Santa Xenia di San Pietroburgo
24 gennaio (6
febbraio)
Beata Ksenija di Pietroburgo «pazza per amore di Cristo»
(1730 c. - inizio XIX sec.)
Nel gruppo di
persone canonizzate durante la celebrazione del Millennio del Battesimo della
Rus’ nel 1988, non poteva mancare una donna, tanto più che tutti avevano
sperimentato, nei duri decenni dell’ateismo imperante, il ruolo importante ed efficace
che le donne avevano avuto nel trasmettere, soprattutto nell’intimità della
famiglia, le principali verità della fede e le evangeliche norme di vita del
cristiano, durante il succedersi di tre generazioni. E la beata Ksenija, ancor
prima della canonizzazione ufficiale da parte della Chiesa ortodossa russa
(nella quale non esistono i due gradi della Chiesa cattolica, prima «beato» e
poi «santo», per cui i due termini sono interscambiabili), ben le rappresentava
e soprattutto da loro era stata sempre venerata e invocata.
Con Ksenija
inoltre è stata elevata all’onore degli altari un tipo di santità tipicamente
russo (sebbene anche con rappresentanti greci), quello degli jurodivye, i «pazzi per Cristo», in cui
l’insegnamento di Paolo (1 Cor, 18-31) trova un’incarnazione di umiltà e
ascetismo eroici, quasi sovrumani[1].
Abbiamo poche
notizie sugli anni antecedenti il momento in cui, ventiseienne, Ksenija divenne
inaspettatamente vedova. La data di nascita è incerta e viene posta tra il 1719
e il 1730. Doveva essere di buona famiglia se poté sposare il cantore di corte,
un ufficiale con il grado di colonnello, che morì improvvisamente senza i
sacramenti cristiani.
Colpita anche
da questa circostanza, Ksenija decise di espiare al posto del defunto e già nel
giorno dei funerali si presentò vestita con la divisa di lui, dichiarando a
tutti che dovevano chiamarla Andrej, il nome del marito, perché Ksenija era
morta e seppellita. Molti pensarono che il cocente, profondo dolore l’avesse
fatta leggermente uscire di senno, e che poi si sarebbe ripresa. Invece Ksenija
proseguì nel distribuire i suoi beni ai poveri, donando anche la casa in cui
viveva, per cui i parenti la denunziarono come inferma di mente, che doveva
essere interdetta dall’autorità giudiziaria: ma quando questa la convocò e l’interrogò,
venne dichiarata sana e in grado di disporre delle sue proprietà. Ormai senza
fissa dimora, intensificò il suo podvig[2] e,
nel suo strano abbigliamento maschile, di giorno passava per le strade di San
Pietroburgo, esponendosi agli scherni dei monelli, a privazioni di ogni genere,
rifiutando soccorsi o passando subito ad altri poveri le elemosine ricevute. Di
notte si nascondeva nei campi e solo più tardi si scoprì quanto intensa e
prolungata fosse la sua preghiera, alternata a prostrazioni in direzione dei
quattro punti cardinali, quasi per sottolineare l’universalità della sua orante
intercessione. A un certo momento era in corso la costruzione di una chiesa in
pietra nel recinto del cimitero cittadino detto di Smolensk; le mura erano già
abbastanza alte ed era necessario portare a quel livello, attraverso le
impalcature, le pietre necessarie per costruire ulteriormente. L’umile Ksenija
decise di aiutare i costruttori e di nascosto, di notte, portava in ripetuti
percorsi le pietre ammucchiate sul terreno all’altezza alla quale dovevano
essere fissate dai muratori. Questi si meravigliarono di trovare al mattino già
pronte le pietre e quando decisero di scoprire l’autore della inaspettata
collaborazione, appostandosi di notte, furono stupiti di vedere quel faticoso
lavoro fatto dalla «pazza Ksenija», evidentemente amante della penitenza.
Il Contacio in onore di questa santa
sottolinea che la «città di san Pietro»[3] -
cioè per i russi San Pietroburgo - divenne molto legata a Ksenija; quasi tutti
la conoscevano e numerosi afflitti ricorrevano alle sue preghiere, ottenendone
spesso meravigliosi risultati. Quella sua pazienza, dolcezza, disponibilità,
povertà in una vita di comportamenti strani cominciarono a far pensare che si
trattava di una «pazza per amore di Cristo» e la gente l’amava, la cercava: «le
madri le tendevano i bimbi per farli cullare o abbracciare, quale benedizione;
i mercanti la supplicavano di prendere in mano la loro mercanzia, perché, se
ella l’avesse toccata, i clienti non sarebbero mancati; i vetturini la
supplicavano di prendere posto nelle loro vetture per qualche istante, sicuri che
ciò avrebbe garantito loro una buona giornata»[4].
