Bergamo, basilica di S. Maria Maggiore:
Presentazione di Gesù al Tempio, particolare dell'Albero della Vita
Festa dell’Incontro del Nostro Signore,
Dio e Salvatore Gesù Cristo
Сре́тение Госпо́дне -
Ἡ Ὑπαπαντὴ τοῦ Κυρίου
2 (15) febbraio
Incontro del Signore, Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo
di Roberto Pagani
Quaranta
giorni dopo la Natività, la Chiesa celebra la festa della Presentazione al Tempio di Gesù, ovvero, come è chiamata nella
tradizione del cristianesimo orientale, la festa
dell’Incontro del Signore. È il momento in cui si conclude il tempo
natalizio, rivelando e ricapitolando il pieno significato del Natale in una
sequenza di gioia pura e profonda. La festa commemora e contempla un evento
riportato nell’evangelo di Luca: quaranta giorni dopo la nascita di Gesù a
Betlemme, Giuseppe e Maria, secondo la pratica religiosa del tempo, portarono
il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore, così come prescritto dalla
legge mosaica.
Secondo Lv.
12, 2-8, la madre di un figlio maschio doveva presentarlo, quaranta giorni dopo
la nascita, davanti al tabernacolo, e offrire in olocausto, come purificazione
per sé, un agnello o, per i più poveri, una coppia di colombe o di tortore, che
nell’icona della festa sono portate da Giuseppe, rimarcando le modeste
condizioni economiche della Sacra Famiglia. La presentazione di un primogenito
maschio aveva anche il significato di riscatto, perché apparteneva a Dio (Nm.
18, 14-18).
La prima delle
tre letture dell’AT che si leggono nel Vespero (Es. 13, 1-6) formula i precetti
relativi alla circoncisione e alla purificazione. La seconda (Is. 6, 1-12)
descrive la visione di Isaia dei serafini dalle sei ali e del modo in cui uno
dei serafini, con un carbone ardente, purifica le labbra del profeta. La terza,
tratta dal 19° capitolo di Isaia, racconta la conversione degli egiziani al Dio
di Israele, Signore degli eserciti, e può riferirsi alla rivelazione di Cristo,
luce per illuminare le genti.
Abbiamo
notizie di questa festa a Gerusalemme da Eteria, la pellegrina più famosa
dell’antichità cristiana che visitò i Luoghi Santi verso la metà del sesto
secolo; la festa era tuttavia già celebrata da circa un secolo, ad esempio ad
Alessandria, dove Cirillo testimonia anche la processione con luci e fiaccole.
A Costantinopoli viene spostata dal 14 al 2 febbraio da Giustiniano nel 534,
mentre viene introdotta a Roma verso la fine del settimo secolo da papa Sergio,
di origine siriana.
Giovanni
Damasceno, nello stico del Lucernario che segue il Gloria al Padre, fa emergere
alcuni temi della festa: “Il Verbo del Padre senza principio prende inizio nel
tempo pur senza separarsi dalla sua divinità e, bambino di quaranta giorni,
secondo la legge si lascia portare nel tempio dalla Vergine Madre. Il Vegliardo
lo accoglie tra le braccia e dice: “Lascia andare il tuo servo, Signore, poiché
i miei occhi hanno visto la tua salvezza!”.
Andrea di Creta,
negli stichi rogazionali, ci invita a meditare sulla divina condiscendenza:
“Oggi Colui che aveva dato la legge a Mosè sul monte Sinai, si sottomette ai
precetti della legge, lui che per noi è divenuto come noi, nella tenerezza del
suo cuore; il Dio purissimo, avendo aperto il casto seno materno come bambino
santo, si offre a Se stesso, poiché è Dio, per illuminare le nostre anime
liberandole dalla maledizione della legge”. “Oggi Simeone riceve tra le sue
braccia il Signore della gloria che un tempo Mosè contemplò sotto la nube
quando gli consegnò le tavole della legge sul monte Sinai, Colui che ha parlato
attraverso i Profeti e Autore stesso della legge, Colui che ci ha annunciato
Davide, temibile per tutti, ma così ricco di misericordia e d’amore”. Tutto è
santificato: “La santa Vergine ha portato all’uomo santo nel santuario il
bambino consacrato”. La differenza tra l’esperienza di Mosè e quella di Simeone
viene ulteriormente approfondita: “Colui che aveva meritato di vedere Dio
attraverso la nube e di ascoltare la sua voce nel fragore del tuono, con il
volto velato, aveva rimproverato agli Ebrei l’infedeltà del loro cuore; mentre
Simeone ha portato il Dio che precede i secoli, il Verbo del Padre, incarnato,
e rivela la Luce delle genti, la Croce e la Risurrezione. E la profetessa Anna
annuncia il Salvatore che riscatta Israele”. Colui che veniva presentato al
tempio per essere riscattato, è il vero Redentore, colui che riscatta Israele,
vecchio e nuovo, dal peccato.
