5 dicembre 1931: la cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca
viene fatta esplodere dai sovietici
I martiri ortodossi
di Fabio Sansonna
RUSSIA, OLTRE 70 ANNI DI MARTIRIO (1917-1991)
Nel 1917 i
cristiani ortodossi erano 117 milioni (Olga Vasil’eva, Russia martire. La Chiesa Ortodossa dal 1917 al 1941, pag. 19).
Nell’incessante susseguirsi delle repressioni sin dai primi mesi di regime fu
sempre prioritario, e apertamente dichiarato da Lenin stesso, l’obiettivo di
distruggere la fede religiosa, incarnata soprattutto nella Chiesa ortodossa,
maggioritaria in Russia.
Gli ortodossi
furono colpiti duramente, ma di molte vittime non è giunta documentazione.
Negli anni di guerra civile (1918-’20) e del cosiddetto comunismo di guerra le
esecuzioni sommarie di sacerdoti, monaci e fedeli furono numerose; chi poté
emigrò all’estero. Nel 1918 già si verificarono saccheggi e profanazioni di
chiese e monasteri anche durante la liturgia. A Kiev il metropolita Vladimir
Bogojavlenskij venne trascinato fuori dal monastero in cui viveva, insultato e
fucilato: portava al petto l’effigie della Vergine, aveva il volto sereno e
benedisse i suoi assassini mentre gli sparavano. Le profanazioni delle reliquie
dei santi furono un fenomeno generale, solo le reliquie di San Sergio di
Radonez furono conservate benché inaccessibili ai fedeli, dopo le vivaci
proteste del patriarca Tichon e del popolo: rischiarono di essere trasferite
dall’abbazia di Sergiev Posad in un museo di Mosca (A. Solzenycin, Arcipelago Gulag, vol. I, pag.331, O.
Vasil’eva, Russia martire. La Chiesa
Ortodossa dal 1917 al 1941, pag.60). L’eremo della Presentazione di Optina,
centro di fioritura spirituale nel secolo XIX, visitato da Gogol, Dostojevski,
Solov’ev e Tolstoj, venne chiuso e trasformato in kolchoz, tra le proteste di
P. Florenski (morirà fucilato nel 1937). Nel 1918 il Concilio della Chiesa
ortodossa cercò di compilare l’elenco dei martiri, (ci è pervenuto un primo
elenco di 24 martiri), ma ben presto divenne impossibile proseguire per la
drammaticità della situazione. La memoria dei martiri venne così affidata al
popolo credente. L’elenco dei martiri continuava ad allungarsi ogni giorno,
l’arcivescovo Andronik Nikol’skij di Perm, già missionario in Giappone, venne
sepolto vivo. Sempre nel 1918 a Ekaterinburg, dove era stato ucciso lo zar
Nicola II con la famiglia, venne martirizzata la sorella della zarina,
granduchessa Elizaveta Fëdorovna, luterana convertita all’ortodossia, donna di
grande fede e ascesi, che a suo tempo aveva perdonato il terrorista che le
aveva assassinato il marito. Abbracciata la vita religiosa, venne gettata con
altri familiari nel pozzo di una miniera, dove la granduchessa sopravvisse più
degli altri, la si sentì cantare inni sacri, e cercò di medicare i suoi
compagni di sventura malgrado le sue gravi fratture, come si constatò alla
riesumazione dei corpi; fu canonizzata nel 1992 dal Patriarcato di Mosca. Tra
il 1918 e il 1919 vennero uccisi 19 vescovi ortodossi, mentre il numero delle
vittime tra clero e laici è difficilmente quantificabile. A tutto questo va
aggiunto il disprezzo e l’irrisione del sentimento religioso che colpiva ogni
credente. Nel 1920 vennero istituiti i Gulag e nel primo grande lager voluto da
Lenin sulle isole Solovki, erano concentrati numerosissimi vescovi e sacerdoti,
molti dei quali trovarono il martirio. Durante la requisizione di vasi e arredi
sacri, i bambini furono costretti a scrivere “la religione è l’oppio dei
popoli” sulle pareti delle chiese saccheggiate, e di ciò esistono prove
fotografiche (O. Vasil’eva Russia martire. La
Chiesa Ortodossa dal 1917 al 1941). La Chiesa ortodossa russa ha dato un
tributo di sangue enorme, senza contare i credenti laici, non prigionieri,
spesso fucilati con motivazioni pseudo-politiche (solo nel 1937 ne furono
