloria, gloria come di Unigenito del Padre pieno di grazia e di verità[28]. Ma forse san
Paolo disse di avere una conoscenza parziale del Verbo in quanto Dio, perché lo
si conosce soltanto mediante le sue operazioni, e in una certa misura: la
conoscenza infatti secondo l’essenza e l’ipostasi è inaccessibile sia a tutti
gli angeli che agli uomini e non è in nessun modo conosciuta.
San Giovanni,
iniziato, per quanto possibile agli uomini, al discorso perfetto intorno
all’incarnazione del Verbo, disse di aver contemplata la gloria, cioè il Verbo
come carne, quindi la Ragione o lo scopo per il quale Dio si è fatto uomo,
pieno di grazia e di verità. Infatti l’Unigenito è ricolmato di grazia non come
Dio per essenza e consustanziale al Padre; ma poiché, conforme all’economia, è
divenuto uomo per natura e a noi consustanziale, è stato ricolmato di grazia
per noi che abbiamo bisogno della grazia. E dalla sua pienezza noi riceviamo
sempre la grazia corrispondente ad ogni nostro progresso.
Così, chi avrà
custodito inviolabile in se stesso il Verbo perfetto, riceverà la gloria, piena
di grazia e di verità, del Dio Verbo che si è fatto carne per noi e che con la
sua venuta, per noi ha glorificato e santificato se stesso in noi. È detto
infatti: Quando egli si manifesterà
saremo simili a lui[29].
Da: La Filocalia, vol. II, Gribaudi, Torino,
1983, 152-157.
[6] Cfr. Dn. 1,
17; 5, 11 s.
[7] Cfr. Es. 23, 12.
[8] Cfr. Gen. 24. 25; 42,
25.27.
[11] Cfr. Gv. 4, 14.
[12] Cfr. Gv. 1, 38.
[13] Cfr. Gv. 14, 6.
[14] Cfr. 3(1) Re 15, 23.
[15] Cfr. Gv. 10, 9.
[16] Cfr. Is. 22, 22.
[17] Cfr. Mc. 11, 10.
[18] Cfr. Gv. 8, 12; 11, 25; 14, 6.
[19] Gv. 13, 20.
[20] Gv, 13, 31 s.
[21] Gv. 14, 9.
[22] Gv. 14, 10.
[24] Cfr. Sap. 13, 1 ss. e
Rm. 1, 25.
[27] Cfr. 1 Cor. 13, 9.
[28] Gv. 1, 14.
[29] 1 Gv. 3, 2.
Nessun commento:
Posta un commento