Cosma, vescovo
di Maiuma, negli stichi conclusivi del Vespero, proietta su Maria l’immagine
dell’arca dell’alleanza: “Maria, la Madre di Dio, porta sulle sue braccia Colui
che è portato sul carro dei cherubini ed è esaltato nei canti dei serafini,
Colui che si è incarnato in lei che non conosceva uomo, il Legislatore che
adempie la prescrizione della legge, e lo consegna nelle mani del vecchio
sacerdote; e questi, portando la Vita, chiede di essere sciolto dai legami
della vita”. Troviamo anche una sintesi delle feste legate alla nascita di Gesù,
racchiuse in un percorso che esalta la dimensione storica e reale di quanto
celebrato: “Scrutate le Scritture, come nei vangeli disse il Cristo Dio nostro:
in esse noi lo troviamo partorito e avvolto in fasce, allevato e allattato,
circonciso e portato da Simeone, non in apparenza né come in una visione, ma
apparso in verità al mondo”. Non manca il riferimento alla passione,
preannunciata da Simeone a Maria: “Simeone, nell’accogliere il compimento delle
promesse, benedicendo la Vergine Maria Madre di Dio, le preannuncia i segni
della passione”.
Bergamo, Battistero: Presentazione di Gesù al Tempio
Il tropario
della festa canta gioiosamente: “Rallegrati, piena di grazia, Madre di Dio e
Vergine: da te è sorto infatti il sole di giustizia, Cristo Dio nostro, che
illumina quanti sono nelle tenebre. Esulta anche tu, giusto vegliardo, che hai
portato tra le tue braccia Colui che libera le nostre anime e ci dona la
risurrezione”.
La festa ha un
unico canone, composto sempre da Cosma. Sono frequenti i riferimenti a salmi e
profezie: “Discenda la pioggia dalle nubi perché Cristo bambino, sole portato
da tenue nube, riposa nel tempio su braccia immacolate.” (Is. 45, 8 e Is. 19,
1). “Rafforzatevi, mani di Simeone indebolite dalla vecchiaia, e voi, gambe
vacillanti del Vegliardo, correte incontro a Cristo” (Is. 35, 3) “O cieli, che
siete stati distesi con sapienza, rallegratevi; allietati, terra, perché
l’Artista, Cristo, muovendo dal seno divino, è presentato dalla Vergine Madre a
Dio Padre come un bambino, lui che esiste prima di ogni cosa” (Sal 135, 5 e
Sal. 95, 11).
Riecheggia il
tema dell’incarnazione: “Colui che prima dei secoli è primogenito del Padre, è
apparso bambino primogenito di una Vergine incorrotta, per tendere la mano ad
Adamo”. “Il Dio Verbo si è fatto bambino per rialzare il primo uomo creato,
divenuto bambino nella mente a causa dell’inganno”
“Simeone
contempla sbigottito il Verbo eterno nella carne, portato dalla Vergine come
sul trono dei cherubini, il principio di tutto fatto bambino” (Sal 79, 2), e
dice a Maria: “tu porti come un trono il Dio della luce che non tramonta, il
Signore della pace”, (Is. 29, 6). Sempre riprendendo la visione di Isaia, dice
ancora a Maria: “tu porti il fuoco, o Pura, e io tremo nell’abbracciare questo
bambino”. “Isaia fu purificato ricevendo il carbone ardente del serafino, e tu
mi illumini donandomi Colui che, come con molle, mi porti tra le tue mani”. Non
si può non notare anche un riferimento eucaristico in quanto il termine usato
per identificare le molle, lavìs in
greco, è lo stesso che identifica il cucchiaio con cui l’Eucaristia, sotto le
due specie del pane e del vino, viene distribuita ai fedeli durante la Divina
Liturgia.
Romano il
Melode, come consuetudine, delinea nell’ikos del kontàkion le antinomie tipiche
della poesia orientale, siriana in particolare: “Colui che ha creato Adamo è
portato come bambino; l’infinito è racchiuso tra le braccia del vegliardo;
colui che è nel seno incircoscrivibile del Padre suo, è volontariamente
circoscritto in quanto alla carne, non in quanto alla divinità, lui che è
l’amico degli uomini”.