Sopportando anche l’afa estiva e il gelo invernale Ksenija continuava il suo
vagabondare tra l’umile popolo intenta alla salvezza delle anime e al bene dei
corpi, grazie anche al dono di profezia e di guarigione che il Signore le
elargiva e su cui esistono numerose testimonianze.
Chiesa di Smolensk che S. Xenia aiutò a costruire
La jurodivaja Ksenija per circa 45 anni
continuò nel suo duro cammino di volontaria follia, vera seguace della kenosi, dell’annientamento di Cristo.
Quando la divisa militare del marito fu ridotta a brandelli ne mantenne i
colori portando una povera gonna rossa e una camicia verde, o viceversa, mentre
dalle scarpe sfondate si intravvedevano i piedi senza calze e in mano teneva un
bastone da pellegrina. Non si conosce con esattezza l’anno della morte, ma pare
si possa collocarlo all’inizio del XIX secolo, a 71 anni[5]. Il
suo corpo venne seppellito nel cimitero di Smolensk e presso il suo sepolcro
avvenivano fatti miracolosi: la gente ne asportava pezzetti di terra e quando,
per impedirlo, venne coperto da una lastra di marmo, anch’essa venne scheggiata
per diffonderne i pezzetti assieme alla fama della «beata» Ksenija. Con le
generose offerte lasciate dai beneficati e dai devoti, molti poveri venivano
aiutati e si costruì anche una bella cappella simile a una piccola chiesa. I
bolscevichi la recintarono per impedire l’accesso, ma prima della
canonizzazione fu rimessa in ordine e riaperta; i fedeli poterono entrare di
nuovo presso la tomba amata che ne sta al centro. Diverse icone ornano le
pareti e facilitano la preghiera: tra esse una pregevole di Cristo in croce che
ricorda l’amore «folle»[6] di
Dio per noi.
«La beata
Ksenija - conclude il rapporto[7]
presentato al Sinodo russo il 9 giugno 1988 - viene canonizzata per la santità
della vita, manifestatasi nel profondo amore del prossimo, nell’umiltà,
pazienza, mitezza e chiaroveggenza, in base a gran quantità di miracoli,
avvenuti per le preghiere della beata e anche all’ininterrotta venerazione
popolare».
Chiesa costruita sulla tomba di S. Xenia
nel cimitero di Smolensk
Tropario, tono 4
Per aver scelto la povertà di
Cristo, tu gusti ora il suo eterno banchetto; avendo combattuto la follia del
mondo con la tua finta pazzia, attraverso l’umiltà della croce hai ricevuto la
forza di Dio. O beata Ksenija, che hai avuto il dono dei miracoli per
soccorrere, prega Cristo Dio di liberarci da ogni male con la penitenza.
Kontakion, tono 4
In questo giorno la città di san
Pietro esulta con splendore, perché una moltitudine di afflitti trova conforto
sperando nelle tue preghiere, beata Ksenija che sei di questa città il vanto e
il sostegno.
Da:
M. DONADEO, Preghiere a S. Andreij
Rubliov e ad altri santi russi canonizzati dal Patriarcato di Mosca dal 1977 al
1993, 53-58.
[1] Cfr. il capitolo «I pazzi per Cristo o jurodivye», in
I. KOLOGRIVOV, Santi russi, cit, 273
ss.
[2] Parola russa senza corrispondente in italiano, usata
per «impresa eroica», «dovere difficile», e anche «ascesi religiosa».
[3] Fu l’imperatore Pietro il Grande che, fondando sulle
rive della Neva, verso il mar Baltico, la nuova capitale della Russia nel 1700,
le diede il nome del suo santo protettore. Chiamata Leningrado nel periodo
comunista, ha ritrovato l’antico nome nel 1991 dopo un referendum popolare.
[4] L. C. ALTISSIMO, I nuovi santi nella Chiesa russa, in
«Studi ecumenici», 4 (ott-dic. 1989), 411 s.
[5] È una
informazione che era incisa nella lapide posta all’ingresso della prima
cappella mortuaria; non si davano le date di nascita e morte, ma della «serva
di Dio Ksenija» si ricordava che «vedova a 26 anni, pellegrinò per 45 anni e
tutta la sua vita fu di 71 anni».
[6] Un’espressione che si ritrova in diversi autori
religiosi bizantini.
[7] JUVENALIJ, Canonizzazione
dei santi (in russo), rapporto al Sinodo russo del 6-9 giugno 1988, cit.,
117.
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