fucilati 100.000). Questo vero e proprio sterminio finì oltretutto per privare
il paese del suo nerbo; molti cristiani che erano delle personalità
straordinarie vennero esiliati o uccisi. Nell’estate 1937 ad esempio, poiché il
piano riorganizzativo di Stalin prevedeva la riduzione della popolazione
carceraria tramite fucilazione entro 4 mesi, venne destinato alla fucilazione
il sacerdote P. Florenskij, scienziato e genio straordinario, del quale citiamo
alcune interessanti riflessioni: “…crebbi completamente selvatico. Non mi
portavano mai in chiesa”; ”Soltanto il Signore Gesù Cristo è l’ideale di
ciascun uomo…”; “..bisogna vivere in un ambiente ecclesiale, essere membri
della Chiesa”; “V’è nel nostro tempo un peccato comune a tutte le confessioni
che è la dimenticanza del termine cattolico”; “Non esiste cultura laddove non
esiste ricordo del passato”; “ La cultura borghese si sta disgregando perché in
essa non c’è un netto ‘si’ al mondo. Essa è tutta nel “come se”, “come se
fosse”, l’illusionismo è il suo vizio principale”; “…Il reale è un’esperienza
viva, un dato religioso…” e ancora: “Mai, in niente e per nessun motivo
rinunciare alle proprie convinzioni… una concessione ne chiama un’altra e così
di seguito all’infinito”; “Ho compreso che è soltanto la voce di Dio che devo
seguire”; “Tutto passa, ma tutto rimane… nulla svanisce, ma si conserva in
qualche modo da qualche parte”; e ancora :..tutto ciò che succede ha un suo
significato e si combina in modo tale che … la vita si dirige verso il meglio”.
“Osservate più spesso le stelle. Quando avrete un peso nell’animo, guardate le
stelle o l’azzurro del cielo… allora la vostra anima ritroverà la quiete”.
Nel 1917 le chiese ortodosse erano 83.000, di
esse 77.72 parrocchie, 65.000 nel 1926; un Decreto del 1929 limitava la vita
ecclesiale entro il perimetro dei luoghi di culto rimasti, e decretava il piano
quinquennale contro la religione. Negli anni ‘30 vennero ricavate 25.000
tonnellate di metallo dalle campane e si intensificò la distruzione delle
chiese. A metà degli anni ‘30 le chiese erano scese a 18.000, il 23% del numero
esistente prima della rivoluzione; nel 1936 erano chiuse il 64% delle chiese in
Russia, il 90% in Ucraina, l’89% in Bielorussia. In quegli anni la vita della
comunità cristiana continuava in modo clandestino nei cosiddetti “monasteri
domestici”, che alimentarono la vita di fede di circa 30.000 credenti durante
gli anni del comunismo. Nel 1937 il Soviet per gli affari religiosi è costretto
a constatare che “i credenti di fede ortodossa hanno incominciato a riunirsi
per conversare, leggere libri religiosi, soprattutto dove sono state chiuse le
chiese”. Queste comunità clandestine erano note e tutto sommato approvate anche
dall’episcopato ufficiale negli anni ‘30. Nel 1939 il 92% delle chiese erano
state chiuse, o distrutte o trasformate in depositi o stalle. Nel 1941 erano
rimasti liberi solo 4 vescovi ortodossi e le chiese erano scese a 3021: di esse
3000 erano nei territori che i sovietici avevano da poco riconquistato (paesi
Baltici, Finlandia, Polonia) e 21 in territorio russo. I bolscevichi non ebbero
neanche il tempo di reprimere la vita religiosa nei territori neo-conquistati
perché sarebbero stati presto invasi dai nazisti. Dopo la riapertura di molte
chiese durante la seconda guerra mondiale, nel 1948 in URSS erano aperte 14.500
chiese, ma Stalin fece a tempo a chiuderne un migliaio. Negli anni ‘50-’60 si
tornò a chiudere la maggioranza delle chiese per volontà di Chruscev. Oggi
esistono 20.000 chiese restaurate nell’ex-URSS. Alcune chiese dopo il 1991 sono
state ricostruite in base al progetto originario, ad esempio la cattedrale di
Cristo Salvatore demolita nel 1931, presso la Piazza Rossa, dove negli anni del
comunismo esisteva una piscina riscaldata all’aperto.
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