Il desiderio
di Simeone di essere congedato da questa vita non è da intendersi come una
sorta di disimpegno: “Vado nell’Ade a portare la buona novella ad Adamo ed
Eva”. Ma anche “Dio andrà sino nell’Ade per liberare la stirpe terrestre e
concedere la remissione ai prigionieri”. Ecco il modo scelto da Dio per
scendere negli inferi, ed è sempre Simeone che lo indica a Maria: “Anche a te,
o pura, una spada trafiggerà l’anima perché vedrai tuo Figlio sulla croce”.
“L’Emmanuele, nato bambino dalla Vergine, è la gloria del popolo di Israele,
che canta in coro davanti all’arca divina”. “Sarà segno di contraddizione,
perché è Dio e bambino”.
Sono
interessantissimi i brevi tropari che si cantano nella nona e ultima ode del
canone: “Quanto si compie in te, o Pura, è incomprensibile per gli angeli e i
mortali”. “Volendo salvare Adamo, il Creatore ha preso dimora nel tuo grembo di
Vergine pura”. “Tu guardi la terra e la fai tremare: come può un vecchio stanco
tenerti tra le braccia?”. “Tu, Maria, sei le mistiche molle, perché hai
concepito in seno Cristo, il carbone ardente” (Is. 6, 6).
Nelle Lodi,
anche in relazione alla luce naturale del giorno che ne accompagna normalmente
il canto, il tema della luce prende il sopravvento: “Tu sei apparso come luce
per illuminare le genti, Signore, assiso su una nube leggera, sole di
giustizia, per dare compimento alle ombre della legge e manifestare l’inizio
della nuova grazia”.
Origene, nel
suo commento al Vangelo di Luca, ci dice che “Simeone non era venuto al tempio
per caso, ma mosso dallo Spirito di Dio. Anche tu, se vuoi tenere in braccio
Gesù e stringerlo tra le mani, se vuoi essere degno di essere liberato dalla
prigione, dedica ogni sforzo per essere condotto dallo Spirito e venire al
tempio di Dio. Ecco, ora tu stai nel tempio del Signore Gesù, cioè nella sua
Chiesa; questo è il tempio costruito di pietre vive”.
Simeone, uomo
giusto e timorato di Dio, uomo dell’attesa e dello Spirito Santo, esprime se
stesso e la sua spiritualità in un breve inno, il Nunc dimittis, che, per la sua serena certezza, conclude i Vesperi
nel rito bizantino, così come conclude la Compieta nel rito romano.
Alexander
Schmemann, uno dei più eminenti teologi russi della diaspora morto poco più di
vent’anni fa in America, pronunciò questa omelia quindici giorni prima di
morire: “L’immagine del vecchio uomo che tiene il bambino tra le sue braccia è
suggestiva e bellissima. C’è forse qualcosa al mondo di più gioioso di un
incontro con qualcuno che si ama? In questa prospettiva vivere è un’attesa, un
protendersi verso questo incontro. Simeone non è forse un simbolo anticipatore
di questo? Non è forse la sua vita simbolo dell’attesa? Questo vecchio uomo ha
speso tutta la sua vita nell’attesa della luce che illumina ogni uomo che
ricolma tutto con la sua gioia. E quanto inatteso, quanto inaspettato, quanto
bene indicibile sopraggiunge a Simeone attraverso questo bambino. Possiamo
immaginare le mani tremanti di questo vecchio che accoglie tra le sue braccia
un bambino di quaranta giorni con quanta più tenerezza e attenzione possibile,
i suoi occhi risplendenti e la sua felice esclamazione: ora lasciami pure andare, perché ho visto, ho stretto tra le mie
braccia, ho abbracciato il senso della mia vita. Simeone attendeva.
Attendeva da tutta la vita, meditando, pregando e approfondendo quello che
attendeva, rendendo la sua vita una perenne vigilia di questo gioioso incontro.
Non è il caso di chiedere a noi stessi cosa stiamo attendendo? Cosa il nostro
cuore ci ricorda con più insistenza? La mia vita si sta gradualmente
trasformando in questa attesa di incontro con l’essenziale? In questa festa la
vita umana si rivela come affascinante bellezza di un’anima matura,
continuamente liberata e arricchita. Non c’è paura, nulla è sconosciuto, tutto
è pace, rendimento di grazie e amore. L’Incontro del Signore celebra l’anima
che incontra l’amore, incontra colui che dona la vita e mi da la forza per
trasfigurarla oggi”.
Testi liturgici della festa:
Per la tua edificazione puoi leggere:
L'Incontro del
Signore del p.
Alexander Schmemann
La festa
dell'Incontro
di Odo Casel
Nessun commento:
Posta un commento